Tutti i colori di Leon Faun: «Grazie alla rabbia ho scritto il mio album più umano»
Il giovane artista, a distanza di tre anni, torna con il secondo disco “Leon”. Lo storytelling è sempre lo stesso, ma stavolta, alla fantasia, si sostituiscono le emozioni del suo mondo interiore
Non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina, figurarsi un disco. Talvolta però può essere vero anche il contrario. Quando l’artwork e il titolo di un album riescono a trasmetterti già un’idea di ciò che andrai ad ascoltare e questa stessa idea è poi confermata dalle singole tracce, allora si prova un leggero senso di soddisfazione. L’esplosione di colori che circonda la tela bianca al fianco di Leon, seduto con lo sguardo perso, offre un’istantanea del viaggio difficoltoso compiuto dal giovane artista. Dopo tre anni, colmi di esperienze collaterali nel mondo del cinema, Leon Faun torna con un secondo album che è un po’ come se fosse un altro suo debutto. Non c’è più fantascienza, la sceneggiatura è vuota e lo spazio se lo prende solo il mondo interiore.
Dalla rabbia nasce un disco
«Leon è il disco più umano che ho fatto». La prima frase che Leon de la Vallée pronuncia per presentare il suo disco è quella che resta subito impressa, perché rappresenta una presa di coscienza definitiva. «Ho sempre messo numerosi filtri nei miei pezzi, mentre questo album è nato dall’esigenza di scrivere in modo sincero. Era un momento della mia vita difficile e ho voluto dare sfogo alla sincerità. Anche per questo motivo, nonostante mi fossero arrivate delle proposte, non ho voluto inserire alcuna collaborazione» spiega l’artista.
Il primo pezzo che Leon Faun ha scritto per l’album è stato Profezia. Pubblicata lo scorso maggio, la canzone apre il disco e con un pianoforte restituisce una forma umana all’artista. «Mi sono fatto il più trasparente possibile, una cosa che di solito si fa con il primo album. Ci ho pensato tanto prima di abbandonare la fantasia». I sentimenti sono i veri protagonisti di Leon, ma ce n’è uno che più di ogni altro ha stimolato il processo creativo: la rabbia. Leon Faun ne ha da vendere come canta nel ritornello di Funerale mio. «La rabbia è un’arma a doppio taglio e fa come vuole lei. Può essere un’enorme ispirazione che ti dà la carica in alcuni casi, altre volte invece un veleno letale e una condanna che ti acceca e non ti fa vedere più nulla».
Tuttavia, la tavolozza dei colori è molto ampia, così come il ventaglio dei sentimenti e delle emozioni. Tra queste c’è anche l’amore che ritorna in diversi brani del disco come Fuga da Genova. Leon Faun lo identifica col colore rosso.
Leon Faun è il protagonista del suo album
Non sarà più nel suo mondo – non è detto che non ci tornerà in futuro – ma Leon, anche senza Faun, rimane il personaggio estroso del primo album. Questa volta l’eccentricità testuale è più contenuta ed è come se venisse trasferita sul piano musicale. Leon spazia tra i generi ed è difficile da incasellare. È il frutto di un’altra scelta coraggiosa compiuta dal giovane artista, ovvero quella di non affidarsi più solamente al fido produttore e amico Duffy. I producer sono i veri featuring del disco: stiamo parlando di False, Sick Luke e Eiemgei.
«Molti pezzi hanno un’anima più rockeggiante ed energica, come Funerale mio ed Eterno. Queste due sono quelle che non vedo l’ora di suonare dal vivo» rivela il cantante. Il live è forse la cosa a cui tiene di più Leon, soprattutto perché quando uscì il suo debutto C’era una volta, la pandemia gli tolse la possibilità di godersi al meglio l’esperienza. «Se c’è un elemento che mi mette pressione è proprio l’esibizione dal vivo. Si tratta di un’ansia positiva perché cantare dal vivo è il fulcro del mio mestiere. Voglio farlo al meglio. Sul palco porterò una band e gli strumenti, basta con le basi. Sarà molto divertente anche riarrangiare i pezzi più vecchi» spiega Leon.
Saranno due gli appuntamenti in cui Leon verrà presentato al pubblico dal vivo e si svolgeranno nelle due città che hanno segnato la sua vita. Il 10 maggio all’Orion Club di Roma, «il luogo dove con mio padre la maggior parte dei concerti da piccolo» e il 12 maggio ai Magazzini Generale. «Ho un rapporto di amore e odio con Milano, ma ormai vivendoci da un anno e mezzo la sento come casa ormai» racconta Leon Faun. «Magari è un po’ meno calorosa rispetto a Roma, che mi ha regalato molto e tolto altrettanto, ma è piena di romani e di tanta bella gente».
Tra cinema e musica
Negli ultimi anni Leon Faun è stato impegnato con il cinema, una passione che ha nutrito sempre scrivendo anche le sceneggiature dei propri videoclip e che ha dovuto coniugare con la musica. «Sono due mondi completamente diversi, ma che amo allo stesso modo. Il cinema mi permette di vivere storie alternative che qualche volta riutilizzo anche per le mie canzoni. Sì, è una fonte di ispirazione per la musica». Allo stesso tempo però può diventare un ostacolo alla scrittura. «Quando sei impegnato su un set, per almeno sei mesi sei costretto a restare lontano dallo studio di registrazione. Viceversa, quando stai lavorando a un album, magari sei costretto a rinunciare a dei provini o ad alcuni progetti che ti piacciono».
In realtà Leon Faun sembra piuttosto in grado di far convivere le sue due passioni. Tra poco più di un mese, il 23 aprile, uscirà la serie Netflix Briganti che lo vedrà recitare al fianco di Michela De Rossi e Matilda Lutz. «È stato stimolante immergersi nel contesto storico ottocentesco del brigantaggio. Imparare usanze e codici di quel periodo». Non avevamo dubbi che le storie stimolassero Leon, altrimenti non avrebbe mai avuto l’audacia di raccontarne di sue. Con il nuovo album addirittura ha compiuto la scelta più complessa, senza avere paura del giudizio di nessuno: raccontare il proprio io, senza filtri, togliendosi la maschera di fauno.