Interviste

Fontaines D.C. is a place: «Siamo usciti dalla nostra caverna di Platone»

“Romance”, in uscita questo venerdì, è il loro disco più universale, il primo che proietta il gruppo irlandese oltre i propri confini geografici e artistici. Qualche mese fa abbiamo incontrato Conor Deegan III per parlare del nuovo album e di come l’interminabile e assidua ricerca del romanticismo influenzi il suo percorso e quello degli altri quattro amici e compagni di band

Autore Samuele Valori
  • Il19 Agosto 2024
Fontaines D.C. is a place: «Siamo usciti dalla nostra caverna di Platone»

Foto di Theo Cottle

La prima sensazione che mi torna in mente ripensando alla lunga chiacchierata con Conor Deegan III è la tensione positiva generata dai suoi lunghi silenzi prima di ogni risposta. Sì, è strano. Sei in un parco, c’è di nuovo il sole dopo diversi giorni di pioggia che hanno devastato la Lombardia, hai la possibilità di parlare dal vivo con il bassista dei Fontaines D.C. e la prima cosa che ricordi non è la sua concezione della musica, un dettaglio del nuovo album Romance, ma i silenzi. L’attenzione alle parole da scegliere, il pensiero dietro ogni riflessione, come se fosse in costante ricerca di un senso. 

Fin dal loro album di debutto Dogrel (2019), che diede definitivamente il la alla nuova scena post-punk irlandese che prendeva forma anche con Gilla Band e The Murder Capital, i cinque i ragazzi di Dublino erano in cerca di qualcosa. Nati con la letteratura, prima ancora che con la musica, i Fontaines D.C. in questi anni hanno tentato di scovare quel romanticismo che dà il titolo al loro quarto lavoro, Romance. Con la poesia, le chitarre, il basso e quella poetica che alterna malinconia e speranza e che, in questo disco, abbraccia la distopia, insieme a un sound più complesso e orchestrale. 

Foto di Simon Wheatley

Nonostante siano usciti dai loro confini stilistici, il fantasma di James Joyce abita ancora le loro canzoni. Prima ci sono state la “gente di Dublino”, l’immobilità dei personaggi, la notte e la ripetizione musicale e lirica. In Romance c’è la complessità di Finnegan’s Wake e dell’Ulysses. Il titolo Horseness Is The Whatness, brano scritto dal chitarrista Carlos O’Connell in Spagna, è tratto da quest’ultimo. «La cosa che ho sempre ammirato di James Joyce è la sua vena ribelle. Dopo l’Ulysses, gli chiesero se Finnegan’s Wake sarebbe stato più semplice. Lui rispose che se il primo era ambientato in una giornata a Dublino, il secondo in una notte. E di notte nulla è semplice da comprendere» spiega Conor.

Con Romance i Fontaines D.C. sono usciti da sé stessi, allontanandosi ancora di più dall’Irlanda e dalla città insita nel loro nome: «Non so come dare un senso ai miei sentimenti per Dublino in questo momento. Più a lungo le sono distante e più intensi sono quando torno». Conor, a differenza del frontman Grian Chatten che è tornato in patria tra il 2022 e il 2023 per scavarsi dentro con l’album solista Chaos For The Fly, cerca di mantenere le distanze e da qualche anno girovaga tra Londra e Parigi. È ormai cosciente, come mi farà capire nel corso dell’intervista, che l’amore e il romanticismo sono un “posto” (come recita la titletrack che apre il disco) dell’anima e non un luogo. Un po’ come la nuova rotta intrapresa dal gruppo: Fontaines D.C. is a place.

L’intervista a Conor Deegan III dei Fontaines D.C.

Partiamo da Parigi dove avete finito di registrare l’album in un castello, isolati dal resto del mondo. Com’è stata l’esperienza?
Ci ha donato delle sensazioni nuove. Questi soffitti altissimi e i finestroni giganti hanno creato un’atmosfera distante dalla nostra musica rock and roll che di solito nasce in una sala prove che assomiglia a un garage in cui siamo assiepati e stretti. Era il posto perfetto per provare a scrivere un disco che fosse ambizioso e credo che ci abbia aiutato molto nel trovare quella fiducia necessaria per spingerci oltre i nostri limiti.  

Nel tuo caso hai anche scelto di vivere a Parigi, perché? Qual è il tuo rapporto la città?
Mi sono trasferito lì per la prima volta durante il Covid nel 2020. Volevo vivere in un luogo che non fosse l’Irlanda, che condividesse i valori in cui credo e che non avesse un passato storico complicato con il mio Paese come l’Inghilterra. In quel periodo ho scritto un sacco di canzoni e ho conosciuto diversi amici, tra cui Nikolaj Schulz, un sociologo che ha scritto un libro intitolato Land Sickness che ci ha ispirato molto per Romance.

Poco dopo mi sono innamorato, ho seguito l’amore in Inghilterra e poi sono tornato di nuovo a Parigi. Ho fatto avanti e indietro negli ultimi anni. Dopo il tour in Australia e Giappone ho vissuto un momento strano. Sai quel tipo di situazione per cui stai imparando a conoscere un posto nuovo e allo stesso tempo ti senti perso. Tornare a Londra per lavorare al disco con la band mi ha aiutato in questo senso.

Quando ho saputo che avevate registrato Romance a Parigi, ho subito pensato a Tranquillity Base Hotel & Casino degli Arctic Monkeys, prodotto ai La Frette Studios. Un album con cui iniziarono una nuova fase. Ascoltando il vostro disco, credo che valga anche per voi.
Credo che nella testa dei britannici e degli irlandesi ci sia questa tendenza ad associare la Francia e Parigi alla grandiosità, alla modernità e al liberalismo. Per esempio, a me colpisce il livello di profondità del pensiero politico: le persone che incontri lì sono più coscienti e coinvolte, discutono di politica anche al pub, cosa che in Irlanda e in Inghilterra accade di rado. Da questo punto di vista non c’è distinzione tra classe media e alta.

Da noi la principale forma d’arte invece è la musica perché è la più accessibile economicamente. Una persona della working class fa molto prima a imbracciare una chitarra. Per questo motivo noi, come band, abbiamo sempre sentito il bisogno di guardare altrove. Abbiamo inserito un po’ di letteratura, abbiamo tentato con tecniche di produzione nuove più coinvolgenti e difficili da ottenere. Parigi ha molto influenzato lo stile di Romance: il sound dei primi dischi era molto più immediato e diretto rispetto a quest’ultimo.

Starburtser è forse uno degli esempi migliori di come avete tentato di espandere il vostro suono. Ci sono influenze dall’hip hop, dal club culture e Grian ha parlato anche dei Korn.
Sì, sembra strano, ma negli ultimi anni abbiamo ascoltato un sacco i Korn, anche nel backstage prima di salire sul palco. La loro è una musica molto espressiva, oltre che divertente. Credo che abbia influenzato il nostro modo di scrivere, la struttura delle nostre canzoni, il modo in cui Grian modula la voce in Romance. A questo proposito il suo album solista Chaos For The Fly l’ha aiutato molto nell’imparare a usare la voce come uno strumento. Come i sospiri che fa in Starburster: sono una soluzione lirica e sonora allo stesso tempo. Anche per la componente hip hop, Grian ha collaborato con i Kneecap. Però non ti so dire se questo può essere il sound del futuro dei Fontaines D.C.., il nostro futuro di solito dura circa 15 minuti.

Con questo nuovo album siete stati molto coinvolti nella produzione, potreste autoprodurvi un giorno?
Oh Carlos sarebbe un bravo producer. Io personalmente trovo la produzione molto eccitante, ma anche molto stressante. Mi ci perdo letteralmente. Sto chiuso in studio per ore e ore a mettere a punto e modificare le cose, penso che il suono sia fantastico e poi, dopo aver lasciato riposare le orecchie per un giorno, torno, riascolto e dico: «Ma che cazzo di suono è questo? Non è affatto appropriato». No, forse non fa per me, ma per Carlos sì.

Romance è anche il primo album dei Fontaines D.C. senza Dan Carey. Come avete conosciuto James Ford e quali sono le differenze che hai notato lavorando con entrambi?
Siamo entrati in contatto con lui grazie agli Arctic Monkeys, ci siamo incontrati in un pub a Londra ci siamo trovati bene fin da subito. Ha una sensibilità unica, l’ideale per lavorare con una band, oltre che molta esperienza. Sa esattamente come muoversi. Con Dan Carey è stato molto diverso l’approccio perché, di base, noi eravamo dei novellini e non sapevamo nulla di produzione e di come funzionassero le dinamiche tra band e produttore. Per noi era come se fosse un membro aggiunto del gruppo: discutevamo apertamente di ogni idea, talvolta addirittura prendeva uno strumento e suonava con noi.

Anche nel making of del primo album degli Squid lo si vede suonare, infatti.
Penso che sia una cosa bellissima per lui. E lo è altrettanto per le giovani band. Quando stai facendo il tuo primo disco c’è molto nervosismo che può trasformarsi in negatività. Nel nostro caso Dan è riuscito a prendere la nostra agitazione iniziale e, col suo modo di fare giocoso, a trasformarla in eccitazione creativa. È stato liberatorio lavorare a Dogrel, con un’altra persona sarebbe stato più complesso.

Quindi Dogrel è stato il vostro disco più difficile da realizzare?
No, sfortunatamente non siamo scampati alla trappola del secondo album, anzi ci è costato pure un sacco di soldi perché l’abbiamo registrato due volte. Il primo risultato, prodotto a Los Angeles, non ci convinceva a pieno e non rispecchiava l’idea iniziale avevamo in testa, così siamo tornati da Dan a Londra e abbiamo rifatto tutto. Qualche volta riascolto quella prima versione di A Hero’s Death…alla fine non suona così male.

Tornando a Romance, come mai questa scelta di colori fluorescenti per la copertina? Dal blu, al rosso, ora il verde.
Sì, abbiamo scelto questa tonalità di verde nucleare perché rappresentava al meglio l’atmosfera distopica del disco. Riflettendo…per i primi tre album abbiamo scelto solo colori primari, come i bambini (ride n.d.r.). No, in realtà Dogrel era nero e bianco. Era un album ambientato di notte in città, quando piove, i lampioni sono accesi, la gente è in piedi per strada a fumare, bere, aspettare il taxi e tu non sai mai quale strano personaggio incontrerai una volta girato l’angolo. Il blu invece era perfetto per la malinconia di A Hero’s Death, mentre il rosso trasmetteva il nostro desiderio di rendere le cose più vivide, audaci e concise con Skinty Fia.

Dogrel era ambientato a Dublino, A Hero’s Death raccontava il distacco dall’Irlanda, mentre Skinty Fia il vostro rapporto di amore e odio nei suoi confronti. Romance è il vostro disco più universale, sei d’accordo?
Sì, è proprio questo il punto. Credo che ci sia qualcosa di affascinante nel concetto di universale. Noi abbiamo sempre cercato di trovare qualcosa per cui essere romantici ed era davvero facile esserlo a Dublino, quando vivevamo lì. Il romanticismo era intorno a noi. L’abbiamo perso e desiderato durante il primo tour e poi ci siamo trasferiti a Londra. Lì c’è una diaspora irlandese, ma è un’irishness fuori contesto, un romanticismo diverso. Romance rappresenta un’area totalmente nuova, è stato il frutto di un processo in cui ci siamo spogliati del modo di intendere la nostra esistenza. In questi ultimi anni sono cambiate molte cose, per esempio Carlos ha avuto un figlio, e tutto questo ha influenzato la nostra prospettiva. Non guardiamo più solo in noi stessi, ma cerchiamo il romanticismo e l’amore in ogni aspetto della vita.

Com’è cambiato il vostro rapporto con l’Irlanda in questi anni?
È cambiato molto. Da adolescente ero molto frustrato perché era un luogo in cui il cambiamento politico era quasi impossibile. Col tempo abbiamo ottenuto qualche risultato come la legalizzazione dell’aborto, cosa che fino al 2018 metteva a repentaglio la salute di moltissime donne. È stato un grande momento per tutti, non solo per le femministe. Stessa cosa vale per i matrimoni gay. Tuttavia, a un livello sociale più profondo, penso che il cambiamento non stia ancora avvenendo veramente perché le persone vicine a questa corrente di pensiero non riescono ad andare al Governo che oggi è ancora molto conservatore. Non vuole cambiare nulla e di conseguenza non rappresenta affatto il punto di vista della gente.

A proposito di romanticismo e affetti, Favourite, per certi versi potrebbe essere anche una dedica a Dublino.
Oh, è un’interpretazione nuova. Non ci avevo mai pensato. In effetti mi rivedo molto nel verso «Cities on return are often strange». Ma devo essere onesto, penso a Favourite in modo diverso. È una sorta di canzone d’amore con cui celebriamo la nostra amicizia e chi ci è stato vicino in tutti questi anni. Anche la genesi del testo è simbolica. Grian ha scritto i primi dodici versi con molta fatica, non riusciva a venirne a capo. Così alla fine l’abbiamo completata tutti insieme. Accade raramente devo dire. Che io ricordi, è successo con Dublin City Sky – l’ho aiutato io a finirla – e con No. Per me Favourite racchiude quella sensazione che provo quando suoniamo insieme ai concerti. Spesso sul palco mi chiedo: “Caspita, da quanto tempo suoniamo insieme? Come ci siamo riusciti?”.

La vostra band, tra l’altro, è nata in modo atipico, accomunata dagli stessi gusti letterari e scrivendo poesie. Cosa ricordi di quel periodo?
È bello ripensare a quei tempi. Eravamo talmente infatuati con la poesia e la letteratura che ci prestavamo e consigliavamo libri in continuazione. Mi ricordo un giorno in cui facemmo questo gioco di scambiarci i versi. Io ero seduto con Leaves of Grass di Walt Withman aperto davanti a me e Grian aveva Wasteland di T.S. Eliot. Leggevamo un verso a testa e ci lasciavamo trasportare dal caos delle nuove sensazioni che si generavano.

È cambiata la vostra amicizia col tempo?
Beh, siamo passati dal vederci solo alle prove, al pub e a parlare di libri, a trascorrere un sacco di tempo su un bus per il tour. Lì cerchi di dormire e qualcuno parla, qualcuno lascia i suoi calzini in giro, qualcuno mangia la tua banana. Ci sono queste piccole cose che a volte ti fanno sentire un po’ così… poi, sai, niente di tutto questo ha davvero importanza alla fine. Ci vogliamo bene ancora e il nostro rapporto è centrale per la nostra musica.

Uno dei temi principali del disco è la resistenza della bellezza nella decadenza. Nel romanzo di Tom Robbins Still Life With Woodpecker, che ha ispirato Carlos, c’è questa frase che viene spesso ripetuta: “How to make love stay?”. La musica può farlo secondo te?
Sì, in qualche modo può fare qualcosa. Beh, fino a qualche tempo fa pensavo che il senso della vita fosse l’amore. Ma poi quando una relazione finisce ti rendi conto di esserti sbagliato. Quindi cos’altro c’è nella vita per provare quelle stesse sensazioni? Voglio dire, l’amore è una cosa bellissima, ma io credo che il romanticismo non comporti necessariamente l’essere amati. La musica può mostrarci il senso della vita, in tanti modi diversi. Poco fa canticchiavo You’re My Best Friend dei Queen e penso che sia bellissimo che qualcuno si sia davvero seduto al pianoforte e abbia scritto una canzone dedicata al suo migliore amico.

Parlando dell’importanza della musica, sono rimasto affascinato dal fatto che molti artisti irlandesi si siano schierati per il cessate il fuoco in Palestina.
La nostra vicinanza ai palestinesi deriva dal fatto che siamo stati oppressi dai britannici per molto tempo. Se uno legge la definizione di genocidio, anche la grande carestia irlandese lo è stata. Il Governo britannico ha tentato di distruggere la nostra cultura e non sono passati ancora nemmeno duecento anni da allora. Per cui quella ferita brucia ancora e rende gli irlandesi sempre molto solidali con qualsiasi nazione e persona oppressa.

Hai diretto il video di Favourite e non è la prima volta. Hai qualche regista di riferimento?
In realtà per video dei primi due album mi sono ispirato a Finnegan’s Wake e Ulysses di James Joyce. L’idea del libro circolare, delle cose che sembrano assurde e che, attraverso la ripetizione acquistano significato ci affascina. La ripetizione ha un effetto davvero interessante sulle nostre menti e caratterizza anche la nostra musica. Quindi ci è sembrato molto appropriato riproporlo nei video. Poi mi ha molto influenzato la serie YouTube Don’t Hug Me. I’m Scared. Ma onestamente, non ho riferimenti cinematografici, sento delle cose e faccio. Credo di essere abbastanza libero in questo senso.

Se dovessi dirigere un biopic sui Fontaines D.C. da quale scena inizieresti?
Partirei dalla prima settimana di università, quella in cui inizi a conoscere le persone e cerchi di capire con chi puoi legare. È quel periodo in cui vige ancora quel certo tipo di finzione. Si è tutti amichevoli, ma non si sa se poi nascerà una vera amicizia. Io e Grian ci eravamo appena conosciuti e parlando della serie inglese The Mighty Boosh, siamo andati a comprare il pranzo. Prendendo in mano un panino ho esclamato in modo sciocco: “Oh, White Bloomer”. Come se fosse un fiore. Ci siamo guardati ridendo e il suo sguardo mi è sembrato subito familiare. Credo che potrebbe essere indicativo del legame che abbiamo ora. Un preludio simbolico.

A che punto della carriera sono i Fontaines D.C.?
In un momento eccitante. Ci siamo lasciati andare e abbiamo superato alcune recinzioni della nostra musica del passato, in cui tentavamo di esplorare, ma ci ritrovavamo sempre dentro certi confini. Eravamo come dentro la caverna di Platone. Oggi siamo fuori e possiamo dirigerci ovunque.

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