Interviste

La magia dell’accoglienza: una conversazione con Gabriele Salvatores

Il legame con Ibiza, l’importanza del concetto di “isola”, la potenza dell’idea del viaggio interiore ed esteriore: ne abbiamo parlato con il regista di “Mediterraneo”

Autore Tommaso Toma
  • Il26 Settembre 2024
La magia dell’accoglienza: una conversazione con Gabriele Salvatores

Gabriele Salvatores, foto di Claudio Iannone

Il grande regista Gabriele Salvatores (il 21 novembre uscirà il suo atteso nuovo film Napoli – New York) deve molto alle isole? Forse sì. Il suo grande successo internazionale arrivò girando proprio su un’isoletta (in quel caso era greca): vi ricordate Mediterraneo? Non molto tempo dopo, il set fu nuovamente un’isola, proprio Ibiza, per Amnesia. Questo è però un luogo speciale per Salvatores, dove ha avuto casa per anni, tra le meravigliose saline di Ibiza. Un legame con le Baleari che era iniziato addirittura nei primi anni ’70 e che Gabriele Salvatores ci ha raccontato in questa lunga intervista, disponibile anche sul numero speciale dedicato a Marco Carola e a Ibiza.

L’intervista a Gabriele Salvatores

Mi permetta di avvicinarla a un regista che so che lei rispetta molto, Wim Wenders. Mi affascina da sempre come riuscite entrambi a essere potenti nell’evocare il tema dello spostamento, della fuga non solo nello spazio, nei luoghi, ma anche interiore. Per esempio in Paris Texas mi è sembrata ancor più potente e struggente l’idea della fuga e del desiderio di spostarsi, nelle scene quasi claustrofobiche girate dentro il peepshow e nelle grandi inquadrature del deserto. E nel suo delizioso Il Ragazzo Invisibile ci sono tanti viaggi interiori descritti in una cornice di una città di transito come Trieste. Perché l’idea del viaggio interiore ed esteriore è così potente in lei?
Sono cresciuto in un’epoca in cui il viaggio aveva una valenza di significato molto ampia ed era inteso in tutti i sensi. Non si trattava solo di spostamento geografico, ma anche di veri e propri trip con la mente, stimolati anche da una certa letteratura. Quando ero giovane lessi tante volte Sulla Strada di Jack Kerouac e in qualche modo mi formò. Ma paradossalmente non sono uno che ama viaggiare da solo, anche se tutti hanno detto che io sarei “il regista della fuga”.

Gabriele salvatores intervista
Gabriele Salvatores

In realtà – come più volte nel tempo ho detto nelle interviste – ogni volta che parto ho un pochino di ansia e fare le valigie mi crea sempre dei piccoli problemi. Detto questo, lei ha centrato il problema con la domanda, perché – al di là dei viaggi a livello geografico – la cosa che mi ha sempre affascinato è lo spostamento fuori dalla propria comfort zone. In un mio film, Nirvana, il protagonista fa un viaggio a livello virtuale, scopre un mondo nuovo senza muoversi fisicamente. Arrivare in luoghi o situazioni completamente diverse da quelle abitudinarie ti rende più vulnerabile ma forse più sincero. Vorrei fare un altro riferimento letterario.

Quando facevo teatro, uno dei testi che mi affascinavano sempre era Sogno d’una notte di mezza estate di Shakespeare, dove sono protagonisti quattro ragazzi che fuggono da Atene, il regno della luce, della ragione e della stabilità, per ritrovarsi in un bosco popolato dagli spiriti della notte che è proprio il regno dell’irrazionale, dell’istinto animale, dell’imprevedibile. Rimangono talmente spaventati che alla fine tornano a casa tranquilli, da bravi ragazzi.

Citando Sogno d’una notte di mezza estate ha creato il legame perfetto con il tema Ibiza perché i ragazzi che arrivano nell’isola sono un po’ come quei giovani ateniesi. Sono attratti dalla notte e dall’irrazionalità. Ma Ibiza è anche un luogo dalla doppia anima. Le persone si perdono nel cuore di una notte in discoteca ma anche si ritrovano tramite percorsi spirituali, di meditazione.
Sì, io fino a 5 o 6 anni fa avevo una piccola casa in affitto a Ibiza, ricavata in un’area naturale dalle abitazioni dei lavoratori delle saliere. Era piccolina, vicina al mare e l’avevo trovata ai tempi di Amnesia, il film che girai lì a inizio anni Duemila. Quando soggiornavo lì facevo una vita semplicissima. Sveglia alla mattina, lunghi bagni, un caffè di pomeriggio e poi, tranne qualche visita di amici, riuscivo tranquillamente a passare un sacco di tempo senza vedere nessuno. E pensare che io snobbavo Ibiza perché ero stato tanto tempo prima a Formentera.

Nel 1972 ci misi piede per la prima volta e mi ricordo che ci venivano spesso i Pink Floyd, dopo che alla fine degli anni ‘60 avevano composto le musiche per More, il film di Barbet Schroeder, girato proprio a Ibiza e Formentera, che all’epoca era desolata. Io pensavo che Ibiza fosse troppo legata al mondo della notte. E invece, grazie a un amico inglese che era andato a vivere ad Ibiza, finalmente la scoprii e le assicuro che, avendo avuto una residenza per anni, non è solo questo mondo della notte. Perché quella vita alla fine si limita a un lembo di territorio molto ristretto.

Se ti addentri nell’isola, nelle campagne, per esempio puoi trovare delle deliziose trattorie gestite dai campesinos che ti cucinano solo pollo fritto o solo agnello… La gente di Ibiza – ma in generale in Spagna – è molto ospitale. Si dice tanto che noi italiani lo siamo, ma lo sono molto di più. E comunque ti puoi addormentare sotto un fico e se non vuoi vedere gente, se vuoi passare per invisibile, ci riesci tranquillamente! Io consiglio anche di andare sopra o intorno alla leggendaria roccia di Es Vedrà, che non era lontana dalla mia casa ed era un luogo mistico dove gli hippie compivano i loro riti esoterici. Tutte e due sono isole bellissime.

Pensa che durante la Grande Inquisizione gli spagnoli spedivano da queste parti i reietti, i ladri e gli omosessuali. Mentre a Formentera ci relegavano le streghe e gli stregoni. Queste due isole sono dunque cresciute con una grande capacità di accettare e comprendere la diversità. Ibiza ha saputo accogliere perfettamente la club culture con questi presupposti.

Tanti che vivono l’isola con un certo equilibrio tra momenti di intimità e di socialità hanno il terrore degli influencer che postano luoghi idilliaci o nel mezzo dell’isola, catturando così l’attenzione di un turista irrispettoso delle regole e dell’ambiente…
Non vorrei passare per reazionario, ma l’isola è un ecosistema anche fragile. Di sicuro il turismo di massa – i voli low-cost soprattutto su Ibiza e Formentera – hanno creato dei problemi molto grossi perché i turisti arrivano spendendo pochissimo, li mettono a dormire in posti assurdi. Vanno a mangiare più o meno bene o più meno male, trovando la prima occasione. Insomma, fanno due cose e ripartono, senza aver ben capito neanche dove fossero esattamente. Ecco, questo tipo di fuga è diametralmente opposta ai miei principi o ai pensieri che esponevo prima.

Farei una chiosa finale sul concetto di isola. Mi sembra il luogo perfetto per chi non ama troppo viaggiare perché è un po’ una situazione claustrofobica. Ti senti protetto ma nello stesso tempo sei lontano da tutto.
Assolutamente vero, e non è un caso che ci ho fatto un film, Mediterraneo, che racconta questo aspetto. Le isole hanno vantaggi e svantaggi. Gli svantaggi sono il fatto che la popolazione è particolare perché vive su un’isola (ride, ndr) ma i vantaggi sono enormi. A partire da pace e tranquillità. Mi è venuta in mente una cosa che ho letto o sentito in qualche film. È una frase illuminante: “Le navi in porto sono sicure, ma le navi non sono fatte per questo”.

Volevo fare un giochino, identificando quattro decenni dagli anni ‘70 a un decennio del nuovo secolo con quattro canzoni che rappresentano una sorta di escapismo, di fuga, tramite il ballo.
(Ride, ndr) A parte che io non ho mai ballato, al limite io suonavo negli anni ’70… Questa è una domanda bellissima ma difficilissima, anche perché la musica che amo di più è proprio quella ballabile. Negli anni ’70 ci sono stati dei brani straordinari. La prima canzone che mi viene in mente ora è Gimme Shelter dei Rolling Stones. Negli anni ’80 sono esplose alcune band fondamentali per me, i Police con Walking on The Moon, Sultans of Swing dei Dire Straits, Let’s Dance di David Bowie… Gli anni ’90 li conosco musicalmente un po’ meno ma mi vengono in mente i Depeche Mode e dei brani di musica di elettronica favolosi. Per quanto riguarda l’oggi, penso a David Guetta, a rappresentare un po’ tutto il mondo dei DJ anche a Ibiza.

Nel suo prossimo film Napoli – New York lei si è avvicinato a un grande del cinema italiano, Fellini: il soggetto parte da un suo breve testo, giusto?
In realtà ho avuto in mano una vera e propria novella del Maestro, ben 58 pagine, già con molti dialoghi e ho seguito abbastanza fedelmente questo scritto di Federico Fellini e i personaggi che sono i protagonisti di questo racconto. Ma la cosa curiosa è che non è per niente un film felliniano, nel girarlo mi sono venuti in mente di più De Sica o la scuola neorealista. Si tratta di film in tre capitoli, dove protagonisti sono due scugnizzi napoletani che alla fine degli anni ’40 decidono di imbarcarsi come clandestini per andare a New York. Allora i migranti eravamo noi ed è questa una chiave che mi interessava portare nuovamente in superficie.

Gabriele Salvatores

Un altro film sul viaggio e sulla fuga da una realtà.
Sì, ma c’è dentro questo tema grossissimo dell’immigrazione. È come se volessi lanciare questo messaggio: “Guardate che una volta eravamo noi negli scafi delle navi a cercare una vita nuova e migliore”. Napoli – New York è però anche un film che parla molto di solidarietà, di quello che succede quando fai un viaggio quasi per necessità, di quello che accade a due persone piccole nel cambiare per sempre il proprio destino cercando una nuova vita da gestire, dar forma con le proprie mani, senza lasciare niente al destino.

Le è piaciuto il film Nuovomondo di Salvatore Crialese, con quella scena del bagno dei protagonisti nel latte?
Sì, assolutamente. Ma il mio film l’ho voluto girare come se fosse proprio un film classico come quelli che mi piacevano da ragazzo. Sarà un racconto diviso in tre atti. Il primo atto si svolge a Napoli, il secondo sulla nave, il terzo in una New York riprodotta in studio.

Come si è trovato a lavorare con Pierfrancesco Favino?
Pierfrancesco lo conosco da tanto tempo. È una persona straordinaria e fantastica. Sai quando si dice “una persona gentile”? Oltre ad essere una persona colta che ha fatto tanto teatro e un attore capace di avere un sacco di sfumature diverse. Amo molto gli attori e punto molto sul loro talento. Tornando alla musica, cito sempre una risposta di Miles Davis quando gli chiesero perché voleva John Coltrane in proprio nel suo quartetto: “Perché non voglio un sassofonista, voglio qualcuno che cambi la mia musica”. Ecco, mi aspetto dagli attori che possano in qualche modo contribuire alla creazione del film.

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