Interviste

Quando l’Uomo Ragno ti fa tornare a scuola: l’intervista agli attori della serie sugli 883

La serie Sky Original, miglior debutto degli ultimi otto anni con oltre un milione e 300mila spettatori di media, ha come protagonisti Elia Nuzzolo (Max Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli. Ci siamo fatti raccontare la loro vita sul set

Autore Samuele Valori
  • Il28 Ottobre 2024
Quando l’Uomo Ragno ti fa tornare a scuola: l’intervista agli attori della serie sugli 883

Foto di Lucia Iuorio

La storia di Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli ha delle assonanze con quella di Max Pezzali e Mauro Repetto. Entrambi, appena usciti dalle scuole superiori, si sono ritrovati sul set con uno dei registi più rilevanti (e sregolati) del nostro cinema, di nuovo seduti tra i banchi di scuola. La loro esperienza con Sydney Sibilia (qui la nostra intervista) e gli altri registi Francesco Ebbasta e Alice Filippi sul set della serie Sky Original Hanno Ucciso l’Uomo Ragno – La Leggendaria Storia degli 883 ha permesso ai due attori di rivivere il loro coming of age, non solo quello dei due protagonisti della serie.

Elia, come Max, ha imparato a gestire le energie, a concentrarsi sulle cose che realmente contano senza disperderle in inutili pensieri. Matteo, invece, ha assaporato la soddisfazione di essere entrato a pieno nell’anima del suo personaggio, comprendendone e condividendone le scelte. Anche la serie Hanno Ucciso l’Uomo Ragno – La Leggendaria Storia degli 883 ha qualcosa in comune con il disco: non racconta solo dei due ragazzi dietro quei tre numeri ma, in fondo, parla un po’ di tutti noi. 

L’intervista a Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli

Quale è il vostro rapporto con gli 883, li ascoltavate prima della serie?
Elia
: Io li ascoltavo tanto al liceo con i miei amici. Ricordo lo shock da piccolo quando scoprii che qualcuno aveva ucciso l’Uomo Ragno (ride ndr).

Matteo: Io li ascoltavo in compagnia, di rado in cuffia. Alle pizzate dopo le partite di basket, con la squadra, si andava sempre in questi locali di provincia con il karaoke e le canzoni di Max Pezzali non mancavano mai.

La prima metà delle serie è ambientata nel quinto superiore. Che ricordo avete di quel periodo e che effetto vi ha fatto metterlo in scena?
E: Con il fatto che non mi sono vissuto molto bene gli ultimi anni delle superiori, a parte gli amici, per me è stata una sorta di seconda possibilità per cercare di riviverla meglio.

M: A me ha fatto un effetto piacevole: i banchi, i compagni e tutta quella roba lì mi hanno dato delle buone sensazioni.

Essere attori è sempre stato il vostro sogno?
E:
Io ho iniziato a capire che volevo diventarlo intorno ai quindici anni. L’anno successivo alla fine della scuola mi sono ritrovato su un set. Noto diverse cose in comune tra la mia storia quella e quella di Max e Mauro. Un successo, o comunque una grande occasione con un regista importante, che arriva dal nulla.

M: Sì, anche per me vale lo stesso. Recitando a teatro con la scuola ho capito che fare l’attore mi rendeva felice. E sono d’accordo anche sulle somiglianze, d’altronde questa serie non racconta solo la storia dell’inizio degli 883, ma è un po’ la storia di tutti coloro su cui magari nessuno avrebbe puntato, ma che alla fine ce la fanno.

Com’è stato lavorare con Sydney Sibilia?
E: Per noi è stato il punto di riferimento. Da un lato ha sempre avuto questa tendenza a proteggerci e a starci vicino in ogni necessità. Dall’altro era giustamente molto pretenzioso e con i suoi modi ci ha fatto capire che giocavamo in Serie A e che l’attenzione doveva essere sempre alta. Sapeva cosa poteva chiederci e la cosa stupenda è che lui è una persona che, se fai una cosa fatta male, te lo dice. E per un attore non c’è niente di meglio perché sai che ti puoi fidare e che non lascerà mai passare una scena venuta male.

M: Essendo un genio, la sua sregolatezza e le sue idee ti travolgono come un tornado e tu devi adattarti a quella velocità. Un po’ come le gare NASCAR. Col passare dei mesi abbiamo iniziato a parlare la sua stessa lingua, la lingua Sydney, e ci siamo accordati con la sua innata sensibilità comica.

Com’è stato il provino?
M:
Si parla di quasi dieci anni fa, eravamo minorenni. Mi ricordo di aver fatto la scena del primo incontro tra Max e Silvia al funerale, ma ovviamente non sapevo minimamente chi fosse quel “Massimo”. Era un progetto top secret.

E: I primi due mesi di provini era un Massimo generico. Io mi ricordo che quando ho saputo che avrei interpretato Pezzali ero convinto che non c’entrassi nulla, mi ha convinto parlare con i registi. E poi non avevo mai cantato prima di allora e all’inizio è stato un disastro. Poi mi hanno affiancato Ciro Caravano dei Neri per Caso e ha fatto il miracolo.

Che tipo di lavoro avete fatto per entrare nei personaggi?
E: Io ho letto le due biografie a cui si è ispirata la serie e poi mi sono chiuso per mesi su YouTube a vedere le primissime interviste degli 883. Era l’unico modo per cercare di avvicinarmi il più possibile alla sua voce.

M: Gran parte del lavoro poi è arrivato dopo. Abbiamo dovuto trovare una nostra sintonia. La sceneggiatura è scritta in modo tale che i due protagonisti si trainino a vicenda a seconda della situazione. Tutto ciò che accade nelle varie scene, talvolta anche un po’ sopra le righe, l’abbiamo in qualche modo creato io ed Elia. Sono idee che sono nate dal nostro incontro, ci fosse stato un altro attore al posto suo, sarebbero state differenti. È anche questo il bello del recitare.

Quale era la paura più grande che avevate?
M
: La responsabilità di rappresentare una persona reale e il timore di deludere i numerosissimi appassionati che seguono gli 883.

E: Tra l’altro le persone che abbiamo interpretato sono ancora vive, la nostra missione era ancora più difficile di quella, per esempio, di Rami Malek in Bohemian Rhapsody (ride ndr). A parte gli scherzi, noi abbiamo fatto il massimo. Un po’ ci ha tranquillizzati lo stesso Max quando ci è venuto a trovare sul set a Pavia. Ci ho anche cantato insieme. Mi ricordo che una volta sul set, mentre stavamo girando, lo sentivamo ridere dallo stand-in e siamo stati costretti a rigirare la scena più volte.

La scena più complicata da girare?
E: Io non ci devo neppure pensare: quella a Milano in auto in cui Max e Mauro sono imbottigliati nel traffico. Dovevo fare un mucchio di cose contemporaneamente: accendere la macchina, frenare, seguire il carrello della telecamera, dovevo stare attento alla battuta di Matteo per ripartire girando il volante che era durissimo. Intanto parlare con un caldo bestiale. Io poi avevo sempre quel giubbotto di pelle.

M: Io invece ti posso dire che le più divertenti sono state quelle girate con Edoardo Ferrario. È un maestro della comicità ed è stato stupendo condividere il set e spalleggiarsi.

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