Filippo Timi: «Se volete capire Shakespeare, guardate “C’è posta per te”»
L’attore è il protagonista della prima serie TV dei fratelli D’Innocenzo, “Dostoevskij”, dove interpreta un poliziotto alla ricerca di chi ha commesso una serie di efferati omicidi
L’annuncio è freschissimo: l’intera serie Dostoevskij, Atto I e Atto II, sarà distribuita al cinema da Vision Distribution nella settimana dall’11 al 17 luglio (in autunno su Sky Original in sei episodi). Qualche settimana fa ho avuto il piacere di incontrare con l’attore protagonista Filippo Timi. Il risultato è una di quelle interviste che sembrano più una piacevole conversazione. Se poi volete leggerla integralmente, la trovate nel nostro numero speciale su Capo Plaza.
Già, perché uno dei Leitmotiv del personaggio interpretato da Filippo Timi nella serie, il poliziotto Enzo Vitello, sono quelle cicatrici interiori che uno si porta dietro tutta la vita, quel tipo di ferite che hanno ispirato proprio il titolo del nuovo album di Capo Plaza.
Dostoevskij, la prima serie TV firmata da Fabio e Damiano D’Innocenzo
In Dostoevskij, la prima serie TV dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo e prodotta da Sky Studios, Filippo Timi cerca di capire – con un metodo tutto suo che di certo non appassiona i colleghi – chi si celi dietro “Dostoevskij”, killer seriale che lascia accanto ai cadaveri sempre una lettera con una desolante visione del mondo. Girata in pellicola, la serie è altresì un doloroso viaggio nelle miserie dell’umanità incastonate in un altrettanto desolante – a tratti orrido – paesaggio del viterbese. Un’opera di grande spessore autoriale.
Il miglior Filippo Timi
Senza indugiare troppo, Filippo Timi è uno dei migliori attori in circolazione, capace di passare da toni drammatici a ironia e lievità assoluta. Uomo di teatro che è diventato tra i più richiesti dai registi e autori italiani ma anche amato dal grande pubblico, grazie alla serie TV I Delitti del BarLume, che da un decennio appassiona per le sue storie che condensano i gialli, la commedia politicamente correttissima e una buona dose di comicità.
Nel cast di Dostoevskij ci sono Gabriel Montesi (Favolacce, Siccità, Romulus, Christian), Carlotta Gamba (America Latina, Dante) e Federico Vanni(Chiara Lubich – L’Amore vince su tutto, Io sono l’abisso). La serie è stata presentata in anteprima mondiale alla 74° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
L’intervista a Filippo Timi
In Dostoevskij, il tema della ferita interiore ed esteriore mi sembra fortissimo, e oserei dire che pervade ogni personaggio della serie, senza troppo spoilerare…
Se ci pensi, tutti gli esseri umani hanno delle ferite enormi, e da qui sono partiti Fabio e Damiano nella scrittura. Faccio un esempio personale che fa capire come io sia entrato in assoluta sintonia con i due registi. Dovevo interpretare il ruolo del protagonista in un film e a un certo punto arrivò un’attrice che doveva vestire i panni della donna che cercava di portarmi via da mia moglie.
Era formalmente bravissima a farlo, entrava in scena già in modalità “da stronza”. Però prima di girare le dissi: “Consiglio numero uno: anche se hai tre scene, entra in azione come se il film si intitolasse col nome del tuo personaggio, perché chiunque è protagonista della propria vita. Secondo, non pensare che sei solo la stronza che cerca di portarmi via da mia moglie, ma immagina che tu mi stia salvando la vita, che sia tu l’eroina e che, nonostante io non riesca a vedere questo grande amore, tu farai di tutto per salvarmi”.
La cosa ha funzionato in scena, perché questa attrice non era più la classica amica della moglie che voleva sedurmi ma un essere estraneo che mi avrebbe salvato la vita, quindi diventava pericolosa. Sembra una cosa complicata, ma noi attori viviamo di queste intuizioni, ci nutriamo di immaginazione.
Per parlare del lavoro dei fratelli D’Innocenzo, la loro scrittura si muove decisamente su questi principi: ogni personaggio, seppur funzionale o “secondario”, è assolutamente protagonista della propria vita. Nel caso di Dostoevskij ognuno aveva l’urgenza di tirar fuori quella ferita. Che la si esprima attraverso dieci scene o una sola, la ferita è sempre lì, terribilmente presente.
Oserei affermare che in Dostoevskij non solo i personaggi si portano dietro queste ferite ma anche il paesaggio filmato dai D’Innocenzo è pieno di ferite, tra case fatiscenti, luride, e un territorio poco curato.
Hai colto una cosa incredibile. Quando parlavamo dei primi piani da girare, loro spessissimo mi chiedevano di pensare al volto del poliziotto Enzo Vitello proprio come se fosse un paesaggio. È stata una cosa davvero interessante, mi dicevano cose come: «Pensa a un paesaggio estinto, vulcanico, a delle rocce dove prima magari c’era un lago, dove forse è rimasto soltanto il sale».
Io mi mettevo a piangere mentre pensavo a questa immagine di un paesaggio ferito, dove non c’è neanche più un fiore. I fratelli volevano proprio che il paesaggio diventasse una cifra espressiva.
Ho pensato al primo Garrone quando ho visto questi paesaggi che amplificano i dolori dei protagonisti, senza quasi che loro se ne accorgano.
Certo, e anche Pasolini. I fratelli raccontano di paradisi perduti, diventati fasulli. Ci ritrovo anche una certa pittura italiana. Pensa agli interni di alcune case: con quella fotografia di Matteo Cocco – bravissimo – sembra di rivivere i colori dei quadri del Masaccio. Ricordati anche che questa serie TV è stata girata in pellicola, guarda caso.
La musica ti accompagna da sempre, fra l’altro da giovanissimo tu eri un pattinatore.
Immaginati la combinazione pattinatore-balbuziente. La musica la sento dentro sin da quando ero piccolo, quando ballavo Singing in the Rain. Ascolto la musica sempre quando scrivo, e da due anni sto imparando a suonare l’handpan. Proprio adesso sto lavorando con Rodrigo D’Erasmo a una messa in scena, ad agosto, di Salomé di Oscar Wilde. Ho più amici musicisti che attori, sai?
E poi sei stato sul palco nell’ultima edizione del Festival di Sanremo con Diodato nella sera dei duetti e ospite di Rai Radio 2. Su Instagram hai fatto una divertente rubrica, Nonsostaresenza,e hai commentato tutte le canzoni in gara positivamente!
(Ride, ndr) Era un modo per esercitarsi all’improvvisazione, che è fondamentale quando fai radio. Io ascoltavo la canzone in gara e subito, senza filtri, la commentavo! È stata una sfida, mi sono detto: «Allora, Filippo, ti devono piacere, per forza, qualunque canzone in concorso. Ora sei tu quello bravo e devi saper spiegare il perché».
Ti racconto un aneddoto legato al grandissimo poeta Rainer Maria Rilke. A un certo punto gli cominciarono a scrivere un bel po’ di giovani poeti per sapere se valesse davvero quello che scrivevano, e lui rispose in questo modo: “Non domandare a me, ma a te stesso. Primo, domanda a te stesso: se ti vietassero di scrivere, sarebbe una questione di vita o di morte? Secondo, se non sei consapevole che il mondo, la natura, è un’autentica ricchezza, sei un coglione (questo termine l’ho aggiunto io), perché vuol dire che non riesci a trarre poesia da ciò che ti circonda. Terzo, se tu fossi chiuso in un buco senza sentire nessun odore, nessun rumore, senza nessuna luce, senza sentire nessun sapore, avresti comunque il tesoro della tua infanzia da cui attingere”.
Ci sono scene dove sei bravissimo a fare il padre – un padre mai scontato.
Ho scoperto una mia forma di paternità grazie al rapporto con i miei genitori. È successo un po’ di anni fa, perché a un certo punto della vita siamo noi che ci prendiamo cura di loro che un tempo mi avevano cresciuto, senza capirci nulla di me… Sembra quasi che noi figli siamo degli alieni capitati tra le loro braccia.
Parlando con cari amici che sono madri o padri, senti spesso dalle loro storie un senso di inadeguatezza totale nel gestire i figli. La cosa che accomuna tutti i genitori è che i figli li puoi solo proteggere. Li hai messi al mondo ma li hai anche condannati a morire, un giorno. E ora che sono lì con te, come li ripari dalla morte, dal dolore?
Quando invece siamo noi figli a vedere i nostri genitori che si spengono, che stanno per andarsene, dovremmo abbracciarli quando siamo con loro. Un consiglio per chi ha genitori anziani: teneteli per mano quando vi parlano, hanno ancora un corpo, anche se sentono che sta per scomparire.
Io sono riuscito a raccontare Shakespeare a mia mamma anziana guardando insieme C’è posta per te di Maria De Filippi. Fidatevi, se volete capire Shakespeare, guardate il programma della De Filippi.