Il lustro della fratellanza nella musica: Luca De Gennaro racconta “Generazione Alternativa 1991-1995”
Da poco è in circolazione un nuovo libro del critico, DJ e speaker musicale e questa volta – tra aneddoti personali e storie di eventi memorabili – ci racconta un periodo della musica irripetibile
Luca De Gennaro, “dege” per gli amici, ha la passione per il nostro mestiere da decenni e come tutti quelli che amano la musica ha cercato nel tempo di viverla nelle più diverse forme professionali. Da speaker radiofonico a giornalista, da DJ ad addirittura manager (ma non è stata una delle scelte più amate da Luca…). E negli anni ha disseminato delle piccole pepite narrative dove ha raccontato le sue esperienze e i periodi musicali che lo hanno particolarmente reso protagonista.
Un lustro indimenticabile
A tal proposito non poteva mancare un excurus in un quinquennio particolarissimo e davvero effervescente com’è stato il periodo tra il 1992 e il 1995. Un periodo in cui è successo davvero di tutto, dal fenomeno del grunge alla nascita del brit pop. Dall’esplosione delle posse in Italia alla proliferazione dei rave lungo lo stivale. Il volume s’intitola semplicemente Generazione Alternativa 1991-1995 (Rizzoli Lizard). E Luca De Gennaro ci accompagna dento quel magnifico periodo tra ricordi personalissimi, gli incontri illuminanti e i report di eventi entrati nel ricordo collettivo degli amanti del rock come i Guns N’ Roses a Torino nel giugno del ‘92, il Lollapalooza del ’93, Woodstock ’94, Glastonbury’95. O l’ultimo concerto dei Nirvana a Roma del ’94, come alcune edizioni di memorabili. È l’occasione giusta per incontrarsi a bere un caffè assieme e parlare di quel lustro indimenticabile con Luca De Gennaro.
L’intervista a Luca De Gennaro
Sono stati anni di estrema effervescenza musicale, ma se pensiamo a due fenomeni che diventeranno degli assi cardinali per il futuro da una parte c’è l’esplosione dei rave e dall’altra il fenomeno delle posse.
Non c’è dubbio che quegli anni siano stati un’esplosione di novità inaspettate che hanno avuto riscontro da subito, senza aspettare molto tempo. Perché, sai, il mondo musicale è sempre stato – e lo è ancora oggi – pieno di nicchie che nascono. Ma poi nella maggior parte dei casi rimangono lì. In questo caso, in quel quinquennio, le nicchie sono diventate mainstream improvvisamente. Ma tu potevi pensare che un genere come il grunge, una musica rock derivativa dagli anni ’70, piena di noise potesse diventare quella cosa lì?
Tu mi nomini il fenomeno delle posse, che nascono dai centri sociali, luoghi di aggregazione politica giovanile dove fino a poco tempo prima di faceva punk, rock e al limite del reggae e dello ska. Ma che improvvisamente grazie all’onda delle posse, un coacervo di proposte che andavano dal rap al reggae dialettale cominciano a diventare dei posti dove i discografici di allora vanno a vedere chi suona, ci performa.
Dentro ai centri sociali succedono cose che non è possibile per chi lavora nella musica che non se ne accorga. E nello stesso tempo il fenomeno dei rave diventa un fenomeno da seguire a tutti i costi da parte di chi lavora nell’industria discografica. Ecco perché– parlando della mia vita professionale – succede che dalla BMG mi chiamano e mi dicono: “Voglio Frankie Hi Energy” o “Voglio Lory D”. intanto ricordiamoci che il mainstream regnava comunque pacifico in Italia. Quelli che racconto sono anche gli anni dove fiorisce il fenomeno Fiorello con il suo karaoke itinerante e nelle classifiche dominavano nomi non certo freschissimi come Riccardo Cocciante o Edoardo Bennato.
In quegli anni nasce Planet Rock in radio RAI e tu con il fidato Gennaro Iannuccilli ma anche grazie a belle firme del giornalismo musicali come Alberto Campo, Fabio De Luca, Claudio Sorge intercettaste quel momento di cambiamento.
Sì, Planet Rock comincia il 23 settembre del 1991, e andavamo in onda in diretta tutti i giorni dalle ore 21 a mezzanotte. E si chiude come il libro nel 1995, pochi giorni, poche settimane dopo l’ultimo concerto dei Nirvana a Roma – che passiamo in onda – e pochi giorni dopo la morte di Kurt Cobain. Per questo, come avevo già sottolineato con il mio libro che racconta la storia di quell’avventura radiofonica (Planet Rock L’ultima rivoluzione, pubblicato da Arcana e scritto da Luca De Gennaro con la collaborazione di chi fece parte del programma, ndr) Planet Rock apre e chiude la grande stagione del rock alternativo.
Ti sei goduto da protagonista un periodo di grande effervescenza. Io ho cominciato questo lavoro tra serate da DJ e da speaker quando in pratica Cobain si suicida… E certamente le radio di oggi non programmano tutta quella effervescenza musicale di un tempo. Non tastano il terreno in profondità su quello che succede sotto sotto il mainstream.
Soprattutto, secondo me, c’era molto interesse verso ciò che era nuovo da parte del pubblico e da parte dei programmatori delle radio. Adesso in radio – parlo anche del mio fare radio oggi – passiamo dischi prevalentemente del passato, un passato eccezionale, ma comunque guardandoci all’indietro… Nel 1991, ’92 anche la BBC in Inghilterra decise di ampliare l’offerta musicale guardando alle nicchie. Perché altrimenti i giovani si sarebbero sempre più indirizzati verso le radio pirate.
E parlando di club, dove anche tu hai fatto i tuoi primi passi, prima del 1991 il pubblico di chi andava a ballare era frammentato. C’erano ancora i figli del movimento punk e new wave, i discotecari che amavano la commerciale, i punk dei già citati centri sociali, e poi gente come i metallari che odiavano i club…e quindi non ci pensavano due volte a non mettere un piede in una discoteca.
Invece a un certo punto, piano piano dal 1992 in poi nei locali che una volta erano solo discoteche rock arriva un nuovo pubblico. Una nuova generazione di amanti della musica che – come stava accadendo nei festival musicali da Reading in Inghilterra agli States con l’importantissimo Loolapaloza – ballavano dai Beastie Boys ai Nirvana, dal gruppi del brit pop ai quelli che facevano crossover come Rage Against The Machine, i Red Hot Chili Peppers. Ci stavamo rendendo conto che stava crescendo un unico grande pubblico che è la grande generazione alternativa davvero si percepiva una sora di bella e autentica fratellanza.
Nel tuo libro precedente, Pop Life, ci racconti anche come in Italia la musica delle classifiche, grazie ai 12” – era un collante generazionale in pista. Dal 1992 accade qualcosa di totalmente differente, no?
Negli anni ‘80 la discoteca era un veicolo tanto quanto la radio di promozione del pop, non c’era un genere dance preponderante, quando la techno e una certa house comincia a proliferare negli anni del mio nuovo libro, le discoteche erano diventate dei media tradizionali un po’ come le radio e quindi c’era bisogno di inventarsi spazi nuovi per la nuova musica. Ecco perché proliferano a un certo punto i rave e Roma diventa un epicentro del fenomeno. Nel libro c’è un capitoletto che s’intitola proprio “Roma, capitale del rave”.
A proposito di città, il periodo che tu racconti vede come protagoniste città solitamente fuori dl grande giro del business musicale fino a quel momento.
Esatto, Seattle diventa l’epicentro di un fenomeno musicale globale. Ad Altanta si produce il migliore r’n’b. Manchester snobba Londra. Berlino con i suoi locali dove si balla techno ed è una nuova meta. Ma pensa anche a certi generi musicali “meticciati”, fioriscono band come i Mano Negra, gli Urban Dance Squad. Era in atto un’interessante decentralizzazione della musica.
Mi dici tre incontri davvero gustosi di questo libro che spiccano nel tuo flusso di racconti pescato dalla tua memoria?
Hai toccato il tema entrale del mio libro, gli incontri. È anche dall’urgenza di raccontare di persone incontrate nella mia vita professionale che scaturisce Generazione Altenativa. Un momento catartico di tutta la mia vita è stato sedermi quella mattina al festival di Glastonbury del 1995 quando avevo intravisto in una area tra due palchi il mio mito John Peel che è seduto su una seggiola fuori dal suo camper. Abbiamo fatto questa mezz’ora di chiacchierata mentre io mi sentivo come uno che camminava sulle uova perché non volevo disturbare, capito?
Un altro momento illuminante è stato quando al Midem di Cannes Malcom McLaren mi dice a inizio anni ’90 una roba potentissima e profetica. “La musica da sola non ha più senso di esistere, deve essere attaccata ad altri media”.
E il terzo è stato, senza alcun dubbio, l’incontro con Gilles Peterson che mi aveva detto in una situazione di assoluta normalità che la Phonogram gli aveva proposto di aprire una label tutta sua e che gli sarebbe piaciuta chiamarla Talkin’Loud.
La cosa interessante è che sono incontri che sembrano avvenire con una estrema naturalezza, intendo dire, non stavi facendo interviste pianificate o incontri stampa.
E l’altra cosa eccezionale è che stiamo parlando di persone iconiche ma che si presentavano a te in maniera assolutamente “normale” nessun atteggiamento divistico. Ti faccio un esempio, se andavi la domenica mattina a Camden Town, potevi trovare Gilles Peterson – la grande autorità dell’acid jazz – che era seduto su di una panchina, da solo, mentre mangiava qualcosa. Scusami le cose semplici oggi non lo so, forse oggi non è più così. Oggi la normalità non è più così attraente.
Oggi devi essere un po’ eccentrico, fuori delle righe o comunque devi essere “eccezionale” per farti notare e rispettare?
All’epoca nessuno enfatizzava la cosa dei numeri. Nel senso che a uno come Gilles Peterson non gli hanno detto: “fai l’etichetta e fammi vedere subito quanti streaming realizziamo”, capito? Si parlava di progetti, non di numeri che erano certamente importanti ma venivano come conseguenza di un bel progetto. Io dico sempre: i numeri hanno ucciso rock and roll. Quando si è cominciato a valutare le cose per qua, per quanti risultati fanno, è iniziato un certo declino.
Il tuo libro è pieno di gustose playlist da ascoltare, ma mi dici una manciata di artisti o canzoni fondamentali di quel quinquennio?
Necessario nominare i Nirvana, gli Oasis, poi devo dire un brano techno e citerei James Brown is Dead (del duo olandese L.A. Style, ndr) per l’Italia e per storia di lavoro personale nominerei Fight da Faida di Franke Hi Energy e Sole degli Almamegretta, con loro feci la mie uniche esperienze di produzione discografica, cosa che non avrei mai più fatto perché non è il mio mestiere ma ti saluto con un altro piccolo aneddoto. Quando arrivammo a Londra con gli Almamegretta andammo in questo studio di registrazione che era gestito da un tipo che poi si sarebbe anni dopo inventato i Gorillaz assieme a Damon Albarn.