Interviste
POWER PLAYERS

Filippo Sugar: «Vogliamo essere l’alternativa artigianale a una soluzione major»

Per la nuova puntata di Power Players abbiamo incontrato il presidente e CEO dell’etichetta di Madame, Sangiovanni e Lucio Corsi, forte di una storia quasi centenaria ma con lo sguardo rivolto al futuro

  • Il29 Aprile 2025
Filippo Sugar: «Vogliamo essere l’alternativa artigianale a una soluzione major»

Filippo Sugar (foto di Julian Hargreaves)

L’inatteso exploit di Lucio Corsi a Sanremo 2025 ha riportato l’attenzione della music industry e del pubblico su un certo modo di intendere la creazione musicale e la costruzione di una carriera in un settore più competitivo che mai. Un approccio improntato alle strategie di lungo termine e a una sorta di elogio della lentezza, o di “artigianalità”, come ama definirla Filippo Sugar, presidente e CEO dell’omonima etichetta fondata dal nonno Ladislao nel lontano 1932.

Sugar infatti è un’azienda a conduzione squisitamente famigliare (con i figli di Filippo siamo ormai alla quarta generazione), che fa patrimonio della propria lunga storia per rimanere competitiva accettando le sfide del mercato discografico attuale e coltivando una vocazione il più possibile internazionale, radicata proprio nell’italianità espressa dal suo vasto catalogo editoriale.

Sugar è tante cose: edizioni e master, catalogo e frontline, artisti emergenti e mainstream (come Madame, Sangiovanni, Negramaro), oltre a progetti paralleli portati avanti con passione come CAM Sugar (label di colonne sonore storiche, forte di 2500 titoli) e il progetto audiovisivo Sugar Play. Ci siamo seduti a fare il punto con lo stesso Filippo Sugar, protagonista di questa nuova puntata di Power Players.

Intervista Filippo Sugar - foto di Julian Hargreaves - principale - 2
Filippo Sugar (foto di Julian Hargreaves)

L’intervista a Filippo Sugar

Partiamo dall’attualità musicale, in particolare dal “caso” Lucio Corsi. Vi aspettavate un simile exploit?

No, ma eravamo molto sicuri di andare bene. Sapevamo che lui aveva una solidità musicale e sul palco: è arrivato a Sanremo dopo quattro album, ormai quasi una rarità. Non avevamo pressione: sapevamo di avere un progetto molto bello e un artista pronto. Poi è successo qualcosa di più di quello che ci aspettavamo: Lucio ha intercettato qualcosa che è andato anche oltre la musica. È un premio alla sua onestà, alla sua determinazione, alle persone che hanno lavorato con lui in questi anni, ma anche una bella storia in generale per la musica.

Una volta che si raggiunge un tale livello di popolarità, come si lavora per renderlo un successo duraturo anziché la fiammata di un momento?

Per noi il successo non è un momento ma una carriera. Cerchiamo di stare vicino all’artista e aiutarlo a superare questa nuova fase. Si tratta di dargli il giusto tempo e proteggerlo dalle ansie. Prendersi il tempo per fare un disco ispirato è importante. Per la gavetta che Lucio ha fatto, non penso che questo sarà un problema, perché lui è estremamente rigoroso. Semmai, grazie a maggiori risorse, c’è la possibilità di fare molte più cose belle, per esempio sui live e sull’audiovisivo.

Sempre in tema di contemporaneità, è recente il ritorno di Sangiovanni con nuova musica. Come tutti sappiamo, lui viene da un periodo di pausa della propria attività musicale. Cosa ha determinato questo comeback?

Abbiamo sempre continuato a sentirci e vederci. A un certo punto, lui ha voluto tornare in studio. Oggi abbiamo sei o sette brani, che tra l’altro raccontano anche questa sua fase. Parlando con i manager – Jacopo Pesce e Max Brigante – abbiamo iniziato a pensare a quando fissare questo ritorno. Abbiamo pensato che aprile, dopo l’onda lunga di Sanremo, sarebbe stato un buon periodo. Lui ha ritrovato l’entusiasmo per la musica in studio: deve ritrovare l’entusiasmo per questo percorso, e nessuno vuole accelerare. La cosa bella è che la musica c’è.

Intervista Filippo Sugar - Sangiovanni
Sangiovanni (fonte: ufficio stampa)

Oltre ai grandi nomi, Sugar porta avanti orgogliosamente anche artisti emergenti, in alcuni casi ormai prossimi al mainstream, come per esempio Lorenzza. Visto il numero molto limitato di progetti del genere, come viene fatto lo scouting? E che tipo di lavoro fate con loro per farli crescere?

Noi siamo abituati – e forse è anche un bene – a lavorare con gli artisti ai loro primissimi esordi. Oggi la competizione sul mercato è feroce: appena c’è un artista che inizia ad avere qualche visibilità sulle piattaforme si scatenano le offerte, che difficilmente ci possono trovare partecipi. Quindi noi lavoriamo molto presto, firmando artisti che magari non hanno ancora pubblicato niente. Artisti come Soap, prima stanza a destra, Lorenzza sono molto giovani, così come lo erano Sangiovanni e Madame agli esordi.

Il lavoro sta nell’accompagnarli nella definizione della loro identità: c’è chi ci arriva presto e chi ci mette un po’ di più. La cosa importante per noi è vedere un’evoluzione, progetto dopo progetto. Lo scouting lo facciamo online ma tante volte arriva da segnalazioni di produttori, autori, artisti che lavorano con noi: Tripolare, per esempio, ci ha segnalato prima stanza a destra.

CAM Sugar è un’etichetta squisitamente di catalogo che riesce però a proporre progetti freschi e innovativi attraverso compilation curatissime e release speciali, ma anche contenuti editoriali attraverso la pagina Instagram e il blog. Non è un approccio comune per una realtà così “legacy”.

Abbiamo acquistato CAM nel 2013. Era un’azienda famigliare della famiglia Campi con legami storici con mio nonno, che distribuiva i loro spartiti. Conoscevo la loro storia. Loro ebbero una grande intuizione: fare le colonne sonore quando nessuno le voleva fare. Così hanno costituito il più grande archivio di colonne sonore italiane, qualcosa di irripetibile. Quando i figli hanno voluto cambiare vita io ho fatto di tutto per acquistare questo catalogo, che all’epoca era lavorato come edizioni musicali: questi vecchi film trasmessi in TV generavano diritti e così via.

Con l’arrivo del digitale ci siamo trovati l’opportunità di riscoprire e rimettere sul mercato 2500 colonne sonore: musica “morta”, che dopo la vita fisiologica del film – a parte poche eccezioni – rimaneva sepolta. Abbiamo iniziato un ambizioso percorso di remastering e pubblicazione in digitale di tutta questa musica. L’approccio fresco di cui parlavi è tale perché è fatto da ragazzi di 25-30 anni. Stiamo anche intercettando grandi registi e attori che sono entusiasti del lavoro che stiamo facendo e si stanno mettendo a disposizione per fare da curatori – e quindi da testimonial – delle nostre pubblicazioni. Abbiamo avuto di recente Eli Roth con la sua Red Light Disco, che è andata sold out. Adesso faremo un bellissimo progetto “spaghetti western” con Jeymes Samuel. Ci sono registi premi Oscar che ci scrivono via Instagram…

Quindi abbiamo l’occasione di lavorare dall’Italia, con un progetto italiano, ma in contatto con il meglio del mondo del cinema, che ha un grande rispetto per questa musica. Ma non solo loro: per esempio Central Cee ha campionato un brano di Stelvio Cipriani (Mary’s Theme, in GBP ft. 21 Savage, ndr).

Intervista Filippo Sugar - Lucio Corsi - foto di Simone Biavati
Lucio Corsi (foto di Simone Biavati)

Grazie alla sua lunga storia e al suo vastissimo catalogo editoriale, Sugar è sinonimo di cultura italiana e italianità. Sentite di avere questa responsabilità?

Mio nonno era ungherese, è diventato italiano “per scelta”. Per cui ci portiamo dietro questo DNA internazionale. Noi peraltro facciamo il 40-45% del nostro volume d’affari fuori dall’Italia, che è una bella cosa per la musica italiana in generale. La nostra è un’azienda famigliare: è normale che le aziende capaci – in tutti i campi – possano vedere il mercato non solo italiano ma anche internazionale. Continueremo a ragionare in questo modo, senza pressione.

Dall’altro lato però Sugar guarda anche al presente e al futuro della musica. Come si mantiene un approccio fresco nonostante (o grazie a) una storia così lunga?

Noi oggi possiamo lavorare con serenità perché abbiamo lavorato bene ieri. Possiamo lavorare in questo modo sostenibile perché i nostri successi del passato ci consentono di avere le risorse per investire e rischiare in un contesto oggi molto competitivo. Abbiamo anche cercato di continuare a ristrutturare la nostra casa, per così dire: in Sugar abbiamo molti giovani. C’è un gruppo “storico” di persone che ha come missione del proprio lavoro quella di poter aiutare la generazione successiva. In questa continua interazione c’è la capacità di stare sul mercato, che cambia velocemente.

Quali sono i vostri obiettivi strategici e di crescita sul medio-lungo termine?

Vogliamo crescere senza stravolgere la nostra dimensione, che è “artigianale”. Se abbiamo la possibilità di acquisire cataloghi, lo facciamo. Sono opportunità importanti e quando si manifestano cerchiamo di essere competitivi per acquistare diritti editoriali o di master. Poi continueremo a lavorare sullo scouting, lanciando nuovi artisti e nuove canzoni di successo, e a lavorare a livello internazionale. Un’altra area di sviluppo è il nostro progetto audiovisivo Sugar Play: vogliamo lavorare sempre di più in quell’ambito, sia per dare ai nostri artisti uno strumento in più per esprimersi sia per valorizzare il nostro patrimonio di storie e aneddoti. In sostanza vogliamo essere l’alternativa artigianale, competitiva e di qualità a una soluzione major.

Una particolarità di Sugar è la dimensione “di famiglia”, con una storia che abbraccia molte generazioni. Hai sempre saputo che avresti portato avanti tu questa storia?

Non ci avevo pensato fino a un certo punto. La storia dell’azienda è lunga e ci sono stati anche momenti difficili, come quello in cui sono capitato io. Era un momento di crisi della musica italiana. Sai, fino alla fine degli anni ’80 la discografia era un settore realmente industriale: mio nonno aveva fatto la fabbrica che stampava i dischi. Da industria vera e propria, la discografia poi è diventata una realtà creativa. Nel 1989 vendemmo la CGD a Warner: aveva sui trecento dipendenti, quando riaprì ne aveva quaranta. Siamo ripartiti dal nucleo rimasto, che erano le edizioni. Siamo cresciuti nel nuovo mondo dopo aver tagliato questo cordone ombelicale. Ho pensato che, se proprio doveva finire, doveva accadere per scelta e non perché subivamo la fine.

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