Interviste

K-pop, c’è del marcio in Corea del Sud? Luci e ombre della “Korean Wave”

Agli occhi di un occidentale tutto quello che accade in Asia è paradossale e a volte spietato. Ma non è tutto così, lo spiega benissimo il libro “Belli da Morire. Il lato oscuro del K-pop” di Giulia Pompili

Autore Tommaso Toma
  • Il17 Settembre 2023
K-pop, c’è del marcio in Corea del Sud? Luci e ombre della “Korean Wave”

Illustrazione di Vincenzo Filosa

Parlare di K-pop significa ovviamente fare riferimento all’undicesima potenza a livello globale, ovvero la Corea del Sud, con il suo governo che dagli anni ’90 ha fatto il possibile per diventare uno degli epicentri della cultura pop a livello mondiale.

Dentro questa spinta, internazionalmente definita Korean Wave (Hallyu in lingua originale), oltre al K-pop dobbiamo contemplare le soap opera, le serie TV e le produzioni cinematografiche.

Nel libro Belli da Morire. Il lato oscuro del K-pop, con le belle illustrazioni di Vincenzo Filosa, appena pubblicato da Rizzoli Lizard, l’autrice Giulia Pompili, giornalista che si occupa da tempo di questioni asiatiche (da leggere anche Sotto lo stesso cielo), non vi propone una celebrazione tout court del fenomeno del K-pop, dove le punte di diamante sono i BTS (che qualcuno ha paragonato ai Beatles del nuovo millennio) o le Blackpink, e neanche vi tira fuori simpatici aneddoti sul tormentone Gangnam Style.

Piuttosto leggerete un’attenta analisi, condita da storie particolari e aneddoti, di quello che sta davvero dietro la costruzione dei protagonisti di questo fenomeno musicale e culturale. Perché oltre la cortina scintillante del mondo delle boy band e delle girl band sudcoreane si nasconde il lato oscuro dell’industria dell’entertainment e della società di questo paese, che cerca in ogni modo di proporre all’estero un’immagine di sé moderna e progressista ma che in realtà è ancora soffocato da una cultura marziale e moralista.

K-pop - copertina libro Giulia Pompili
La copertina del libro di Giulia Pompili

L’intervista sul K-pop a Giulia Pompili

Giulia, innanzitutto che percezione abbiamo noi occidentali (e in particolare noi italiani) del fenomeno K-pop?

Musica e serie TV, mi sembra. Tutto sembra ruotare attorno a queste due cose. E alla costruzione degli idol, che come influencer si portano dietro tutto un immaginario estetico. Dalla musica e dalle serie TV è nata poi la curiosità, anche qui in Italia, per la cultura sudcoreana tout court, che è fatta pure di letteratura, design, arte, e cibo, naturalmente.

Anche dall’Italia c’è stato un boom di turismo verso la Corea del Sud, soprattutto dopo la fine delle restrizioni dovute alla pandemia, e un aumento considerevole di nuovi studenti di coreano. Ma non c’è mai stato un vero approfondimento di quelle che sono davvero la cultura e la società coreana, che ha degli aspetti meravigliosi ma – come si legge nel libro – anche molte criticità.

Nel libro ci fai capire che nella genesi delle boy/girl band sudcoreane ci sono differenti e spesso dolorosi punti di passaggio, che sono obbligatori al fine di creare la giusta alchimia. Dai reclutamenti capillari di giovanissimi dalle facce e attitudini interessanti all’obbligo di frequentazione di speciali accademie. A leggerlo così sembra un romanzo distopico e crudele di Margaret Atwood…

Ricordo sempre un giorno a Seul. Passeggiavo con una ragazza coreana che lavorava con me come interprete. All’improvviso mi ha guardato e mi ha detto un po’ imbarazzata: sai, mi piace tantissimo il tuo stile di vestire, i tuoi tatuaggi! Abbiamo iniziato a parlare del fatto che per lei sarebbe stato impossibile indossare le sneakers colorate al lavoro o mostrare le braccia tatuate.

I negozi d’abbigliamento per gli impiegati sono molto riconoscibili: tutte le sfumature dei colori pastello. Per gli uomini? Completo scuro. La società ha regole rigidissime che servono all’omologazione, ed è anche per questo che il K-pop ha avuto un successo straordinario: perché sembra quasi una rottura da quell’omologazione. In realtà poi, gratta gratta, sotto si trovano lo stesso delle regole rigide.

Insomma, è una specie di grande finzione, un Truman Show dell’intrattenimento. Però non lo definirei proprio un mondo distopico e crudele, anche se in certi casi e con certi personaggi è stato crudelissimo.

Non è facile per noi giornalisti avere notizie sui metodi attuati da queste accademie. Ma dal tuo testo comprendiamo che vige all’interno di queste strutture una ferrea disciplina. Gli allievi hanno spesso pianti e crolli nervosi, c’è un altissimo tasso di disturbi alimentari, oltre all’ampia diffusione della chirurgia estetica. Di frequente anche tra i giovanissimi ci sono stati episodi di bullismo e di suicidio. Facci capire meglio come sia possibile tutto questo per il raggiungimento di un successo in classifica.

In Corea del Sud, come in Asia in generale, il business è business. Gli idol sono parte di quel business, e questo si combina a una scarsa attenzione delle istituzioni al tema della salute mentale.

Quando la tennista giapponese Naomi Ōsaka disse di voler prendere una pausa per prendersi cura del suo benessere personale, molti la celebrarono, ma molti, in Giappone come in Corea del Sud, presero la sua ammissione come un segno di debolezza.

Il concetto tradizionale alla base è che il tuo lavoro è ciò che ti rende un elemento produttivo per la società, che tu sia un idol o un impiegato. È come se, lavorando in quel settore, accettassi le regole del gioco secondo il mantra del “se lavori duro verrai ripagato”.

In occidente sono regole contro le quali ci battiamo: l’individuo è al centro, e così il suo benessere. In Asia il sistema è ancora rovesciato. Ed è ciò che porta a una competizione sociale spietata, per esempio già nelle scuole (più frequenti una scuola d’élite, più puoi sentirti arrivato), e quindi anche al terribile fenomeno endemico del bullismo.

K-pop - illustrazione BTS di Vincenzo Filosa
Illustrazione di Vincenzo Filosa

Se da una parte c’è questa filiera durissima da seguire per entrare nello star system, i cantanti, dopo, sono anche in grado di mostrarsi fragili agli occhi dei propri fan, con una grandissima attenzione nei confronti di temi delicati e spesso sottovalutati dai media mainstream, asiatici e non, come salute mentale e discriminazione delle minoranze. Perché?

Perché quando parliamo di queste regole della società sudcoreana parliamo di un luogo in velocissimo cambiamento.

In questo il K-pop è stato salvifico: l’apertura al mondo della Corea del Sud ha portato molte aziende e colossi dell’intrattenimento sudcoreani a guardare quali sono i temi che interessano di più i giovani a livello internazionale, come sono fatti i personaggi in cui vogliono riconoscersi, e ad ammorbidirsi. Anche le star del K-pop hanno capito il proprio potere, indipendentemente dalle aziende a cui appartengono.

Tutte le star del K-pop devono essere eterosessuali, single e “disponibili”. Ma mi pare di capire che le cose stanno cambiando. È così?

C’è ancora molto lavoro da fare ma sì, qualcosa sta cambiando, soprattutto nel mostrarsi in coppia o in una relazione (eterosessuale). Anche se a leggere alcuni blog sudcoreani specializzati (quelli dei fan), si leggono certi commenti che manco le associazioni pro-vita italiane.

Ci sono nazioni però che non accolgono con entusiasmo il K-pop. Ad esempio l’autoritarismo della Cina ha frenato la crescita del K-pop nel paese, e poi c’è la rivalità con il J-pop del Sol Levante…

La competizione con il Giappone c’è e ci sarà sempre. Non riguarda solo la musica ma anche i fumetti (che in Giappone sono i manga cartacei, in Corea sono soprattutto i webtoon da smartphone). O, per esempio, l’industria della tecnologia e del beauty.

È una competizione che si vede anche nella diplomazia e nelle relazioni internazionali, influenzata da un passato in cui i due paesi erano a dir poco nemici. Infatti la Corea è stata per decenni una colonia giapponese.

Con la Cina la situazione è un po’ più complicata. La Cina non ha grandi star dell’intrattenimento, e il periodo di boicottaggio del K-pop era dovuto a una questione puramente politica. Ma per saperne di più dovete leggere il libro!

Eppure alla fine tu scrivi che i paesi autoritari temono il K-pop perché questo è anche veicolo di idee. E nonostante i suoi aspetti controversi promuove idee positive di collettività. Mi pare complicato comprenderlo dopo aver letto il resto del libro. Perché?

Uno dei princìpi base del sistema autoritario è riuscire a manipolare le informazioni e veicolare un certo tipo di messaggio che serva a mantenere la legittimità del potere. La capacità di band come i BTS e le Blackpink di smuovere le masse è considerata spaventosa: e se un giorno dovessero dire ai loro fan che il partito comunista cinese fa schifo e che bisogna ribellarsi?

Ma come mai il K-pop funziona così bene negli States?

Anzitutto perché c’è un’enorme fetta della popolazione di “Asian Americans” che per decenni, sin dalla fine della seconda guerra mondiale e dopo la fine della guerra di Corea del 1953, non si è sentita rappresentata dalla cultura pop occidentale.

Poi sono arrivate le band coreane e tutto è ciò che era coreano è diventato cool. Ma fino a qualche anno fa c’era un certo pregiudizio in America contro i coreani che mangiavano il kimchi (piatto tradizionale, fatto di verdure fermentate con spezie, ndr).

Parte del successo del K-pop in America è dovuto a questo. E poi naturalmente si torna a un modello di artista che canta, balla e recita. L’America è pur sempre il paese che negli anni ‘80 ha prodotto il successo planetario di Fame – Saranno famosi.

Cosa succederà, secondo te, nei prossimi anni?

Il K-pop continuerà a crescere, così come la riconoscibilità della Corea del Sud nel mondo. Mangeremo più kimchi, ma continueremo a mangiare pure molto sushi.

Quali sono gli artisti del K-pop da ascoltare con attenzione?

Domanda difficile. Non so, sono una marea. Ognuno trova nel K-pop quello che gli piace. Posso dirti qual è l’artista che ascolto di più in questo periodo: Kim Hyung-seo, in arte Bibi. Il suo ultimo singolo Hongdae R&B è un pezzone, con un video altrettanto pazzesco girato a Hongdae, una delle zone più fighe di Seoul.

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