Gaia, esce “Alma”: «Stiamo andando verso un no gender anche nella musica»
A più di un anno di distanza da “Nuova Genesi”, è uscito ieri il secondo disco di inediti dell’artista italo brasiliana, che racchiude la sua “anima” musicale
La rilevanza artistica di Gaia e il suo rinnovato equilibrio fra urgenza espressiva e consapevolezza erano già emersi lo scorso settembre sul palco del MI AMI ANCORA. Oltre all’estate, alla festa, all’abbraccio del pubblico, e degli amici Rkomi, Margherita Vicario, Francesca Michielin, Selton, J Lord, a spiccare erano la ricerca di immediatezza, l’energia e il desiderio di libertà dai cliché artistici e identitari.
La stessa determinazione fa ora da centro al nuovissimo Alma, uscito ieri per Sony Music Italy/Columbia Records. L’album è denso di soul e vibrazioni, di oceano ed emotività, come il titolo promette. Accanto al singolo apripista, Nuvole di zanzare – indolente fantasia di post estate, di cui il videoclip diretto da Giulio Rosati e prodotto da Martino Benvenuti e Think Cattleya, rivela i risvolti più introspettivi – sfilano l’eleganza bluesy di Fita do Bonfim, la spigolosità contagiosa di Paranué, con Tedua perfetto nel ruolo di guastatore in controtempo, la dichiarazione d’amore e di intenti della title-track.
In Marina i suoni caldissimi delle tastiere vintage e l’incastro poliritmico fra percussioni e linea vocale rendono qualcosa di latin la romanità di Gemitaiz. Occhi & Jeans, invece, ci dice che è sempre tempo per sognare una prossima estate. Cuore Amaro coniuga mediterraneità e metropoli, mentre Ginga è divertissement matriarcale 2.0 condiviso con Francesca Michielin e Margherita Vicario, che riprende il discorso dal punto in cui si era arrivati con Luna, il bellissimo feat. sull’album di Madame.
In questo, come in tutti i pezzi, è importante il gioco di sfumature che rende i suoni significanti alla stregua di parole e viceversa. A chiudere l’album è l’avvolgente e appassionato finale di Sem Tu, che si ricongiunge al manifesto poetico del titolo e regala una chiave per accogliere il delicato, ma volitivo invito di Gaia ad entrare nel suo mondo. A voi un piccolo estratto dalla nostra bellissima chiacchierata cantautrice che uscirà sul prossimo numero di Billboard Italia.
Credo che sempre di più si stia andando verso un no gender anche nella musica. È più veritiero rispetto al nostro vero modo di essere un approccio che lasci da parte le etichette, che contrapponga la riotness all’incasellamento. Non mi interessa definire che genere faccio. Come non interessa a molti altri musicisti della mia generazione, perché tutto in arte, come nella società, si sta aprendo.
Siamo cresciuti in un momento transitorio rispetto al dover essere in un certo modo, rispettando canoni, scelte e uno schema cisgender bianco patriarcale, in cui tutti sembra che tutti si debbano riconoscere. Mia sorella ha 12 anni e per lei la fluidità è scontata: io mi innamoro della persona non di un genere e posso ascoltare Doja Cat e poi i Pink Floyd ed è ok. Sono due risvolti della medesima percezione di sé. Un tempo invece era un fattore identitario riconoscersi in un certo movimento e classificare come opposte tante cose che in realtà non lo sono.
Sì, perché in Italia non c’è ancora la struttura per sostenere questo tipo di visione artistica. Ci stiamo arrivando, ma per ora a volte non si comprende come un progetto artistico possa essere sensoriale a 360 gradi. Allora perché questa visione sia difendibile, sento di dover far sì che tutto abbia una coerenza. Desidero avere una visione da portare in musica, come sul palco, sulla copertina del disco e nella promozione.
Inizialmente il processo creativo è stato tortuoso, perché ci sono tante aspettative quando fai un secondo disco. In parte te le crei, in parte il processo iniziale, quello in cui pensi molto e devi ancora sbloccare delle cose, ha bisogno di maturare per lasciare che l’istintività fluisca nella maniera più intatta. Nel disco figurano solo le canzoni che si sono concluse senza forzature, in modo non meccanico, tornando alla scintilla iniziale. La cura del dettaglio è arrivata dopo.
Quando inizio a scrivere non scelgo la lingua. È il mio urlo riot rispetto all’incasellamento che ci vuole sempre uguali anche a noi stessi per essere credibili.
Semplicemente, quando ho fatto Sanremo, il senso complessivo del disco e la vocazione di questo album non c’erano ancora. Avevo delle canzoni ma non ancora il progetto. Per questo ho preferito non fare uscire nulla.
Una verticalità che non si gioca fuori, ma all’interno di noi stessi. La ricerca di quella parte divina che ci fa diventare veramente ciò che possiamo essere, che ci innalza, ma anche ci direziona.