Golden Years fa festa a modo suo con “Tighididà”: l’intervista
Il primo singolo, una combo inedita tra Franco126 e i Dov’è Liana, del nuovo progetto solista del producer romano è il manifesto di quello che sarà l’album. Imprevedibile, elegante e distante dai soliti cliché

Foto di Tommaso Biagetti
Il ritorno di Golden Years ha il suono di una festa, i colori accesi di un groove trascinante e quattro sillabe prive di significato, ma ricche di sentimento: Tighididà. Il singolo, uscito ieri, che anticipa il prossimo progetto solista del produttore romano Pietro Paroletti, è un punto di partenza che mette in chiaro fin da subito l’anima e le intenzioni del disco. Il cantautorato e i versi personali di Franco126 – con il quale è nato un vero e proprio sodalizio dopo l’intera produzione di Futuri possibili – rappresentano la base da cui partire. Il riff di basso e il french touch del collettivo francese Dov’è Liana, l’impronosticabile. «Ho evitato di ricalcare cliché e collaborazioni che avevo sentito in altri dischi, anche se devo ammettere che è davvero complicato» spiega il producer.
Questa difficoltà ha spinto Golden Years a non cercare i featuring a tutti i costi. Tant’è che ci rivela in esclusiva che molti dei brani della tracklist sono cantati da un solo artista. Il suo prossimo progetto, il primo dopo l’EP ERA SPAZIALE del 2023, è ancora basato fortemente sull’istinto e sul lavoro di squadra a stretto contatto umano con gli ospiti. Il tutto senza però mai perdere l’equilibrio perché non sempre è buona la prima. «Lavorare con Franco a un intero album mi ha fatto capire l’importanza di darsi il tempo di sbagliare e trovare la strada giusta senza la pressione di dover partorire un singolo in poco tempo». Correndo a testa in giù, nel tempo di un beat che fa Tighididà.
L’intervista a Golden Years
Come mai hai scelto di partire da Tighididà per anticipare il tuo nuovo album?
Questo singolo l’ho sempre considerato come un punto di partenza, forse perché probabilmente è stato davvero, in ordine cronologico, il primo pezzo scritto del disco. Da un lato mi piaceva l’idea di partire con un uptempo e una canzone che fosse divertente, dall’altro la presenza di Franco crea un filo rosso tra il suo album, al quale abbiamo lavorato insieme, e il mio. Diciamo che Tighididà sintetizza diverse cose che saranno nel progetto, tra cui queste combo inedite tra artisti.
Come è nata l’idea di coinvolgere i Dov’è Liana?
Li seguivo da tempo e sei mesi fa li ho invitati in studio il giorno dopo un loro concerto. Mi affascina soprattutto la loro passione per l’Italia. Sono francesi ma cantano in italiano e adorano la musica del nostro Paese. Hanno anche vissuto per un periodo a Palermo. Dicono che vogliono trasferirsi a Roma prima o poi. Questa cosa dona loro una poetica unica, soprattutto nella creazione delle frasi e nell’utilizzo delle parole. Mi viene in mente il verso: “Sui muri della rivoluzione la giovinezza sta gridando”. A un primo ascolto sembra una cosa non-sense, ma in realtà genera un mood. Queste liriche un po’ surreali si mescolano poi col sound minimale e quel french touch che mi hanno conquistato da subito. L’idea di mettere un autore come Franco, che ha scritto una strofa “privata”, accanto al loro universo, mi stuzzicava e alla fine si è creata un’alchimia.
Senti che è più difficile oggi trovare delle soluzioni mai viste, dato il grande numero di featuring nei vari dischi? Sembra che ormai si sia visto di tutto.
Io ho cercato di evitare di ricalcare cliché e collaborazioni che avevo sentito in altri dischi, però ammetto che è davvero complicato. Infatti, ti rivelo che nell’album molti pezzi sono cantati da una persona sola e uno dei motivi è proprio questo. Credo che con il gioco dei featuring, che ovviamente è molto divertente, dal punto di vista discografico e dei numeri arricchisca, però il pericolo è di perdere un po’ la forza della forma canzone e della scrittura. C’è il rischio che vengano fuori dei pezzi “Frankenstein” con strofe diverse di artisti che non si conoscono e non si parlano. Invece io al rapporto personale ci tengo molto. Quindi sì, è davvero difficile trovare delle combo inedite. Lo stesso Franco, per esempio, è uno che ha fatto featuring con tantissimi artisti.
Con Franco126 c’è ormai una sorta di sodalizio, soprattutto dopo che hai prodotto il suo ultimo album. Prima di Futuri possibili avevi sempre lavorato sui singoli. Com’è cambiato il tuo approccio nel curare un intero progetto?
È stato bello. Oggi è raro vedere un disco pop con un solo produttore, è una cosa quasi demodé. Nel nostro caso ci siamo trovati benissimo anche perché ci conosciamo da tempo e questo è un punto di forza fondamentale. Il fatto che abbiamo deciso a monte che avremmo fatto tutto il disco insieme ci ha donato una mentalità diversa rispetto a quando si lavora a una singola canzone. Si deve arrivare a un obiettivo comune, anche sbagliando strada a volte, ma cercando di ottenere il risultato migliore. Io ero abituato a lavorare su uno o due pezzi, a fare la session e aspettare di capire se il brano sarebbe finito nel disco oppure no. Qui è un lavoro di squadra.
Hai anche meno pressioni quindi?
In un certo senso sì. Con Franco alla fine avevamo creato una vera e propria simbiosi. Eravamo entrambi convinti di lavorare a Roma piuttosto che affittare uno studio a Milano per otto ore e questo ha contato molto. Per esempio, se un giorno dopo due ore capivamo che non era aria, ci si salutava e ci si rivedeva la settimana dopo. Il primo pezzo di Futuri possibili l’abbiamo scritto due anni fa e alla fine ne avevamo una trentina in totale. Questo modo di lavorare è molto bello e mi piacerebbe ripeterlo con qualche altro artista. Perché poi il problema di lavorare con persone che conosci solamente in superficie e che vedi per due giorni con l’obiettivo di portare a casa una canzone a tutti i costi è che non hai il tempo di sbagliare. Semplicemente o è buona la prima o ci si riaggiorna tra tre anni.
Quest’esperienza ha cambiato anche il tuo modo di scrivere canzoni o segui ancora l’istinto?
In generale continuo a credere che la prima cosa che fai sia la più genuina e bella. Il più delle volte un cantante dà il meglio nella prima prova, soprattutto perché applica meno filtri. Questa cosa cerco sempre di conservarla, per esempio, molte delle voci che sono sul mio nuovo disco sono le prime take o addirittura i provini e sono state tenute con tutti i difetti. L’unica cosa che nel tempo mi ha fatto mettere in discussione il credo cieco nell’istinto è che ho capito che rischia di diventare una sorta di giustificazione ideologica per la mia pigrizia. Mi sono reso conto che a volte il primo risultato era il migliore perché non mi andava di tornare a lavorarci sopra.
È una questione di equilibrio in fin dei conti.
Sì, ed è molto difficile capire dov’è la linea di confine tra la naturalezza e l’overthinking che magari ti fa perdere la scintilla. Dove bisogna fermarsi? C’è una prima parte di creatività pura, che è quella irreplicabile, poi c’è il labor limae che però non deve superare una certa soglia perché sennò si torna indietro anziché avanzare.
In questo periodo oltre ai producer album stanno diventando sempre più centrali anche i live dei produttori. Penso ai concerti ricchi di ospiti di MACE o Night Skinny. Ti piacerebbe dare vita a uno spettacolo simile?
Se riuscissi a trovare il contesto giusto sarebbe molto bello. Tuttavia, al momento non è che faccio musica a mio nome con l’obiettivo di fare dei concerti. Per i live deve crearsi l’occasione giusta. La mia idea, qualora si presentasse la possibilità, è di proporre i miei pezzi con arrangiamenti diversi e mischiare un po’ le carte. Per esempio, far cantare a qualcuno la canzone di qualcun altro. Vorrei creare una dimensione collettiva dove alla base c’è uno scambio tra tutti gli artisti coinvolti. In quel caso sarei molto contento.
Per descrivere il sound di ERA SPAZIALE avevi citato i Gorillaz, per il prossimo progetto hai un nome?
Stavolta è più complicato. C’è tanta musica italiana secondo me, quindi penso ad alcuni cantautori degli anni Settanta, a Lucio Battisti e Carella. Poi ci sono i Jungle che ho ascoltato molto e che forse hanno influenzato anche il mix e il suono da disco music di Tighididà. Loro sono stati importanti nella scelta dei dettagli finali del sound. In generale però il disco è molto vario, per cui è difficile trovare un leitmotiv.