Di nuovo nel pogo con i Finley: «Dopo il successo e Mtv si sono spenti i riflettori e siamo ripartiti da zero»
La band pop punk torna con il nuovo album “Pogo Mixtape Vol 1”, un disco in cui si sono divertiti con gli amici di lunga data e i nuovi volti della scena. Con loro abbiamo parlato anche dei momenti bui e del duro lavoro compiuto per rinascere
025613. Se un millennial non ha nessuna reazione o afferma di non sapere a cosa tu stia facendo riferimento, sta sicuramente mentendo. Anzi, fino a qualche anno fa, prima di Machine Gun Kelly, YUNGBLUD e della reunion dei Blink-182, l’avrebbe fatto di certo. L’ondata pop punk dei primi Duemila è stata repentina, sia nel modo in cui è sbocciata, sia per come è diventata, da un giorno all’altro, la cosa più da sfigati che potesse esistere. Ma tutti gli adolescenti, in quell’estate da campioni del mondo del 2006, hanno provato, anche solo per scherzo, a digitare quel numero per vedere se la “stronza” esisteva davvero. Le risposte “ai tanti perché” i Finley le hanno dovute cercare molto dopo, lontano dal pogo, e dai riflettori ormai spenti.
Non è facile ripartire dopo aver suonato in tutta Europa al fianco di Metallica, Lacuna Coil, Linkin Park e White Stripes. Un’etichetta indipendente, tanto lavoro e ora Pogo Mixtape Vol. 1, un album che, più che un disco, è un mosh pit punk rock di amici.
Che fine hanno fatto i Finley?
È una domanda che tornava spesso, soprattutto quando nel pieno di una serata in spiaggia, di solito alle tre del mattino, il DJ decideva di iniettarti una dose cinquanta e cinquanta di adrenalina e nostalgia, facendo partire Diventerai una star. I Finley – Pedro, Ka, Dani e Ivan – che ha preso il posto di Ste al basso nel 2011 – sono tornati nel momento migliore, tant’è che si potrebbe maliziosamente pensare che siano tornati perché è il momento migliore per farlo. Tuttavia, un disco di 14 canzoni non si scrive in un anno e, per di più, non in questo modo.
Pogo Mixtape Vol. 1 è un disco pop punk che non gioca sull’effetto nostalgia. Sì, leggendo la tracklist con Dari, Punkreas e Divi (Ministri), un po’ di vuoto in pancia si forma, ma poi ascoltando le varie tracce la sensazione – per fortuna – è diversa. Le sonorità sono rimaste simili, sebbene ci siano piacevoli sperimentazioni appena hardcore e persino un pezzo misto reggaeton con Ludwig (A me piace il punk rock). I testi invece parlano al presente e fanno i conti con quella giovinezza dell’anima che viene il più delle volte malvista e invidiata da chi vorrebbe una corrispondenza tra età anagrafica ed emozionale.
A incontrarli e parlare con loro no, non sembra che il tempo si sia fermato. Il viso di Pedro, che sembra ancora quello di un ventenne, trae in inganno. I Finley sono cresciuti e il successo avuto, perso e da riconquistare li ha cambiati. La festa all’Unipol Forum di Assago a Milano del prossimo 16 ottobre certificherà anche questo. Sarà un punto di arrivo e una nuova ripartenza. Una risposta a tutte quelle domande irritanti alle quali la band urla tutta la sua rabbia in F.A.Q.. Domande del tipo: «Ma che fine hanno fatto i Finley?».
L’intervista ai Finley
F.A.Q. con Divi dei Ministri è uno dei brani manifesto di Pogo Mixtape. Una sorta di risposta rabbiosa, un grande F**k rivolto a tutte quelle domande scomode e ai pregiudizi. Quali sono, nel vostro caso, quelle che vi hanno dato più fastidio?
Pedro: A essere proprio sinceri, noi i giudizi ce li siamo sempre lasciati scivolare addosso. Non lo dico per fare il figo perché le cose che ci dicono un effetto lo sortiscono sempre, ma il fatto di essere una band ci ha sempre portato a confrontarci molto l’uno con l’altro e a dare molto più peso al nostro di giudizio, che forse è quello più severo. F.A.Q. parla proprio di quelle domande a cui non serve dare una risposta.
Dopo l’exploit del pop punk in Italia tra il 2004 e il 2010, c’è stato un periodo in cui tutto si è fermato. E così è stato anche per voi. Come l’avete vissuto, avete avuto paura di non riuscire più a tornare a certi livelli?
P: Sì, sarebbe disonesto dire il contrario. In generale gli anni Dieci sono stati difficili proprio per tutta la musica “suonata”. È stata una decade complessa durante la quale le rockstar sono diventate i DJ e i rapper. Non è stato facile quando il cono di luce che ci illuminava si è spento, quando gli stessi media che ci avevano supportato, per esempio Mtv, sono venuti meno. Ci siamo dovuti rimboccare le maniche e ricominciare daccapo. Prima abbiamo sperimentato e poi siamo tornati ad approcciare il genere con più consapevolezza. Nel 2011 abbiamo fondato un’etichetta indipendente e lavorando a testa bassa abbiamo dato più concretezza e struttura ai nostri live che è la cosa a cui tenevamo di più e sulla quale ci siamo focalizzati nel periodo lontano dai riflettori. Il Forum in questo senso è insieme un punto d’arrivo e un nuovo inizio.
Che poi, in realtà, è il vostro primo Forum da protagonisti, ma voi ci avete già suonato nel 2004 in apertura a Max Pezzali.
Ka: Sì, ma da “abusivi” (ride n.d.r.). Siamo entrati da dietro, quasi imbucandoci, invitati per modo di dire. Max Pezzali ci offrì una finestra, un quarto d’ora di sfogo.
P: Fu un regalo, un vero e proprio regalo che ancora sento sulla pelle. Ricordo il boato del pubblico al nostro nome che, a dire il vero, ancora non è che lo conoscessero in molti, però per me, quando si spensero le luci, sembrò gigantesco. Fu stupendo e spero lo sarà anche a ottobre. L’abbiamo pensata come una festa, sarà il momento di una generazione
K: Il 16 ottobre sarà una festa per noi e per tutta quella generazione cresciuta in quegli anni stupendi. Un periodo dove i tuoi problemi erano l’amico/a che ci sta provando con quella/o che ti piace, il brutto voto a scuola.
P: Sì, per quanto non l’abbiamo avvertito subito, adesso comprendiamo tante conseguenze di quello che è stato il momento storico in cui siamo cresciuti. Noi millenials siamo una generazione un po’ di mezzo e così era anche il nostro progetto musicale. Se pensi che nel nostro momento di ascesa, nel 2006, c’era MySpace, ma non ancora i social network. La discografia, per come era stata fino ad allora, stava cambiando. Anche noi, come ragazzi, abbiamo vissuto questa fase di precarietà.
Nel disco c’è una canzone, Perdonaci, con un’altra band pop punk simbolo di quegli anni, i Dari.
K: È un paradosso perché avremmo potuto farlo venti anni fa e scriverlo adesso è stato stranissimo.
Dani: Ma in fondo è meglio così, perché non sarebbe venuta fuori la stessa cosa. Non saremmo stati in grado di scrivere una canzone di questo tipo.
K: Sì, magari l’avremmo vista più come un gioco, e invece qui è un altro schiaffone. Un brano che racconta il nostro essere ragazzi per sempre, anche a 40-50 anni. Non si smette mai di essere ragazzi e di avere qualcosa per cui sentirsi in colpa. Perdonaci è la nostra autoassoluzione da tutte le responsabilità e le consuetudini richieste dalla società e dall’età adulta.
P: Nessuno ha il libretto d’istruzioni.
Tra i duetti di Pogo Mixtape ce ne sono due con artisti spagnoli: quello con Walls (Fuori di testa) e la nuova versione di Diventerai una star con i LA LA LOVE YOU. Quando uno pensa al pop punk di solito fa riferimento agli Stati Uniti, come mai questo rapporto con la scena spagnola?
P: Spesso, in modo superficiale, la lingua spagnola viene ricondotta sempre ai soliti generi latin. Eppure, tra il Sudamerica e la Spagna, c’è un brulicare di band e progetti rock, anche a livello mainstream. Probabilmente c’è proprio una predisposizione e un’apertura maggiore nei confronti di certe sonorità. Quando noi sfondammo nel 2006, anche in Spagna nascevano gruppi di grande successo e, con la rinascita del genere negli ultimi anni, è stata forse la prima ad accorgersi di come rap e pop punk flirtavano. Prima ancora che da noi esplodessero artisti come Naska e LA SAD.
K: Walls, in questo momento, è fortissimo e incarna perfettamente quello che noi eravamo a 20 anni. Il Real Madrid, la scorsa settimana, ha festeggiato in piazza con i propri tifosi e Carlo Ancelotti ha ballato con Camavinga sul brano più famoso dei LA LA LOVE (El Fin del Mundo n.d.r.).
L’album di riferimento del periodo in cui siete esplosi è stato American Idiot dei Green Day. Quello di questa nuova rinascita secondo voi quale è stato?
P: Per me Tickets to My Downfall di Machine Gun Kelly è un disco che ha impattato tantissimo. Non tanto per MGK come artista, quanto per le forze riunite su quell’album e l’idea di Travis Barker di mettersi alla produzione.
K: Sì, sono d’accordo, soprattutto per il la scena che Travis ha contribuito a creare. Penso a blackbear, 24kGoldn, iann dior e in Inghilterra YUNGBLUD.
D: Sono riusciti a ricreare hype sul pop punk mescolandolo con la trap, il rap e l’urban, a dimostrazione del fatto che tutti i generi musicali possono parlarsi. Bisogna solo avere il coraggio di farlo, guarda cosa succede quando si esce dalla comfort zone. Sono dell’idea che bisogna stupire il pubblico, altrimenti si rischia di fare quelle che io definisco “canzoni col timbro” e tu stesso, come artista, rischi di spegnerti.
Quale è il pezzo a cui tenete di più di questo nuovo album?
P: Ce ne sono due, forse, ma è difficile scegliere. Quello con Rose Villain, Killer, è incredibile, soprattutto per come lei riesca a muoversi tra il punk, l’urban e il pop. È uno dei brani che spicca di più anche perché la sua voce riesce a far brillare ancora di più la mia con gli incastri. Quello a cui sono legato emotivamente è Hai paura del buio? con Fasma. È nato da una session intima e profonda durante la quale credo di aver scoperto delle cose nuove di me. Non mi era mai successo, è stata quasi una seduta psicoanalitica, mi emozione persino ora che ne sto parlando.
A proposito di senso di colpa, poteste ritornare indietro, rifareste tutto come avete fatto?
K: Bello, perché di solito la risposta a questa domanda è “rifarei tutto uguale”. Invece, io ti dico no, tante cose le farei molto meglio.
P: Io se potessi tornare indietro, imparerei a suonare la chitarra e sfrutterei il tempo in maniera migliore. Me ne rendo conto adesso che abbiamo molto meno tempo a disposizione con la famiglia e i figli. Ora so come usarlo al massimo delle mie energie, prima me la prendevo con la calma. Lassismo, un po’ di pigrizia con cui però è necessario anche sbattere la testa prima o poi. Gli errori servono, le esperienze pure e ce ne stiamo rendendo conto con la nostra etichetta e con tutti gli aspetti che bisogna curare che vanno oltre la musica.