mew: «Essere fragili non è una condanna»
La cantante parla del suo nuovo EP “Quando nessuno ci vede” in uscita il 10 ottobre, tra testi autobiografici e zone di penombra

mew (foto Simone Biavati)
«La musica è terapia per me», afferma mew in modo molto deciso. L’EP Quando nessuno ci vede è una raccolta di sei tracce in cui la cantante mette in musica le esperienze che ha vissuto in prima persona indagando gli alti e i bassi, il buio e la luce. Il progetto dark-pop di Valentina Turchetto (in arte mew) uscirà domani (10 ottobre). La giovane cantante, che strizza ogni tanto l’occhio ad Avril Lavigne, si racconta attraverso la sua musica annotando ogni cosa che le succede.
Classe ‘99 e cresciuta a Jesolo, mew è stata anche una ex concorrente del programma di Maria De Filippi, Amici 2023. L’anno scorso ha partecipato a Sanremo Giovani con il brano Oh My God, arrivando alla semifinale. L’artista ci racconta apertamente di depressione, salute mentale e di come ha fatto a trovare uno spiraglio di luce in un vortice buio. L’EP rappresenta una rinascita per la cantante, ma spera che «abbia un linguaggio universale in cui tutti ci si possano trovare».
L’intervista a mew
Nel singolo Buia tu dici “Ho stretto sangue e dolore tra i testi”. Raccontaci meglio.
Ho voluto portare questa mia vibe sempre un po’ dark e volgerla in una maniera più lucente e brillante. Volevo portarla verso una cosa più positiva, proprio quello che è successo poi nella mia vita nell’arco dell’ultimo anno.
Quando nessuno ci vede è una rinascita per te?
Beh, sicuramente si. Sono passata da un periodo molto buio, molto tosto, niente di così sconosciuto: è risaputo che sono stata ad Amici, ho avuto dei problemi, sono uscita a causa della depressione che avevo in quel momento. Uscire da questa situazione così pesante mi ha richiesto tanto lavoro, tanta ricerca di me stessa, tanta terapia, e non è stato facile ritrovare me stessa.
Citavi Amici. Lì hai avuto il coraggio di dire: “Ok, sto male, me ne vado” in un mondo che comunque spinge sempre a resistere. Cosa ti ha insegnato quella scelta?
A sapermi ascoltare. È una cosa che alla quale pensavo anche ieri. Anche tanti miei colleghi nell’ultimo periodo stanno attraversando dei momenti pesanti e hanno capito che a volte è giusto fermarsi e ascoltarsi in questo mondo che è molto veloce e non ti dà neanche tempo di riflettere. A volte è giusto prendersi il proprio momento, dire “Ok, devo ritrovarmi devo capire come rimettermi in piedi”.
E invece sull’esperienza a Sanremo Giovani?
Quella è stata una bella esperienza, la ricordo positivamente perché il format mi ricordava molto Amici, quindi non è stato per niente strano per me. Anche se non sono arrivata all’Ariston, ho conosciuto delle belle persone e ho portato la mia musica in giro, che è la cosa più importante per me.
Tornando a Buia. Chi è lo “spettro che danza” che citi?
In questo caso specifico per me era una persona con cui avevo una relazione quando ero più piccola, però nelle mani di tutti può diventare qualsiasi cosa: un momento, una situazione, il fidanzato o la fidanzata, un genitore che non ci sta bene. Insomma, può essere visto in tanti modi.
Il dolore, la vulnerabilità e la rinascita sono temi sempre molto presenti nei tuoi testi. Mettere queste esperienze in musica è un modo per esorcizzare?
Assolutamente sì. Io dico sempre che per me la musica è terapia e quindi scrivere su carta queste parole mi aiuta ad avere una visione più chiara. Spesso anche la mia terapeuta mi fa scrivere pensieri su carta. Quello mi ha fatto capire che scrivere effettivamente mi aiuta molto e poterlo fare come lavoro è incredibile per me.
Da dove prendi l’ispirazione?
Prendo come ispirazione sempre esperienze già vissute per poterle spiegare nel migliore dei modi. Generalmente scrivo tante note su quello che mi succede e poi magari prendo quella situazione e cerco di renderla un po’ di tutti.
Spesso nei tuoi pezzi torna il concetto di stanza, raffigurata anche nella copertina. Per te cosa rappresenta?
La stanza è quel posto dove posso essere me stessa al 100% e per questo è collegata al titolo dell’EP. Nella mia camera posso essere mew, Valentina senza maschere. Per me quel posto è importantissimo, è dove nasce la mia musica e dove porto tutto quello che magari fuori faccio fatica a esternare. È il mio posto sicuro.
Conto alla rovescia ha delle sonorità un po’ alla Saygrace in You Don’t Own Me. È effettivamente così?
Ci sta come assonanza. Non ho preso come reference questo pezzo in realtà, però comprendo anche quello che ti è arrivato. Ho semplicemente voluto un po’ sperimentare anche con il suono. In alcuni brani sono rimasta molto più classica, molto più pop, però io ho anche questa questa faccia che è un po’ più matta, con sonorità più particolari. Conto alla rovescia e Ttutta la vita sono i due brani più più sperimentali dell’EP.
In Ttutta la vita ho notato il violoncello che apre e chiude il pezzo con quest’anima un po’ tetra, però il pezzo alla fine è leggero.
Sì, sono le mie due facce. Questo pezzo che chiude l’EP è uno dei più leggeri secondo me, però volevo renderlo comunque mio al 100%. Io amo gli archi e l’epicità che danno ai pezzi. Una sera stavo ascoltando uno dei miei pezzi preferiti, Saturn di Sleeping at Last, con questi archi incredibili che mi ricordavano un po’ Il Signore degli Anelli. E ho pensato: “Su Ttutta la vita questa roba ci può stare bene e mi può dare anche una vision diversa del pezzo”. Sono contentissima di come è venuto.
Passando invece a Diavolo Custode. Il titolo è già un paradosso.
In realtà questo pezzo nasce come Angelo custode, perché volevo far passare l’idea di poter salvare qualcuno in determinate situazioni. Anche nel ritornello dico: “Se avrai bisogno di un ombrello quando piove”. Solo che non mi ci identificavo molto in questo angelo custode, perché sono più una persona realista, quindi ho voluto cambiare. È un paradosso, ma va bene. Diavolo custode ci sta molto di più anche per come sono io: un po’ matta, però buona.
Nel testo però dici anche “Sento il peso di amare così tanto”. Tu lo senti?
Dipende dalle situazioni. Nelle mie relazioni penso di aver sempre amato più io dell’altra persona e quindi questo mi ha sempre portato a farmelo anche pesare. Non è bello quando senti questa situazione di provare più amore dell’altro, no? Quindi per questo ho scritto questa frase. Ti devo dire però che se trovi la persona giusta questo peso non lo avverti.
Verso la fine dell’EP dal buio si va verso uno spiraglio di luce. Cosa lasci nel buio e che cosa invece porti nella luce?
Nella luce porto me stessa con tutte le mie fragilità, tutte le mie debolezze, tutte le mie paure perché ho imparato a conviverci e me le porto dietro serenamente. Nel buio lascio persone che hanno influenzato negativamente la mia vita, perché anche i momenti bui che ho vissuto me li porto comunque nella luce. Mi va bene portarmeli dietro, mi fanno ricordare quanto io abbia sudato per arrivare ad essere come sono adesso.
Stai indossando il sorriso che citi in Tttutta la vita?
Al 100%. Sono in un periodo della mia vita bello, felice, lucente, che da tanto tempo non vivevo. Me lo porto appresso con tanto orgoglio.
Cosa ti aspetti per il tuo futuro?
Lavorativamente spero tanto di poter cantare in giro e incontrare le persone che mi ascoltano e scambiare con loro momenti, pareri e parole. Per la mia vita in generale spero di continuare a vivere come sto facendo adesso: in modo intenso, ma allo stesso tempo spensierato. Spero di portare avanti questo equilibrio che ho trovato. Sicuramente spero di non smettere mai di fare musica.
Che messaggio vuoi che arrivi al tuo pubblico da Quando nessuno ci vede?
Che essere fragili non è una condanna o una debolezza, ma un modo di poter trasformare le cose delicate in forza. Quindi di non avere paura di parlare dei propri problemi, di essere sereni anche se si sta attraversando un momento no, perché alla fine qualsiasi momento si risolve e si può stare meglio.