Sorellanza, arte nascosta e “Gloria!”: l’intervista a Margherita Vicario
Abbiamo intervistato la cantautrice e regista qualche giorno dopo la proiezione del film alla Berlinale. Un’opera, in sala da oggi, nata quasi per caso e maturata dopo ricerche e studio. Un lavoro che unisce le sue due più grandi passioni: il cinema e la musica
Il principale ricordo che Margherita Vicario ha della sua prima volta al Festival Internazionale del cinema di Berlino è legato all’ultima proiezione di Gloria!, quando si è «intrufolata» alla Verti Hall. È il luogo ideale per assistere a un film musicale, non solo perché è una sala concerti, ma anche per i circa duemila posti. Margherita Vicario canta e racconta da sempre, ma questa volta per lei è stata «una prima volta in tutto». Per quanto riguarda il lavoro dietro alla cinepresa, ma anche per la scrittura della sceneggiatura in coppia con Anita Rivaroli e la cura della colonna sonora con Davide Pavanello, incluso il singolo dedicato ARIA!. Sì, perché il suo primo film non poteva che essere qualcosa che si avvicinasse a un musical, l’ideale comunione di immagini e canzoni.
L’esordio da regista parla di amicizia femminile e di arte, soprattutto quella nata negli «scantinati» della Grande Storia. Quel tipo di storia che non finisce nei libri. C’è un termine però che include tutto: coralità. Perché «si parla di istituti affollatissimi della fine del ‘700, di libertà e fantasia, e perché la musica stessa è corale. Non esiste musica che non sia di insieme». Gloria! però, come spesso accade, è nato quasi per caso da una ricerca solitaria.
L’intervista a Margherita Vicario
Come mai ti sei interessata alle musiciste di fine ‘700?
Tutto è nato senza alcun fine. Ogni tanto mi capita di prendermi delle infatuazioni per qualche argomento e comincio a leggere. Ho iniziato a fare ricerche sulle compositrici del passato nel 2016, solo perché ero curiosa e, io stessa che sono una cantautrice, ne conoscevo pochissime. Solo tre anni dopo mi sono resa conto che poteva diventare un film. L’ambientazione mi aveva folgorato e nel grande librone d’archivio su cui studiavo c’erano un sacco di spunti.Ho preso degli ingredienti e insieme ad Anita Rivaroli abbiamo scritto la storia.
Come è stato lavorare alla sceneggiatura?
Mi è capitata la stessa cosa che accade quando scrivo i testi delle canzoni. Quando improvviso sulla melodia emergono delle parole alle quali mi affeziono, come Giubbottino, e da lì costruisco il brano. Con il film è stato simile. Avevo delle scene in mente con delle musiche, sia di Vivaldi che idee mie, e le ho un po’ usate come torrette della Muraglia Cinese. Ho pensato: “Ok, queste scene le voglio”. E quindi ho costruito parte della trama attorno a questi momenti, ovviamente non tutto, ed è stato il punto di partenza per la storia e la scelta delle canzoni. Poi è seguito il lavoro di scrittura della sceneggiatura in cui l’aiuto e la calma di Anita Rivaroli sono state fondamentali. Lei ha rotto il ghiaccio scrivendo le prime pagine.
Quindi la musica è arrivata dopo.
È stato una sorta di lavoro a triangolo, tra soggetto, sceneggiatura e colonna sonora. Una volta finita la prima stesura, a parte le musiche non originali che erano già state scelte, abbiamo lavorato con Dade in studio un mese, per poi sono tornare di nuovo sui dialoghi. Essendo un film musicale, bisognava poi arrivare sul set con le musiche pronte.
In Gloria! la Grande Storia, quella di Pio VII e di Napoleone, fa da sfondo.
Sì, volevo raccontare quello che avviene nel sottoscala. La maggior parte delle donne in quel periodo non potevano fare le musiciste di mestiere, a meno che non fossero mogli di qualcuno che gravitava nel settore. Infatti, abbiamo pochissima musica femminile settecentesca. Una delle rare composizioni giunte fino a noi, di una musicista chiamata Maddalena Laura Sirmen, l’ho inserita in una scena in cui le protagoniste eseguono un pezzo in quartetto d’archi. Le sue opere sono arrivate ai giorni nostri perché il suo maestro, notando il talento, le combinò il matrimonio con un noto musicista dell’epoca.
C’è poi la componente fiabesca, come hai coniugato fantasia e contesto storico?
Quando ho rivisto la prima scena del film mi sono detta: “Qua penseranno che da piccola ho visto troppi cartoni animati Disney”. Io amo i film musicali e credo che si basino più sulle emozioni che sulla trama. Conta più “come” racconti. Per cui unire la realtà storica con la fantasia è stato naturale. Gloria! è un film sui contrasti: la musica dell’epoca accanto a quella contemporanea, la leggerezza di alcuni momenti opposta al tema dell’oppressione delle protagoniste.
Negli ultimi tempi nel cinema italiano, pensando a La Chimera di Alice Rohrwacher o a C’è ancora domani di Paola Cortellesi, ricorre spesso il tema della sorellanza, presente anche in Gloria!.
Il concetto della sorellanza è legato soprattutto alla mia vita adulta, perché durante la mia adolescenza mi è mancata. Ero quella che aveva sempre amici maschi, per cui ho scoperto da grande il valore dell’amicizia femminile. Sono felice che l’ideale della sorellanza stia prendendo piede finalmente e che il luogo comune per cui le donne tra di loro sono nemiche stia scomparendo. Bisogna approfittarne, parlarne e calcare la mano. Forse è proprio la sorellanza il concetto base del nuovo femminismo. Ogni sua forma si è sempre costruita sul collettivo.
Nella musica il gender gap è ancora evidente, nel cinema?
Pur avendo lavorato come attrice, questa resta la mia prima vera esperienza. Nel momento in cui il mio film l’ho scritto, l’ho diretto ed è stato pure selezionato alla Berlinale è ovvio che ti dovrei dire: “Beh, va tutto bene”. Ma non è così. Il tema dovrebbe diventare più trasversale e la stampa disegna la cultura insieme agli artisti. Bisognerebbe allora iniziare a porre certe domande anche agli autori e ai registi, far esprimere il pensiero dominante su chi ha meno visibilità. Sono stata a lungo ambasciatrice di Keychange che ha un motto: “Il talento è equamente distribuito, le opportunità no”. Basta guardare le statistiche. Nel 2021 Chloé Zhao con Nomadland è stata solamente la seconda donna a vincere un Oscar per la regia, per esempio. Il gender Gap non è una questione di ideologia, è matematica.
L’intervista completa a Margherita Vicario è sul numero di Billboard Italia di marzo/aprile prenotabile a questo link.