Interviste

Mezzosangue: «Il compito del rap è curare il distacco emotivo dalla realtà»

A distanza di dodici anni dalla sua pubblicazione come mixtape, il rapper romano ha trasformato “Musica Cicatrene” in un album. La sua forza? Essere ancora spaventosamente attuale

Autore Greta Valicenti
  • Il20 Luglio 2024
Mezzosangue: «Il compito del rap è curare il distacco emotivo dalla realtà»

Mezzosangue

Quanti dischi usciti un decennio fa o più hanno la capacità di rimanere estremamente attuali se riascoltati tempo dopo? Se pensiamo al rap italiano, nell’elenco non si può non annoverare Musica Cicatrene di Mezzosangue, pubblicato come mixtape nel 2012. Un pilastro dell’hip hop underground e quadro iper realistico della società “a cui mancava la cornice che meritava”, come ci racconta lo stesso Mezzosangue in questa intervista, e che ora è diventato un vero e proprio album grazie anche alle produzioni curate interamente da G-laspada.

E dodici anni fa con Musica Cicatrene Mezzosangue – tra capitalismo incontrollato, indifferenza sociale, individualismo sfrenato, cultura dell’apparenza – aveva raccontato il presente profetizzando il futuro, tanto che – in modo significativo – pochissime parti dei testi hanno subito variazioni. E per il rapper romano riprendere in mano questo progetto è stato anche un modo per chiudere un cerchio a cui mancava un tassello, tornando nella stessa casa dove lo aveva scritto, quella in cui per la prima volta ha indossato la sua maschera, e – una volta terminato – riuscendo definitivamente a tirarsi dietro la porta. Suturando così l’ultima ferita del passato.

L’intervista a Mezzosangue per “Musica Cicatrene: The Album”

Come ti è venuta l’idea di riprendere in mano Musica Cicatrene dopo dodici anni?
Era un pensiero che avevo da un bel po’ di tempo perché era tanto richiesto dai fan e a me sinceramente è sempre rimasto il cruccio di non lasciarlo buttato lì su YouTube ma di dargli un po’ una sua posizione. Musica Cicatrene era una sorta di quadro a cui mancava la cornice, dunque abbiamo riprodotto tutto e gli abbiamo dato quella professionalità che meritava.

È stato anche un modo per farlo riscoprire alle nuove generazioni? Ti capita che ci siano ragazzi che ti dicono che lo hanno ascoltato adesso per la prima volta?
Assolutamente sì. Sul tema della prima volta ho avuto molti dibattiti perché qualche fan mi ha detto “Ma è un peccato che lo scoprano quelli che ti conoscono solo ora”. Ma come è un peccato? Per me è una cosa bella riportarlo alla luce in un momento in cui c’è un’attenzione diversa rispetto a dodici anni fa.

La cosa che ovviamente colpisce di più è che nonostante il tempo che è passato i testi hanno subito pochissime variazioni rimanendo molto vivi. Ti spaventa il fatto che siano ancora così attuali?
Sicuramente sì, anzi, mi sono reso conto che oggi valgono ancora di più perché sono temi che vengono sempre un po’ più messi da parte ma sono sempre più vivi. Credo che il compito di un artista sia scrivere fuori dal tempo, realizzare un qualcosa che abbia la sua validità anche dieci anni dopo.

Il primo singolo estratto è stato Capitan Presente, con cui tu avevi partecipato al contest di Esa nel 2012. Che ricordi hai di quel periodo?
Ero sicuramente molto più incazzato. Infatti è stato particolare rivivere emotivamente quelle cose, tornare nella casa in cui scrissi quel pezzo e trovarla abbandonata e disastrata. Sono andato a vivere da solo a 17 anni e la cosa più strana è stato pensare come in quel momento l’unica cosa che mi è venuta in mente è stato mettere una maschera e ho detto ciò che volevo dire nel modo in cui volevo farlo.

Hai detto che sei riuscito a “risentire la visceralità e la fame di quel disco”.
Sì, perché stare in quella casa di 20 metri quadri e avere solo le emozioni è stata una cosa forte. Io non avevo più avuto il coraggio di tornarci, da tempo dovevo sistemarla e togliere tutte le mie cose ma non ce l’ho mai fatta. La cosa assurda è che appena abbiamo chiuso l’album io sono riuscito a liberarla e chiudere definitivamente. È stata davvero la chiusura di un cerchio.

Nell’album c’è una sola collaborazione, con Gaia. Come hai scelto proprio lei?
Piove musica è un brano che risale a quando avevo 18 anni ed è stata la prima canzone che ho scritto, tant’è che non era mai uscita come Mezzosangue ma un altro nome, poi non so come l’ho trovata caricata su YouTube. Mi serviva una voce eterea, quindi ho contattato Gaia e quando siamo stati in studio insieme ho capito che era la voce che stavo cercando.

Nel 2012 in un’intervista avevi detto che “il rap va alla grande come fine, ma come mezzo ha un po’ perso la sua utilità”. Nel 2024 secondo te il genere ha ancora la capacità di raccontare davvero i problemi delle persone e della società?
Non so se è una mia spinta ottimista, ma ho notato che sempre più spesso i ragazzi richiedono questa cosa. Le nuove generazioni sentono molto la necessità di dire e ascoltare delle cose vere, dirette, che curino il distacco emotivo con la realtà, cosa che magari negli ultimi anni si era un po’ persa.

In Capitan Presente parlavi di secondo Medioevo: ora siamo nel terzo?
Probabilmente sì perché l’unica cosa che è cambiata dal secondo è che il mondo è molto più spostato nell’era digitale e dell’invisibile. Prima le cose erano più tangibili, adesso la risposta emotiva frenata alla realtà rende tutto un po’ più piatto, ad esempio una notizia si scorda già il giorno dopo. Io mi sento molto ottimista sulle nuove generazioni, sto cercando di educarmi al pensiero che il modo in cui ci aspettiamo la realtà possa guidarla.

Stai già scrivendo qualcosa di nuovo?
Sono in una fase un po’ di stallo perché ho scritto molto verso una direzione, ma sto cercando di capire se è quella giusta. Forse anche per questo sono tornato su Musica Cicatrene, perché credo che la chiusura di un percorso possa aiutare a comprendere.

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