Interviste

Matteo Bocelli, fuori l’album d’esordio: «Il mio mito? Ed Sheeran»

Cinque anni dopo il singolo “Fall on Me” in duetto con suo padre Andrea, oggi (venerdì 22 settembre) esce “Matteo”, il suo primo album. L’abbiamo incontrato a Milano

Autore Federico Durante
  • Il22 Settembre 2023
Matteo Bocelli, fuori l’album d’esordio: «Il mio mito? Ed Sheeran»

Matteo Bocelli (foto di Mattia Guolo)

Quando si porta uno dei cognomi più noti della musica italiana, le aspettative degli altri (case discografiche, pubblico, stampa) possono rivelarsi un peso insostenibile. Eppure una delle qualità del 25enne Matteo Bocelli che colpiscono subito è un’innata serenità, perfetta emanazione di quelle maniere garbate che hanno contribuito a rendere suo padre Andrea un’icona di musica e di stile celebre in Italia e nel mondo.

Per i Bocelli la musica è una questione di famiglia. Proprio il padre lanciò la carriera di Matteo cinque anni fa con il duetto su Fall on Me, singolo estratto dall’album che debuttò alla prima posizione della Billboard 200. Un esordio in grande stile, insomma.

Adesso Matteo Bocelli è pronto a volare con le proprie ali. E vuole farlo a modo suo, con un suo stile: nelle dodici tracce (quattordici nella versione deluxe) dell’album Matteo (in uscita venerdì 22 settembre via Capitol Records / Universal Music) l’impostazione lirica del padre cede il posto a un approccio marcatamente pop, fra ballad alla Ed Sheeran (suo grande idolo) e brani uptempo.

Come è arrivato a trovare il suo sound? In che modo sta costruendo la sua carriera? Billboard Italia ha incontrato Matteo Bocelli a Milano poco prima dell’uscita dell’album.

Ascolta l’album di Matteo Bocelli

L’intervista

Risale a cinque anni fa il tuo “battesimo” artistico, ovvero il singolo Fall on Me in duetto con tuo padre. Cosa ha rappresentato quel momento e come sono stati questi ultimi cinque anni della tua vita?

Fall on Me è stata indiscutibilmente un inizio importante, perché di fatto è stata la scintilla che ha fatto partire tutto e perché sono stati anni ricchi di emozioni e belle esperienze. Mi ha aperto molte porte, a partire dalla possibilità di siglare subito con la Capitol Records a Los Angeles.

Il team mi ha supportato (e sopportato) sin da subito, permettendomi di lavorare al meglio sul progetto, fino ad arrivare a questo primo album. Fall on Me è stata un’esperienza unica, adesso è tempo di continuare con le mie gambe e iniziare un nuovo percorso con un progetto che sento totalmente mio.

Nonostante ciò che uno si potrebbe aspettare dal tuo cognome, il tuo progetto ha una dimensione marcatamente pop. In che modo negli anni hai messo a fuoco il sound che volevi ottenere?

Ho sempre respirato opera e musica classica, ma la musica che cantavo a casa era il pop. Ma questo non significa che poi tu sappia esattamente cosa vuoi. C’è bisogno di lavorare sulle cose, di provare, di sperimentare. Questi anni sono stati molto utili per trovare la quadra che più mi desse soddisfazione, in cui mi trovassi a mio agio. In questi anni abbiamo scritto un centinaio di brani e da questi ne abbiamo selezionati quattordici.

Dal punto di vista del pop quali sono i tuoi idoli di ieri e di oggi, italiani e stranieri?

Dico sempre Ed Sheeran. Oggi è facile dirlo, perché è l’artista numero uno al mondo. L’artista non è soltanto la sua musica ma anche il suo messaggio e la persona stessa. Ed non è solo un artista incredibile ma è anche una bella persona, perlomeno è quello che ho percepito quelle volte che l’ho visto di persona. Mi ha colpito molto e ad oggi potrei definirlo un idolo.

Poi io sono un romanticone, e lui è il re delle ballad! Ma al tempo stesso è stato in grado di avere un successo incredibile anche con pezzi più uptempo. Quello è sempre stato un po’ il mio sogno: avere un imprinting da pezzi lenti e sentimentali, ma essere in grado di far saltare la gente ai concerti.

Tendenzialmente ho sempre ascoltato più la musica del passato: Lionel Ritchie, Elton John, Queen… Ma anche musica italiana, ovviamente. Mio padre ha fatto pianobar fino all’età di 30/35 anni, quindi spesso a casa suonava tutti quei pezzi al pianoforte e mi ha trasmesso quella passione: Tenco, De Crescenzo, Concato, Califano…

A scorrere i crediti di songwriting e produzione di questo disco si capisce che hai lavorato con alcuni dei migliori professionisti italiani e internazionali. Com’è andato il lavoro con nomi così importanti?

Ho avuto la fortuna di trovare entusiasmo intorno al mio progetto, lavorando con grandi nomi come Katitti, Davide Petrella, Michele Canova. Mi ritengo fortunato perché mi rendo conto che sono esperienze uniche. Non sempre si riesce a far nascere qualcosa che davvero mi descrivesse.

Fasi, che poi è stata il singolo in italiano che abbiamo scelto, secondo me ha centrato proprio quello che stavamo cercando. Parlo al plurale perché io ci metto la faccia, ma ci sono tante persone che mi supportano.

Il disco si apre con For You, uno di quei brani un po’ più uptempo che dicevi prima. Perché per te è il miglior biglietto da visita dell’intero progetto?

In quel caso mi faccio suggerire dalla casa discografica. È un pezzo su cui Capitol Los Angeles ha puntato tanto. E in effetti quando l’ho provinato ho capito subito che era un pezzo in cui mi trovavo proprio bene, vocalmente parlando. Ci sono pezzi che senti che ti “fittano” bene. E poi l’ho subito percepito come un brano “top” per i concerti.

Chasing Stars, scritta da Ed Sheeran con il fratello Matthew, parla del rapporto fra loro e il padre: sembra quasi scritta apposta per te.

Ho incontrato Ed in occasione dell’uscita di Perfect Symphony, il duetto che ha fatto insieme a mio padre. Lì ho avuto la possibilità di parlarci un po’, mi ha mandato poi un paio di idee. Chasing Stars era quella che ha colpito maggiormente me, il mio manager, gli amici a cui faccio sentire la mia musica. Ci hanno colpito la melodia (perché Ed ha un tocco inconfondibile, ha trovato una sorta di codice suo) e il messaggio, che calzava a pennello sulla mia storia.

Anche se il brano è scritto da qualcun altro, devi ritrovarti in quello che canti. Per quanto possa essere un pezzo di Ed Sheeran, quando canti determinate parole ci devi credere. Effettivamente quella sembrava una storia scritta ad hoc per me. Abbiamo in comune il fatto di avere una famiglia che ama la musica e che ha spinto i figli a conoscerla.

Fra gli autori delle canzoni c’è Dutch Nazari, che ha firmato Resti di un’Estate. Piacevole questa inaspettata questa apertura verso il mondo “indie”, che uno non si aspetterebbe in un disco di Matteo Bocelli.

Un album deve avere un certo andamento, non dev’essere interamente inquadrato su un unico sound. Quindi se trovi un brano che leggermente si allontana dalla linea principale del disco, secondo me aggiunge qualcosa. Quella è una canzone leggera ma arriva. Questo mi ha colpito, ho pensato che fosse un pezzo giusto per il progetto.

Matteo Bocelli - intervista - album d'esordio - 2

I pezzi sono per la maggior parte cantanti in inglese ma alcuni sono in italiano. Come mai questa scelta di usare entrambe le lingue?

Quello è uno dei punti fondamentali: avendo siglato con Capitol in America devo fare anche musica in inglese. Ma il motivo stesso per cui ho siglato con loro è che io sono cresciuto cantando sia in italiano che in inglese. È sempre stato il mio desiderio cantare in inglese, quindi sapevo che quell’etichetta mi avrebbe dato molte opportunità di collaborazione con grandi autori internazionali.

Io mi sento a mio agio a cantare sia in inglese che in italiano. Al tempo stesso è importante non dimenticarsi delle proprie origini. Tutt’oggi considero i testi italiani i più profondi e i più belli di tutta la storia della musica. L’italiano magari ha dieci modi per esprimere un’emozione laddove l’inglese ne ha solo un paio.

Alcune volte mi sono ritrovato a discutere con autori internazionali, traducendogli i nostri testi. Loro ci considerano quasi smielati, eccessivi. Invece secondo me è la bellezza della nostra lingua. Siamo romantici, non c’è niente da fare.

Il tuo è un progetto che parte dall’Italia ma con forti proiezioni internazionali. Che idea di italianità vuoi trasmettere all’estero?

Sono semplicemente molto fiero di essere italiano. Spero che al di là dei nostri confini la gente possa apprezzare i brani che canto nella nostra lingua. L’Italia è talmente amata che si difende da sola, non c’è bisogno di Matteo Bocelli per farlo.

L’anno scorso hai collaborato con Sebastián Yatra: c’è anche la volontà di mettere un piede anche nel mercato Latin?

Una delle mie più grosse fanbase è quella messicana, quindi è importante mantenere un occhio di riguardo per quel mercato. Ma ci si deve arrivare un po’ a caduta, partendo dal presupposto che devi fare ciò che ti piace. Io non mi prostituirò mai facendo qualcosa solo perché è ciò che il mercato si aspetta.

Se dovesse capitare una collaborazione con un altro artista latinoamericano e dovesse convincermi, perché no? Il brano con Yatra è nato da una scrittura che avevo fatto per conto mio, senza sapere che l’avrei cantato con un artista sudamericano.

Nei tuoi brani si sentono qua e là delle cadenze alla Ultimo, e del resto in un’intervista a Vanity Fair hai espresso forte stima proprio per lui. È stato una fonte di ispirazione per te?

La musica italiana negli ultimi anni si è spostata su un genere che io non comprendo, ma il mondo è bello perché è vario. Nella musica spazio molto, ma quando mi siedo al pianoforte quella che canto è pop.

In Ultimo ho rivisto un po’ me stesso: è un ragazzo che ha trovato una chiave per arrivare alle persone con una musica che si ispira agli artisti di una volta (lui è un grande appassionato di Vasco Rossi, di Antonello Venditti e così via), rielaborandoli in chiave moderna. E poi sui testi cosa vuoi dire? Di fatto è uno che sa scrivere, è uno forte, punto e basta. Magari fa meno stream di altri ma poi ha gli stadi pieni, quindi ha vinto.

Nel 2019 ci fu la tua “prima volta” sul palco dell’Ariston, dove andasti come ospite in duetto con tuo padre. Adesso c’è un tuo album: è la volta buona per tornare a Sanremo come concorrente?

È una domanda che mi fanno da allora… Un anno me l’hanno “abbonato”, poi da quello successivo sono tornati a chiedermelo. Io capisco che in Italia Sanremo abbia un peso importante, che sia il massimo a cui un artista può aspirare.

Non nego che anche per me sarebbe una grande emozione salire su quel palco non affiancato a mio padre come ospite ma in prima linea come concorrente. Ma secondo me bisogna andarci quando ne sei veramente convinto, con un brano che davvero ti identifica.

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