Intervista ai Ministri: ecco perché dobbiamo “fidarci” ancora una volta
Il 9 marzo è uscito “Fidatevi”, il nuovo album dei Ministri. Il disco è stato anticipato da un pezzo strong, che gli dà anche il titolo: ha subito fatto presa nei cuori dei fan come un “ritorno ai vecchi e cattivi Ministri”. Ma, giurano i ragazzi, non è proprio così
Il 9 marzo è uscito Fidatevi, il nuovo album dei Ministri. Il disco è stato anticipato da un pezzo strong, che gli dà anche il titolo: ha subito fatto presa nei cuori dei fan come un “ritorno ai vecchi e cattivi Ministri”. Non è esattamente così: Davide, Michele e Federico ce lo hanno raccontato nella loro nebbiosa Milano. Un caso strano di intervista a ruota libera, dove poche domande hanno aperto vasi di Pandora inaspettati. I ragazzi saranno di nuovo in tour dal 5 aprile con la prima data di Bologna.
Siete sui palchi poco più da dieci anni: come è cambiato il panorama italiano intorno a voi?
[Federico] Il cambiamento l’abbiamo guardato da una prospettiva anomala, quella della rock-band in Italia, che ha iniziato un percorso e ha continuato sostanzialmente a fare quello. Tecnicamente siamo un basso, una batteria, una chitarra: ci puoi mettere tutti gli arzigogoli che vuoi ma rimaniamo quello. Quando abbiamo cominciato a suonare non eravamo di moda: era il periodo in cui c’erano gli Strokes, poi è arrivata la dubstep, poi l’hip hop dei Club Dogo… Sembrava ci fosse solo quello! Abbiamo visto tutte queste cose che cambiavano attorno a noi, siamo sempre stati spettatori. Quello che sta cambiando adesso è il fatto che c’è un sacco di gente che scrive bene le canzoni ma stanno dicendo tutti la stessa cosa e nello stesso modo.
[Davide] È vero anche che dieci anni fa c’era una deformazione al contrario: c’era musica eccessivamente politicizzata, dovevi stare dentro a delle cose e uscire completamente da altre. Dovevi essere “scomodo” per essere parte dell’indie. Poi questo sistema di valori è finito in crisi: adesso si è arrivati all’esigenza di voler far musica, però spesso è eccessivamente stereotipata. E questo è un vero problema! Manca un ritorno a un genere che conservi ancora l’esigenza – non dico di urlare o rompere uno schema a tutti costi – però almeno di uscire da un certo standard.
[F] Anche il fatto di aver fatto uscire Fidatevi come primo pezzo è stato un atto di rottura, e me ne sono accorto dopo. Stai pubblicando un pezzo che, sostanzialmente, è trash-metal, organizzato come un brano dei Metallica. Ed è incredibile come fare uscire oggi una canzone del genere abbia un suo carattere rivoluzionario.
È comunque totalmente diverso da quello che si sente oggi nell’ambiente indipendente.
[D] È quasi eversivo come pezzo!
[F] Negli ultimi tre anni ci sono stati un sacco di artisti che hanno anche virato la loro voce seguendo le nuove tendenze: ed è questa la cosa più che fa più paura!
[D] Il grande problema è l’eccessiva omologazione. Noi per nostra “sfortuna” siamo sempre risultati fuori, degli sfigati… perché forse non ci siamo mai omologati.
Non dipende in parte anche dai produttori che cercano di spingere sempre quello che è più in voga in quel momento?
[F] Per noi è relativo perché ragioniamo in un’ottica da band: tre persone che quando suonano assieme producono qualcosa. Noi facciamo un lavoro di pre-produzione tale che i nostri dischi a quel punto sono già ben formati. Portiamo il nostro materiale, lo lavoriamo con un professionista e lo mettiamo a posto.
[D] Taketo (Gohara, produttore di Fidatevi, ndr) si è divertito perché non doveva “creare”, le canzoni già giravano, perciò lui ascoltava e intravedeva diverse possibilità di arrangiamento a noi sconosciute.
[F] Se ascolti Fidatevi su un telefonino sembrerà meno di un disco di Britney Spears o di un qualche rapper, ma se lo ascolti su un impianto con le basse vere – come si ascoltava il rock una volta – ti fa muovere proprio dentro: su quello Taketo è stato bravissimo! Tieni anche conto che comunque il rock ha come ultimo confronto sempre il palco, essere valutati live.
Perché i fan si dovrebbero fidare di questo nuovo disco? Il vostro precedente album Cultura Generale aveva diviso molto il pubblico.
[D] Un po’ sono rimasti disorientati da una scelta di produzione anomala. Si parla sempre di America ma poi quando non si fanno le cose in Italia non ti ritrovi più dentro a certe cerchie, perdi alcune certezze.
[F] Il “fidatevi” del titolo non era necessariamente rivolto a loro, era quasi fatto apposta per essere frainteso ed è stato interessante vedere come è stato interpretato. Certo, sta dicendo anche quello… però non lo sta dicendo! Se un libro si chiamasse Che cazzo vuoi non è che uno gli risponde! È buffo invece che un album che si chiama Fidatevi sia stato preso da tutti come un invito, una sfida, come se fosse un messaggio.
[D] Sembra quasi una promessa da partito politico!
[Michele] Anche se poi, nel disco, il concetto del fidarsi torna molto. Abbiamo messo dentro sentimenti, amicizie, amore. Tutto.
[D] È come se fosse un discorso che ci stiamo facendo da soli, come se avessimo bisogno di cercare qualcosa di cui fidarci noi stessi, come se fosse anche la stessa musica a doversi fidare. Il disco ovviamente non è tutto come il singolo. Però, facendo uscire come prima canzone Fidatevi, è già stato battezzato come “i Ministri che ritornano ai passi del primo disco” nonostante non l’abbia ancora ascoltato nessuno. Però, sai, l’effetto gregge…
[F] Anche se nel primo disco, se ci pensi, non c’era niente di così metal! Davvero stiamo ancora parlando di quel disco come un disco super violento? C’erano delle ballatone strappa-mutande! (ride, ndr) Fidatevi in realtà dipinge un intorno spesso desolante: alla fine del disco l’unica cosa sincera che abbiamo da dire è “fidatevi”. Tutto qui. Credo che sia proprio un disco-scatola nera: nasce da un nostro periodo particolare – per questioni di età, di nuove responsabilità, nuovi problemi, nuove sfide. Per questo dico che è una scatola nera che, si sa, solitamente si apre per cose molto pesanti. È come una selva oscura.
Dalla quale però siete riusciti ad uscire.
[F] Brava, infatti il disco ha Spettri e Crateri, due pezzi davvero pesanti. Però poi finisce con un pezzo aperto, Dimmi Che Cosa.
[D] Per dare un po’ di armonia alla fine, per respirare.
Infatti l’impressione che avuto ascoltando il disco è che sia un disco da trentenni. Non vorrei cadere nella frase fatta del dire che è un disco maturo, però…
[D] Da vecchi! (ride, ndr) Ma no, in Italia il disco maturo è quello che non ha più distorsioni sulle chitarre o che ha il pianoforte.