Galeffi cala il “Settebello”: «Un antidoto alla noia di questi giorni»
Il 20 marzo esce il nuovo album di Galeffi: conferma la sua cifra cantautorale e si vuole dichiaratamente distaccare dall’etichetta di indie
Dopo il plauso trasversale raccolto con l’album d’esordio Scudetto del 2017, Galeffi (nome d’arte del cantautore romano Marco Cantagalli) ha girato l’Italia in tour da nord a sud. Poi si è preso un anno per scrivere e produrre il suo nuovo capitolo discografico, il fatidico “secondo album” (in questo caso il riferimento a Caparezza è d’obbligo). Settebello adesso è pronto per vedere la luce: il disco esce questo venerdì (20 marzo) per Maciste Dischi / Polydor / Universal Music. Un album che conferma la sua cifra cantautorale (con qualche gioiellino di songwriting: si ascolti il singolo America) e che si vuole dichiaratamente distaccare dall’etichetta di “indie” che spesso, per comodità, viene applicata al suo autore. Galeffi è un cantautore, punto.
Dopo che hai avuto ottimi riscontri di critica e di pubblico con Scudetto, come hai vissuto questi mesi prima della pubblicazione di Settebello? E che aspettative hai per questo tuo nuovo capitolo discografico?
La parte più complicata è stata cominciare a scrivere le nuove canzoni, perché un po’ di responsabilità la sentivo, effettivamente. Finito il tour di Scudetto, a Natale 2018, il mese successivo l’ho passato con gli “strascichi” del tour, dovevo ricaricare le pile e riprendere la bussola. È stato un mesetto in cui avevo una sorta di blocco del cantautore. Ma dopo che sono partito è andato tutto in discesa. Non so cosa augurarmi per questo disco, perché comunque uscire in un periodo come questo non è il massimo. Io e il mio staff abbiamo comunque pensato che potesse essere “romantico” uscire adesso, perché era bella l’idea di fare compagnia alle persone, di dare un antidoto alla noia, anche instaurando un rapporto più intimo con i fan. Questo disco non è molto diretto: ti mette nelle condizioni di dover ascoltare un po’ di volte una canzone per apprezzarla veramente.
Settebello è stato interamente prodotto dai Mamakass, una collaborazione iniziata con Mai Natale del 2018. Come mai hai voluto affidare tutto a loro?
Li conosco perché siamo tutti autori per la Warner Chappell. Li ho conosciuti lavorando per canzoni che hanno cantato o canteranno altri artisti. Lavorando assieme abbiamo capito che eravamo molto compatibili nell’approccio alla musica. Avevamo quella scintilla comune che hanno i pazzi che fanno la musica per lavoro. L’amore per un certo tipo di ricerca, la gioia di fare jam session, senza la preoccupazione di fare la hit, la libertà di sperimentare e anche di sbagliare… Mi piaceva questa loro voglia di non accontentarsi, e dato che anch’io sono fatto così ho pensato di fare il disco con loro.
America ha un incedere vagamente “jazzato” che si discosta un po’ dal songwriting per il quale ti conosciamo. Mi racconti le suggestioni sonore che sono confluite in quel brano?
Il brano nasce da una mia necessità di avere una sorta di “perla” del disco. Nei dischi altrui, io adoro quelle canzoni “sfigate” che però poi a lungo andare sono quelle che difficilmente ti togli di dosso. Dato che sono un amante della musica jazz, per il testo e per il tipo di armonia questa canzone mi sembrava quella più idonea. Poi i Mamakass sono stati bravi a renderla la canzone meravigliosa che è. Posso dirlo?
Devi. Cercasi Amore invece ha un piglio decisamente più rockettaro e un testo particolarmente duro. Sembra un brano in cui avevi voglia di buttare fuori un po’ di rabbia…
Lo è. Era un momento in cui ero un po’ arrabbiato, diciamo così. Comunque – a ben guardare – Camilla (pubblicata in Scudetto, ndr) è una canzone che ha delle assonanze con Cercasi Amore. Quest’ultima è una Camilla più incazzata, sicuramente, e il testo parla di altre cose. Però mi sembra un’evoluzione, coerente con il Galeffi di Scudetto. America lo so che è un pezzo che i miei fan stanno facendo fatica ad apprezzare. Con Cercasi Amore, invece, siamo sempre in quella proposta musicale di sempre.
Come in Scudetto, in Settebello c’è una traccia strumentale intitolata non a caso Quasi Quasi (l’altra si intitolava Quasi, ndr). Come mai senti il bisogno di inserire questi “intermezzi” all’interno dei tuoi album?
Sono entrambi dei casi. Quasi è stata messa in Scudetto all’ultimo, l’ho fatta in un giorno con mio fratello. Quando stavamo per chiudere tutti i mix e i master, ho pensato: “Ma cavolo, ho una canzone che si intitola Tottigol e non la metto come numero 10? Devo trovare un’altra canzone”. Solo che non c’erano i tempi tecnici per farlo, quindi ho pensato di fare una strumentale. Per Quasi Quasi, invece, la ragione è diversa. Non volevo fare la strumentale, anche se poi l’ho messa nel disco e ovviamente ho giocato sul titolo. Io volevo fare comunque dieci tracce e c’era questa canzone di cui avevo il giro di piano che mi piaceva molto ma non riuscivo mai a trovare parole e melodia giuste. Dato che era bella anche come strumentale, l’ho lasciata così e l’ho intitolata Quasi Quasi.
Trovo che l’aspetto visivo delle tue produzioni abbia un’estetica piuttosto curata e ricercata, sia nell’artwork che nei video. Tu dai indicazioni precise alle persone con cui collabori o lasci fare tutto a loro?
Dipende. Sia per i videoclip che per l’artwork, quando ho delle idee forti do io il mio spunto. Per esempio il video di America l’ho scritto io. Per un pezzo così “strano”, maturo anche per i miei fan, ho pensato di rendergli onore anche a livello visivo per fare arrivare ancora di più la canzone. Subito mi è venuto in mente di trovare delle assonanze con La La Land, tutto quel mondo jazz, musical, romantico senza essere mai trash. Dolce, delicato, elegante, raffinato. Mi sono riguardato il film, ho selezionato delle scene di riferimento e le ho girate ai registi. Nel caso dei video di Cercasi Amore o Settebello ho lasciato che facessero loro. Per quanto riguarda l’artwork, i ragazzi di Mine Studio sono davvero bravi. Abbiamo fatto un po’ di brainstorming e gli ho detto che mi piaceva l’idea di quel mondo cinematografico di una volta. Per esempio abbiamo usato sempre questa colorazione del titolo in giallo, un po’ in stile Nouvelle Vague. Anche per le foto ci siamo studiati molto la fotografia francese dell’epoca.