Mecna: normale, “Stupido Amore”. L’intervista
Nell’ottavo album della maturità di Mecna, oltre al sentimento c’è anche molto altro. La riflessione sulla vita e ciò che viene dopo, l’elogio della normalità e storie che tutti abbiamo vissuto
«Dopo Disco Inverno, un album in cui ho cercato di essere vari rapper, ho capito che volevo solo essere normale. La normalità è una cosa di cui mi faccio forte». Forse per i più normalità (oltre che fare rima con) sarà sinonimo di banalità, ma non per Mecna. Il rapper meno canonicamente rapper della scena italiana è tornato venerdì 5 maggio con Stupido Amore, il suo nuovo ottavo album il cui sottotitolo potrebbe essere Normal, stupid, love. Una raccolta caleidoscopica di storie («ci sono tante cose mie – forse pure troppe – ma tante storie di chi mi sta intorno», come mi racconta Mecna), riflessioni sulla vita ma anche sulla morte (in Nessuno vuole morire mai con Guè), canzoni da dedicare e un elogio – appunto – della normalità. E anche di passione e tante emozioni, che col passare del tempo non si spengono mai. Anzi.
L’intervista a Mecna
Come ti stai vivendo l’uscita del disco? Ormai sei un veterano, le emozioni sono ancora quelle degli inizi?
Beh sì, effettivamente questo è l’ottavo disco, contando quelli con le collaborazioni. Diciamo che ormai sono abbastanza settato, ma l’emozione ovviamente c’è sempre. Anzi, forse con questo album ancora di più perché lo stiamo portando in parte live prima ed è una cosa che non ho mai fatto. Questa cosa da una parte mi gasa, dall’altra mi crea un po’ di ansia!
A proposito di questi showcase che stai portando in giro per l’Italia, com’è vedere l’impatto del pubblico di fronte a delle canzoni che sentono per la prima volta?
Eh è un bell’esperimento! Quando l’abbiamo messo su non sapevo neanch’io bene cosa aspettarmi. Non sapevo neanche bene che tipo di scaletta avrei fatto, per dirti. Invece poi quando mi ci sono messo con Lvnar abbiamo pensato di ripercorre un po’ tutti i dischi, andando anche a ripescare cose che non facevo live da un po’. Era proprio un regalo che volevamo fare ai fan. Suonare alcuni pezzi del nuovo album per la prima volta è una figata, perché quando guardo le persone mi accorgo che c’è un’attenzione particolare, anche uno strano silenzio se vuoi. Anche gli applausi hanno un sapore diverso. Non saprei come spiegarti, è davvero tutto molto diverso.
Immagino sia anche molto strano vedere le persone che non cantano i tuoi pezzi, ai tuoi concerti c’è sempre una grande partecipazione del pubblico.
Esattamente, quella è la cosa più strana e che più mi spaventava. Però, ti dirò, è stato bello. La risposta del pubblico fino ad ora è stata fighissima.
Arrivando invece a Stupido Amore, hai detto che è uno dei tuoi album più maturi. Cos’è cambiato rispetto ai dischi precedenti? Escludendo ovviamente l’età!
Sicuramente credo di aver spinto ancora un po’ più in là l’introspezione. Non ci sono più solo amore, coccole e cose così, ma ho voluto scavare ancora più nel profondo e capire meglio determinati aspetti del mio essere. Da questo poi ne è derivato tanto anche a livello sonoro. In questo disco c’è stato un grande lavoro strumentale grazie a Lvnar, Alessandro Cianci, Pierfrancesco e Dissimile che sono i componenti della band con cui giro ormai da tre anni, quindi sono anche degli amici oltre che dei collaboratori. Però non li avevo mai coinvolti interamente in un disco, quindi per questo è molto più organico e suonato.
Il dualismo di Stupido Amore
Il titolo del disco racchiude il dualismo di qualcosa che ti fa stare bene ma che allo stesso tempo vorresti un po’ maledire, e trovo che anche la cover rispecchi bene questo sentimento. Quali sono le tracce che per te rappresentano meglio il lato rassicurante e quello più angosciante?
Ci sono dei brani decisamente un po’ cupi come Nessuno vuole morire mai, L’odio, Questi giorni matti o anche Oceano Adriatico. Sono pezzi che hanno un dualismo intrinseco. Ad esempio quella con Guè è una canzone che parla di morte, però in una maniera quasi rilassata. La morte è una cosa che riguarda più chi ti sta intorno, l’angoscia è per chi rimane, non per chi se ne va. Quindi mi sono fatto tutto quel viaggio lì.
E Canzone da dedicare in quest’ottica è un po’ il tuo testamento o è una lettera a qualcuno in particolare?
Non ti saprei rispondere perché sono un po’ vere entrambe le cose. La bellezza di pezzi come quello è che nascono in maniera così irruenta che poi si scrivono praticamente da soli. Di certo c’è tanto di mio ma ci sono tanti riferimenti a storie di persone che mi stanno vicino.
Mecna: «Dopo Disco Inverno ho capito che volevo solo essere normale»
Forse è il vero tratto distintivo della tua musica e la cosa che ha fatto sì che le persone ci si affezionassero. Raccontare storie normali da cui tutti almeno una volta nella vita sono passati, e quindi potersi rivedere in quello che scrivi.
Penso sia proprio questo. Dopo Disco Inverno, che è un album dove ho provato ad essere vari rapper, ho capito che in realtà volevo solo essere normale, e quindi parlare di quello attraverso varie forme.
Che poi la normalità è paradossalmente la cosa che fa più paura perché sembra sinonimo di banalità, invece poi arriva il momento in cui ti accorgi che non è così terribile come ci hanno fatto credere.
Esatto, esatto! Sono assolutamente d’accordo con questa cosa. Motivo per il quale poi ci sono dei brani in cui questo affronto lo sento tanto e mi faccio forte di questa normalità. Oceano Adriatico è uno di questi; è un pezzo in cui ripercorro un po’ tutto quello che ho vissuto da quando ho iniziato a scrivere ad ora e faccio un po’ il punto su varie cose.
Ritornando invece a Canzone da dedicare, c’è un punto in cui tu dici “È più facile tirare bene fuori il petto che essere fragili ed ammetterlo a se stesso”. Tu non ti sei mai tirato indietro dall’esternare le tue fragilità nelle tue canzoni, c’è mai stato un momento in cui hai avuto paura di mostrarti troppo vulnerabile?
Se parliamo di musica no perché se una cosa è uscita dalla mia testa ed è finita in un testo allora era giusto che andasse così. Ci sono brani in cui c’erano tante cose mie – forse anche troppe – ma anche tante storie di chi mi sta intorno. Però sono tutte cose che sentivo, quindi da quel punto di vista non mi sono mai fatto problemi, anzi.
E invece la paura di non riuscire a scrivere? Sei senza dubbio una delle penne più prolifiche del rap italiano.
Sì, mi succede spesso e ogni volta è come se fosse la prima. Diciamo che avendo ormai un po’ di esperienza riesco a gestire la cosa e so come calmarmi. Capisco che questa cosa l’ho già vissuta, che il panico è passato e che si è risolta. Ecco, vedi, è un po’ come quando ti capita qualcosa ti brutto però ne sei già uscito e sai come farlo di nuovo.
A proposito di rapper che scrivono tutti i giorni, in Stupido Amore ci sono Guè e Drast con cui avevi già collaborato ma ci sono anche delle prime volte, come Coez, Dargen e Bais.
Esatto. Con Coez non avevo fatto ancora nulla, ma ci conosciamo da tanto tempo ed era arrivato il momento di concretizzare questa cosa. Stessa cosa vale per Dargen, ho voluto tirarlo dentro questo brano un po’ pazzo con Bais che è un artista che mi piace un botto. Ho cercato di mettere su delle collaborazioni che non fossero scontate, ecco.
Mecna: «In questo disco ho voluto tributare il momento in cui mi innamoravo del rap italiano»
Ma Lo dovevi fare con me è un sequel di Faresti con me?
(Ride, ndr). Ma sai che sinceramente questo pensiero non c’era all’inizio, poi quando abbiamo pubblicato la tracklist un po’ di gente ha scritto questa cosa ed effettivamente ci può stare. Faresti con me ovviamente stava per “Verresti a letto con me”, e ora in Lo faresti con me dico che ha fatto un figlio con un altro! Non fa una piega comunque!
Questi giorni matti invece è una citazione al pezzo di Bassi Maestro, Ape e Zampa o sbaglio?
Per me assolutamente sì. Poi non ha nulla di quel brano, però tutto quel mondo per me è stato il primo vero impatto con il rap italiano, quindi continua ad essere presente in quello che faccio. Diciamo che ho voluto fare una sorta di tributo al momento in cui mi innamoravo dell’hip hop italiano. Sono dischi che ho talmente dentro che non possono non venire fuori.
E del periodo Blue Nox invece cosa ti porti ancora dietro?
Bella domanda! Probabilmente il fatto di dover arrangiarsi da soli, in quel periodo facevamo tutti noi senza nessuno. A me piace occuparmi di ogni aspetto del mio progetto, anche se il team si è allargato. Non sono uno che delega a cuor leggero a tutti, sento di dover avere sempre tutto sotto controllo. E poi sicuramente la passione, che negli anni non è calata per niente.