Hozier: «”Nina Cried Power”, il mio documento sullo spirito di protesta»
L’EP “Nina Cried Power” costituisce un assaggio di quello che sarà il secondo album in studio di Hozier, in uscita nel 2019. Ne abbiamo parlato con lui qualche ora prima del live a Milano
Hozier è recentemente passato dall’Italia (precisamente all’Alcatraz di Milano) per presentare dal vivo – oltre ai suoi precedenti successi, come la super hit Take Me to Church – anche i nuovi brani contenuti in Nina Cried Power. L’EP, pubblicato a settembre, è per stessa ammissione del suo autore una sorta di teaser di quello che sarà il suo secondo album in studio, in uscita nel 2019. Ne abbiamo parlato con lui qualche ora prima del live.
Le anticipazioni sul nuovo album
«Tutte le canzoni sono già state registrate e il mix è nelle sue fasi finali – rivela Hozier – L’album sarà pubblicato verso l’inizio di primavera del 2019. Ci saranno alcuni singoli: Movement è il primo di essi. L’EP è stato un buon “teaser” per alcuni dei temi e delle atmosfere che saranno sul disco. Probabilmente Nina Cried Power sarà inclusa nella tracklist. Sarà un album molto variegato: ci sono canzoni molto folk, tradizionali, e altre più rock and roll».
Nina Cried Power: una canzone di protesta
Riguardo alla title track dell’EP Hozier parla con grande trasporto e circostanzia i motivi che l’hanno spinto a scrivere una vera e propria canzone di protesta: «Volevo fare una canzone che fosse piena di speranza e non cinica, che guardasse al lavoro di altri artisti sotto diverse circostanze: per esempio Mavis Staples, Woody Guthrie o Nina Simone (tutti citati nel testo, ndr), tutte persone che hanno fatto sentire la loro voce su temi che sentivano come importanti. E ciò ha costituito un documento di ciò che noi spesso troviamo d’ispirazione. È solo il mio grazie per tutto questo. Volevo scrivere qualcosa che parlasse di spirito di solidarietà e di protesta».
La conversazione prende una marcata piega “social-conscious” che ormai è rimasta appannaggio di una piccola minoranza di artisti: «Per me tutto è politico – continua Hozier, citando involontariamente Pasolini – Anche i vestiti che indossiamo e la musica che ascoltiamo o creiamo hanno una dimensione politica. Se qualcosa coinvolge l’esperienza delle persone, ha un risvolto politico. Le canzoni non sono solo canzoni: sono documenti di un tempo e di un luogo. Sono importanti per via del contesto in cui sono state fatte».
La canzone è nata anche da un sentimento di frustrazione nel constatare proprio che, per timore di passare per moralizzatori su un piedistallo, pochi artisti di oggi si prendono la briga di scrivere canzoni per un mondo migliore. Ma una volta era diverso: «Per persone come Mavis Staples (leggenda vivente del soul / R&B; canta con lui nel pezzo, ndr) non si trattava di un’opzione: era una cosa che doveva essere fatta. Per loro la necessità di cambiamento era una cosa molto seria, così come il fatto di scrivere canzoni al riguardo».
La collaborazione con Mavis Staples
Il featuring con Mavis Staples affonda le radici in un’ammirazione per il mondo della musica black che ha animato Hozier sin da giovanissimo: «Da ragazzino ascoltavo molto gli Staple Singers (la band di Mavis, ndr). Amavo la musica gospel, le sue armonie vocali. Poi ho scoperto il suo contesto e ne sono rimasto affascinato. Canzoni come Long Walk to D.C. erano un invito a unirsi alla marcia».
Per lei nutre la massima stima sia come musicista che come persona: «So che aveva sentito Take Me to Church e che le piaceva molto, la canticchiava ogni tanto. Quando è nata la canzone non c’era dubbio che dovesse essere fatta con lei. Non ci siamo incontrati fino al giorno in cui l’abbiamo registrata. Non puoi immaginare quanto sia gentile e carismatica: la persona più dolce e calorosa che abbia mai conosciuto. Abbiamo passato una bellissima giornata a registrare le parti vocali a Chicago».