La Spezia cala il poker: Samuel Heron, Highsnob, Dani Faiv, G.bit
Non sono un collettivo. Partiti da La Spezia, ognuno porta avanti la propria carriera solista, con la sua piccola hit alle spalle, con il disco nuovo in uscita. Il 2018 è anche il loro anno
Quattro spezzini entrarono a Milano, tutti e quattro rappando. Si potrebbe parafrasare così la nota filastrocca per raccontare la storia di Samuel Heron, Highsnob, Dani Faiv e G.bit, quattro ragazzi partiti da La Spezia con le rime in valigia per approdare a Milano a trovare fortuna.
Non sono un collettivo. Ognuno porta avanti la propria carriera solista, ma fin da piccoli le loro strade si sono incrociate, unite, separate e ricongiunte, fino a portarli dove sono oggi: nelle classifiche viral di Spotify e fra le tendenze YouTube. Ognuno con la sua piccola hit alle spalle, ognuno con il disco nuovo in uscita. Il 2018 è anche il loro anno.
I primi ad arrivare a Milano furono Samuel Heron e Highsnob, che dal 2013 al 2016 si fecero conoscere sotto il nome di Bushwaka. Firmarono con Newtopia di Fedez e J-Ax, buttarono fuori una manciata di pezzi e poi il progetto naufragò. Decisero quindi di continuare ciascuno per conto proprio. Parallelamente, nel 2014, arrivò Dani Faiv, che si fece notare da Jack The Smoker, il quale lo portò alla corte della Machete Empire Records, l’etichetta fondata da Salmo. L’ultimo a trasferirsi all’ombra della madunina è stato G.bit nel 2015. La sua carriera è ancora agli inizi, i pezzi sono usciti tutti negli ultimi nove mesi, ma ha già raccolto un seguito di tutto rispetto.
Le radici nel Golfo dei Poeti non sono la sola cosa che accomuna i quattro. Nei loro stili si può riconoscere lo stesso ibrido di sonorità trap e strutture metriche rap, una ricetta che ognuno cucina poi a suo modo, ma che li distingue dalla nuova ondata di giovani artisti emersa negli ultimi due anni. Abbiamo intercettato Highsnob, Dani Faiv e G.bit.
Come vi siete avvicinati alla musica?
Highsnob: Io ho iniziato col writing. Poi nel 2008 feci un EP che si chiamava Ansia. Da lì, quei sei o sette di La Spezia che volevano fare qualcosa di nuovo ascoltarono il mio CD. Io sono il più grande (ho 33 anni), ero quello che trainava tutte le cose. Al tempo però non ero proprio alla mano. Anzi, ero tremendo. In città ero popolare più come personaggio che come rapper.
Dani Faiv: Ho ballato dai 6 ai 16 anni in una palestra. Facevo poppin, electric boogaloo e breaking. Con Samuel ci ho ballato, ho fatto un anno o due, mi facevo anche gli stage in giro.
G.bit: Ho conosciuto un corso di danza che si chiamava “Hip Hop Funk”. Mi ha affascinato e ho cominciato a ballare. Avevo 10/11 anni. Lì ho conosciuto prima Dani poi Samuel. Lui è stato il primo nella mia esperienza a cominciare a cantare. Per scherzo abbiamo registrato una canzone, poi ci siamo chiusi in cameretta e abbiamo cominciato. All’inizio eravamo io, Samuel e un altro ragazzo, Rokas: ci chiamavamo We Rockin.
Com’era la scena di La Spezia?
Highsnob: Una situazione totalmente piatta. Quelli prima di me erano tutti della vecchia scuola, duri e puri, avevano dieci anni in più. Nessuno spingeva. Nessuno dava una mano.
Dani Faiv: C’era una bella scena. Gente in fotta. C’erano i We Rockin, Millelire, Disme… ma avevo bisogno d’altro.
G.bit: C’era quella roba del “Io ho 30 anni, tu 15, quindi non puoi farlo”. C’era un po’ di chiusura mentale verso i ragazzini che volevano avvicinarsi alla loro maniera. Venire a Milano ha aperto molto l’orizzonte.
Come è stato l’impatto con Milano?
Highsnob: Appena arrivati, dopo un mese, a caso, l’ex vicino di Samuel gli chiese di fare un jingle. Lo facemmo insieme e venne fuori una pubblicità per Pepsi Beat, un contest della Pepsi. Quella roba girò in radio, fu una cosa che ci fece dire: “Siamo a Milano, cazzo! C’è qualche opportunità anche per noi!”. Conta che vivevamo in mezzo agli scarafaggi in una casa orribile.
Dani Faiv: Sono arrivato a Milano con l’idea di andarmene a lavorare perché avevo 1.200 euro di budget. E ho avuto il culo/forza di volontà di trovare un lavoro dopo tre settimane. Ho fatto tre anni il cameriere in un ristorante. Finché non ho avuto la certezza di potermi mantenere col rap non ho mai mollato il lavoro.
G.bit: Appena arrivato a Milano ho fatto un po’ il cazzone. A un certo punto mi sono detto: “Okay, cerchiamoci un lavoro”, altrimenti dovevo tornare a La Spezia. Facevo il commesso in un negozio di telefonia. Stavo dieci ore al giorno a contatto con gente disagiata che mi chiedeva come mai non riuscisse a mandare il messaggio a zia Patrizia.
Com’è tornare a La Spezia oggi?
Highsnob: Una figata. Bello. Io a Spezia sono sempre stato odiato da tutti quando ero più piccolo. La cosa figa è che adesso non c’è nessun pregiudizio. Prima non mi sentivo proprio di casa, mentre adesso sì. Sono passato dall’andare via perché non mi vuole bene nessuno, a tornare che mi vogliono bene tutti.
Dani Faiv: Un bel delirio. Un’accoglienza incredibile. Bellissimo. Tutto pieno. I ragazzi tutti presi bene. Mi dà orgoglio e mi si riempie il cuore. A Spezia sono tornato da vincitore. Mi sono tolto il sassolino dalla scarpa.
G.bit: Una roba pazza. L’ultima volta che sono andato a mangiare una pizza in centro due ragazzini mi hanno sgamato. Nel giro di mezz’ora avevo tipo cento ragazzi fuori a urlare. Ero in super imbarazzo. La gente dentro la pizzeria non sapeva cosa stesse succedendo.
Un luogo di La Spezia che ti porti nel cuore, e perché.
Highsnob: La linea ferroviaria Ca’ di Boschetti, dove passavo i pomeriggi con i miei amichetti a dipingere sui muri, a due metri dai treni in corsa. Una cosa illegalissima. Avevo 14 anni, eravamo degli spiantati poveracci senza soldi. Prendevamo le bombolette in colletta. Era la nostra oasi.
Dani Faiv: La chiesetta in centro, sopra via Prione, dove con la mia cricca andavamo a fumare, a fare storie, perché a Spezia non c’è un cazzo.
G.bit: Mazzetta, il mio quartiere, con l’oratorio eccetera… tutto è nato un po’ lì.