La Scala di Milano, altro che roba da vecchi: oltre un terzo del pubblico è under 35
Lo dichiara Paolo Besana, capo ufficio stampa del prestigioso teatro, fra gli speaker di un panel di Linecheck dedicato agli scenari presenti e futuri della musica classica
Un’eccellenza mondiale dell’opera come La Scala di Milano è molto meno “vecchia” (in termini di pubblico) di quanto si penserebbe. Oltre un terzo del pubblico che frequenta il celebre teatro, vero e proprio simbolo della vita culturale milanese, è composto da giovani.
Per la precisione, circa il 35% è under 35. Se La Scala di Milano fa 400mila spettatori all’anno, vuol dire che 140mila giovani hanno voluto vivere l’esperienza della grande musica dal vivo in uno dei teatri più belli del mondo. Non esattamente una nicchia trascurabile, dunque.
Diventa quindi di cruciale importanza il ruolo della comunicazione, anche per un’istituzione già universalmente nota e rispettata come La Scala di Milano, per alimentare il ricambio di pubblico e – perché no – cercare di accrescerlo ulteriormente.
È il mestiere di Paolo Besana, capo ufficio stampa del teatro, che è intervenuto nel corso del panel di Linecheck 2023 intitolato “Classical Crescendo” e dedicato agli scenari presenti e futuri del mondo della musica classica.
Fra sfide da affrontare (come l’abbassamento dei prezzi dei biglietti) e aneddoti sul teatro (come il “gran rifiuto” alla proposta di ospitare un concerto di Madonna), Besana ci racconta con entusiasmo cosa significa comunicare l’opera.
L’intervista a Paolo Besana
Come si fa comunicazione e marketing sull’opera e sulla grande musica classica?
L’opera si comunica meglio di quello che generalmente si pensa. Di spazi sui giornali ce ne sono, e sarei pazzo a lamentarmi di una prima di stagione che viene trasmessa in prima serata. Semmai bisogna usare degli accorgimenti (e La Scala ha la forza del marchio per farlo) per stimolare chi si “imbatte” in noi ad andare un po’ più a fondo.
Se siamo una nicchia, è una nicchia grande: La Scala fa 400mila spettatori l’anno. Una certa capacità di penetrazione quindi c’è. Il punto, per noi, è fare un passo più avanti affinché l’opera non sia un’esperienza fine a se stessa. Se tu vieni a vedere La Scala in quanto location, allora forse il giorno dopo andrai a vedere un’altra cosa. Invece se noi riusciamo a trasmetterti un po’ le storie che stiamo raccontando, magari ti appassioni.
Come mettere in pratica ciò?
La cosa principale è che per far venire più gente bisogna abbassare i prezzi, che sono il vero limite all’aumento del pubblico (oltre alla capienza in sé del teatro). Questo ovviamente non è immediato. Abbiamo dei prezzi così alti che se li dimezzassimo perderemmo dei soldi senza diventare veramente competitivi. Dobbiamo quindi trovare degli strumenti che ci permettano piano piano di abbassare i prezzi senza rimetterci.
Perché anche per voi è importante dotarvi di una piattaforma digitale come La Scala TV?
Noi siamo fortunati, perché abbiamo uno storico rapporto con la Rai, a partire dalla prima della stagione che viene trasmessa in diretta su Rai 1. Il salto in avanti per noi è riuscire a coprire tutti gli spettacoli, laddove la Rai riprende tre opere su quattordici. Una volta che noi abbiamo questo materiale, gli usi sono tanti.
Il primo è che con questa piattaforma noi costruiamo la nostra memoria. Ricordo che all’inizio si faceva la diretta televisiva ma non la si registrava. Per cui se pensiamo a ciò che è andato perso, il solo fatto di avere quello che è successo è preziosissimo. Dopodiché c’è la diffusione internazionale: possiamo andare dappertutto. Infine c’è l’aspetto educativo. Poter garantire agli studenti un momento di approfondimento, la visione delle prove e poi dello spettacolo significa sfruttare al meglio la nostra possibilità di penetrazione.
A proposito di giovani, cosa si aspettano le nuove generazioni dall’opera?
Il primo mito da sfatare è che i giovani non ci siano. Ebbene, gli under 35 sono più di un terzo del nostro pubblico. Naturalmente ci sono giovani che sono più interessati a linguaggi più moderni. Ma c’è anche una parte importante di giovani che vuole un’esperienza tradizionale. Ci sono quelli che vogliono essere come i loro genitori, o comunque avere un’esperienza ottocentesca in un posto ottocentesco.
Perché avete detto no alla proposta di un concerto di Madonna alla Scala?
Il confronto con gli altri linguaggi artistici ci deve essere, e nella musica classica c’è sempre stato. Però poi bisogna vedere se funziona oppure no. Una delle caratteristiche della classica è che è fatta di struttura. Se fai del crossover e della musica classica usi solo la melodia, probabilmente ti verrà fuori una cosa kitsch. È la ragione per cui, secondo me, la classica dialoga molto meglio con l’elettronica che con il pop.
C’è il rischio che i teatri che hanno tanta storia e che hanno un’immagine e un brand da preservare vengano usati semplicemente come location. La Scala non può essere solo una venue, non può essere la tappa di un tour. Per questo io per primo ho detto no a Madonna quando la proposta capitò sul mio tavolo.