20 anni di Franz Ferdinand: «Nel 2004 non potevamo credere che i “cool guys” di Milano conoscessero le nostre canzoni»
Con la raccolta Hits to the Head, la band capitanata da Alex Kapranos fa il punto su venti incredibili anni di carriera: un sogno a cui non riescono ancora a credere
Una volta Karl Lagerfeld lasciò per un volo il suo jet privato ai Franz Ferdinand. Lo stilista stava curando uno shooting per una rivista tedesca, di cui la band era protagonista. Ma visto che Alex Kapranos e i suoi dovevano tornare con urgenza a Glasgow a fine set, il compianto maître di Chanel gli ha offerto il suo aereo, un po’ come si presta la bici a un amico. «Non ci potevamo credere», ridacchia Kapranos. «Eravamo solo quattro ragazzi scozzesi!».
Anche oggi, nonostante i 10 milioni di album venduti, i 14 dischi di platino e i 20 anni della band che vengono festeggiati con la raccolta Hits to the Head, Alex continua a stupirsi che tutto questo possa essere successo. Vallo a dire a tutti i figli di quell’indie rock British che ancora guardano con gli occhi lucidi ai primi anni Duemila.
Ecco un estratto dell’intervista che trovate integralmente sul numero di marzo di Billboard Italia.
Ti piace il termine Greatest Hits?
Direi di sì, perché alla fine è una raccolta di hit. Io in primis sono cresciuto ascoltando i Greatest Hits che avevano in vinile i miei genitori. Avevano Changes di David Bowie, i Greatest Hits dei Rolling Stones, così come le raccolte Red e Blue dei Beatles. Magari era tutto ciò di cui avevano bisogno i miei genitori, ma per me è stata proprio un’introduzione alla musica e ai grandi artisti.
È anche bello, in quanto artista, avere un po’ tutte le cose insieme, come fanno gli artisti visivi con le retrospettive. Hai la possibilità di vedere in un colpo solo l’arco e la progressione del lavoro artistico.
Molti artisti in realtà odiano un po’ il concetto di best of…
Sì, è vero. Ma a me la cosa piace, e poi non significa che non sto più lavorando ad altre cose nuove. Dopodiché, è anche bello il fatto che la tracklist parta da Darts of Pleasure, ovvero il primo singolo che abbiamo registrato in assoluto, e arrivi a Curious, che è uno dei due nuovi pezzi inediti. Brani che sono stati mandati all’impianto di stampa dei dischi direttamente dopo il mix.
Sai cosa mi piace appunto della tracklist? Che segue l’ordine cronologico d’uscita degli album.
Sì, anche perché i pezzi hanno una coesione del sound in base a quando li registri. Se prendi Lucid Dreams, Ulysses e No You Girls, appartengono a un mondo tutto loro. Mentre Walk Away, Do You Want To e Outsiders a un altro. In più, quando ascolto questi diversi pezzi, voglio ascoltare meglio dello specifico album e del periodo in cui sono stati registrati. Mi piace.
La ragione specifica per le venti tracce è che cinque canzoni per lato, su un doppio album, sono davvero il massimo che tu possa mettere senza compromettere la qualità del suono su vinile. Se avessimo potuto metterne di più, avremmo incluso anche singoli dal nostro primo album, come Jacqueline, oppure Lazy Boy che invece è nell’ultimo: pezzi potenti, che dal vivo funzionano benissimo. Però ne abbiamo scelti venti e sono felice così.
È vero che tu e Paul vi siete conosciuti a una festa?
No, quello è Nick. Eravamo a una festa e Nick ha rubato la nostra bottiglia di vodka: è nato tutto da un litigio. Con Paul siamo amici da una vita. Ho iniziato suonando con lui a Edimburgo, lo conosco da almeno 25 anni.
Eravate dei festaioli?
Sì, lo siamo. Quando è iniziato tutto, la grande qualità della band era la socialità. Quando Bob (Hardy, bassista, ndr) si è trasferito nel mio appartamento e gli ho insegnato a suonare il basso, lui non sapeva suonare nulla. E abbiamo fondato una band insieme. Gli ho detto: “Oh, io ho un basso”. E lui: “Io ho una bottiglia di Whisky!” (ride, ndr). Così, finita la bottiglia, ci siamo messi a suonare il basso.
Quando parlo di quanto bevevamo all’inizio lo do per scontato, perché per chi nasce nella Scozia occidentale è del tutto normale fare festa. Per molte culture non è così. Però anche a voi italiani piace fare baldoria, eh?
Eccome. Ti ricordi della prima data che avete fatto in Italia?
Certo che me la ricordo! Era in un piccolo club a Milano, il Rainbow. E quella dopo è stata a Bologna. Sono state incredibili: all’epoca non ci potevo credere. Ero tipo: “Cazzo! Abbiamo una data a Milano! Wow! Guardaci!”. Era l’inverno del 2004, tipo gennaio o febbraio. Non potevo credere che i cool guys di Milano non solo ci conoscessero, ma conoscessero anche le nostre canzoni.
E se ascolto anche i due nuovi inediti alla fine della tracklist, posso tranquillamente immaginarmi una ragazza ballare. Alla fine lo avete sempre detto voi: lo scopo della vostra musica è “far ballare le ragazze”.
Lo apprezzo molto, sai? Il dancefloor è sempre stato una zona importantissima per la band, per la nostra natura. Ma non il dancefloor come una band da discoteca. Semmai, un dancefloor da rock and roll band un po’ sporca, no? E tuttora mi piace, ecco perché i nostri pezzi continuano a essere così. Perché i Franz Ferdinand sono così.