Interviste

MI.BARRIO: da Milano a Ibiza, il viaggio di Manuelito nella tech house

Con l’artista sardo abbiamo parlato della label community nata quasi per caso dopo l’esperienza come giudice di X Factor, inaugurata dal primo volume “Lucha Libre” e del suo legame con Ibiza

Autore Samuele Valori
  • Il18 Agosto 2024
MI.BARRIO: da Milano a Ibiza, il viaggio di Manuelito nella tech house

Quando leggi il nome Hell Raton pensi subito al rap. È inevitabile, visti i risultati incredibili del progetto Machete, soprattutto considerando che stiamo parlando del 2012. Il sogno di Manuelito però è sempre stato quello di fare il DJ, anche quando nella sua Olbia entrò in contatto con il mondo dell’hip hop. Prima la drum and bass, poi l’afro undergorund, la cassa dritta e l’Inghilterra, dove ha vissuto per quattro anni dal 2008. Lì si è formato come clubber, vivendo a pieno la cultura elettronica, arrivando a passare persino 72 ore di seguito in un locale. «Nel periodo in cui ho vissuto a Londra frequentavo molto il Fabrique dove c’erano diversi format. Si partiva il giovedì e si finiva il lunedì e ogni giorno c’era un genere musicale diverso tra cui anche la tech house».

È proprio la tech house il genere da cui è partito Hell Raton con il primo volume della sua nuova etichetta – o label community come ama definirla lui – MI.BARRIO. Lucha Libre, uscito lo scorso marzo, racchiude quattordici brani inediti di artisti emergenti ed è un viaggio sonoro strutturato come fosse un DJ Set. Come spesso accade, le iniziative nate quasi per caso, sono quelle che poi hanno maggiore successo. Il primo evento MI.BARRIO è avvenuto alla Milano Fashion Week, per poi andare in tour europeo e approdare a Ibiza. Ormai l’isola per Manuelito è diventata una nuova casa, sia dal punto di vista artistico che umano, grazie al legame istaurato con il DJ Francisco Allendes. La nostra chiacchierata è partita proprio dalle Baleari e dal suo amore per il clubbing ibizenco.

Foto di Mario Pinta

L’intervista a Hell Raton

Quale è il tuo rapporto con Ibiza e come la vedi?
Ci ho messo piede solo l’anno scorso. Io, venendo dalla Sardegna, ho sempre adorato la Costa Smeralda e l’ho sempre considerata anche piuttosto attiva. Quando però ho scoperto Ibiza, dove praticamente puoi andare ad ascoltare tutti i DJ che ti piacciono in una settimana, ho capito che era un’altra cosa. Ibiza, dal punto di vista di proposte artistiche e creative, è la Sardegna che ho sempre desiderato. C’è un concentrato di musica impressionante. La cosa che mi affascina persino di più è il fatto che è intrinseca nella cultura della gente e che i locali non si pestino i piedi tra loro. Organizzano le aperture in giorni diversi. Ci sono club dove vai per esserci, altri dove vai solo per ballare e altri in cui si cambia format continuamente. E si parte addirittura da aprile con i pre-opening. È proprio un altro campionato.

Come è stato il tuo primo impatto con l’isola?
Sono rimasto folgorato, sembra quasi di trovarsi in uno di quei panorami da film statunitense, con tutti questi cartelloni pubblicitari che promuovono eventi. Quando sono arrivato mi sono detto: “Ok, devo studiarla”. La prima settimana di opening della stagione estiva l’ho fatta tutta, dal lunedì alla domenica, anche andando in due club in una sola serata. Poi ho visto anche molti documentari sulla sull’Ibiza storica per capire come tutto è iniziato. Sai c’è sempre quella frase: “Non è l’Ibiza di una volta”. Il punto è che anche noi non siamo più quelli di una di una volta. Se avessi 21 anni avrei probabilmente vissuto l’isola creativamente in modo diverso.

A te, quindi, piacerebbe che un po’ di Ibiza arrivasse in Sardegna?
Non lo so, questa domanda me la sono fatta spesso. Per quanto mi piacerebbe dal punto di vista artistico, la Sardegna vorrei rimanesse immacolata. Ibiza è molto caotica, ti deve piacere. Poi esiste già un’Ibiza. Piuttosto mi piacerebbe che ci fossero più connessioni e anche più aerei disponibili in modo da passare da un’isola all’altra più facilmente.

A Ibiza è in parte legato anche il tuo nuovo progetto MI.BARRIO. Com’è nato?
Finita l’esperienza a X Factor ho sentito il bisogno di ridare spazio al mio lato creativo e volevo farlo in un mondo nuovo. Volevo mettermi in gioco, viaggiare e prendere ispirazione. Ho iniziato a suonare con la residenza all’Ambra in Sardegna, poi in Croazia, a Malta fino ad arrivare a fare il b2b a Ibiza con Francisco Allende. E tutto questo in sei mesi. All’inizio non avevo intenzione di creare un’etichetta ma, come spesso accade, è proprio quando non vuoi fare una cosa che poi ti capita di farla.

E quando hai deciso di dare vita a MI.BARRIO?
Ogni mattina mi svegliavo la mattina in piena stagione estiva e mi trovavo nel computer più di trenta promo. Musica di qualità, come quella del duo italiano VLTRA, con cui avevo già avuto contatti a Ibiza. Pensa, mi ero registrato un loro pezzo dal vivo con il cellulare. Un giorno arriva un mio amico in studio e mette proprio quel pezzo. Gli dico: “Cavolo, questa canzone è da mesi che la sto cercando, dove l’hai tirata fuori?”. Così sono entrato in contatto con i due ragazzi e sono stati proprio loro i primi a chiedermi se avessi intenzione di fondare una label. Dopo un po’ di titubanza ho deciso di fondarla, anche se più che una label è un progetto community. Sullo stesso stile della Machete Community che a suo tempo unì la scena rap italiana. Ho fatto la stessa cosa con la tech house.

Che differenze hai trovato tra le due esperienze?
Per quanto il rap in Italia fosse già florido, i primi artisti iniziavano a firmare con le major, non è stato facile unire così tanti rapper. Il Machete Mixtape a suo tempo fu una case history. Il Volume 3 è stata la prima compilation rap italiana certificata disco d’oro solo con fisico. Con la tech house ho trovato molta più voglia di condividere tra i vari artisti. Anche i grandi DJ sono disposti a promuovere le nuove leve nei loro format, spesso facendole esibire in b2b. In generale il movimento della musica elettronica sta vivendo un nuovo momento d’oro, è il genere che unisce lo spettro di pubblico più ampio.

Per quanto riguarda la scelta grafica del Volume 1 Lucha Libre, a cosa ti sei ispirato?
Io sono un nerd e mi piacciono tanto i visual. quindi, ho lavorato tanto con l’intelligenza artificiale creando degli avatar che potessero comunicare l’immaginario del progetto. Ogni capitolo avrà il suo concept realizzato insieme all’art director Whitealien che, ironia della sorte ho conosciuto al Kappa FuturFestival. A livello di lettering mi sono ispirato agli anni ’90 e alle fanzine, volevo che le immagini avessero una pasta da magazine. 

E i prossimi volumi?
Ho qualcosa in mente, ma nulla di definito ancora. Mi piacerebbe collaborare con Mattia Trani e esplorare i mondi della techno (e magari con altri DJ quelli della house). Di certo, io che vengo dal mondo dell’hip hop, voglio andare sempre più verso una direzione: suonare l’elettronica con lo stile hip hop. Gli edit e i campionamenti mi fanno impazzire soprattutto perché vedi come un DJ reinterpreta al giorno d’oggi un brano di ieri. Oltre che un reminder nostalgico è anche un modo per far conoscere certa musica alle nuove generazioni.

Negli ultimi tempi ti sei molto legato a livello artistico e umano con Francisco Allendes. Che rapporto c’è tra voi?
Lui e sua moglie Paola Poletto mi hanno introdotto al clubbing ibizenco sia dal punto di vista lavorativo che artistico. Con Francisco siamo molto affini, ha cambiato il mio approccio e il mio modo di suonare. Quando ho fatto il primo b2b di cinque ore con lui è stata dura e ho quasi finito i brani. Ho imparato soprattutto a capire i tempi di inserimento perché lo stile qui a Ibiza prevede che il ritmo rimanga sempre alto. Poi in Francisco rivedo tantissimo il mio socio Slait con cui non ho mai suonato insieme, tra l’altro. Prima o poi lo faremo.  

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