Milano in caps lock: un glossario minimo “MYSSKETIANO”
Con il suo sguardo iperrealista sulla città e i suoi vizi, l’artista mascherata è una creatura milanese per eccellenza. Con lei abbiamo stilato un dizionario di sopravvivenza alla città, dalla A di aperitivo alla Z di zanza
Milano è talmente ricca di stimoli diversi che si presta a una sorprendente molteplicità di narrazioni. C’è la Milano alternativa, dei centri sociali e dei baretti sui Navigli dei Coma_Cose e quella del revival poliziottesco dei primi Calibro 35. Ci sono le pellicce di visone che strusciano sulle spalle delle “sciure milanesi” cantate da Popa e la crescente conflittualità sociale dei quartieri popolari da cui provengono i nuovi rapper.
Ma nessuno oggi racconta Milano, i suoi paradossi, i suoi personaggi, i suoi peccati meglio di M¥SS KETA, ormai da dieci anni l’interprete più acuta della commedia umana che anima la città. Già, perché nel 2013 usciva il brano che sancì la sua consacrazione, dal titolo iconico e programmatico: MILANO SUSHI & COCA (ovviamente in caps lock).
Da allora non ha mai smesso di nutrire il suo sguardo iperrealista e la sua ironia affilata come una lama con l’immaginario a luci e ombre della “capitale morale”. E per raccontare una città in cui tutti recitiamo una parte, forse non c’è modo migliore che farlo letteralmente da dietro una maschera.
Per questi motivi “la myss” non poteva mancare in un numero come questo. Con lei ci siamo divertiti a stilare un glossario minimo “myssketiano” di sopravvivenza a Milano. Dalla A di aperitivo alla Z di zanza. Trovate l’articolo integrale sul numero di gennaio/febbraio di Billboard Italia, dedicato proprio al capoluogo lombardo.
Aperitivo
Questa piccola evasione dopo-lavoro ed extra-domestica è anche un’occasione per fare affari, stringere intrallazzi, fare gli splendidi, broccolare. Perché proprio Milano è la patria per eccellenza dell’happy hour?
Perché da un certo punto di vista è rimasta la Milano da bere degli anni ’80. L’aperitivo è il punto di congiunzione del mondo del giorno con il mondo della notte. Lì confluiscono tutti i tipi di professionalità e si condividono i pensieri relativi ai propri desideri, legati non per forza al lavoro ma a un certo tipo di soddisfazione personale, di volontà creativa.
È il momento in cui si intessono possibili collaborazioni: per me gli aperitivi nei locali di Porta Venezia sono stati momenti importanti per delineare il mio progetto musicale. Lì ho conosciuto persone che poi hanno continuato a lavorare con me.
L’aperitivo è quel momento fra il creativo e il brillo in cui scoppiettano le idee, scoppiettano i calici di Prosecco e dalle chiacchiere si può passare alla realizzazione di progetti. Perché proprio a Milano? Perché in fin dei conti è una città relativamente piccola: tante persone confluiscono in meno posti. È tutto molto mescolato e per questo è più fluido lo scambio di idee.
Droga
Milano come piazza di largo consumo, di trasgressione neanche troppo nascosta. Qual è il rapporto fra la città e lo sballo?
È lo stesso di ogni grande città. Più persone ci sono sotto i riflettori, più grande è il lato oscuro della città. Lo sballo milanese si può intendere dalla frizzantezza dell’aperitivo alla cupezza di un after pesante e dark consumato fra quattro mura.
Milano è come se fosse preda di queste ubriacature, e quand’è così è inevitabile che ci siano risvolti anche negativi. La ricerca dello sballo, dell’uscire fuori dai binari è tanto più forte quanto più la città è fatta di tempi dettati, di doveri e responsabilità. C’è uno sballo positivo: quello della nightlife, del clubbing, della notte milanese. È uno sballo per uscire dalle gabbie del quotidiano e ha portato Milano ad essere la città di cultura che è.
Sta nell’equilibrio dell’essere umano uscire di notte, sfogarsi, ballare, conoscere persone. Una persona equilibrata vivrà la sua parte notturna in modo equilibrato. Ma una città che ti spinge al burnout avrà di conseguenza uno sballo estremamente negativo.
Finanza
Milano e i soldi, questo grande dio immanente e protettore non ufficiale della città. Per molti un miraggio, per quasi tutti l’unità di misura del successo nella scala sociale. Cosa sono i dané per Milano?
I soldi sono una scala di misura “oggettiva” per il successo che possono avere certe persone o certi progetti. Milano è la seconda città dopo New York dove ho visto che si chiede che lavoro fai prima ancora di chi sei o come ti chiami. È un lato di Milano che non mi affascina e che purtroppo le appartiene.
Ovviamente i soldi sono quello che a tutti serve per vivere, sono nel quotidiano di ogni persona. Ma si può evitare di pensare al denaro ritenendo che sia l’unico modo di leggere il successo. Bisognerebbe prendere in considerazione anche altre scale valoriali: la soddisfazione personale, la creatività, la collaborazione con altre persone.
Milano è una città molto capitalista ed è inevitabile che il denaro si porti dietro una serie di valutazioni. Ma mi fa rabbia quando si valutano i progetti, anche musicali, in base ai soldi. È un’abitudine da cui Milano dovrebbe sganciarsi sempre di più.
Lavoro
Da secoli Milano basa la sua narrazione sul culto del fare e dell’operosità, vicino più a un mondo germanico e anglosassone che mediterraneo. Perché i milanesi hanno bisogno del lavoro per riempire di senso le proprie vite?
È come se tutte le forze di questa città ti spingessero in quella direzione: il tuo lavoro diventa parte del tratteggio della tua identità personale. Milano è una città del nord, lontana dal mare, meno lontana dalle montagne ma non esattamente in mezzo alla natura. Quindi è “artificiale”, non offre uno sfogo naturale immediato.
Sei costantemente immerso in artifici, anche a livello mentale: il fatto di definirti così tanto attraverso il lavoro è inevitabile. Mettiamo che lavori dalle 9 alle 18, sei arrivata da fuori, sei al primo impiego, conosci solo i colleghi del lavoro: inevitabilmente quando esci parlerai di quello, quando conosci qualcuno il lavoro sarà la tua prima “moneta di scambio”, anche solo per chiacchierare. È vero, rispetto al mondo mediterraneo Milano offre meno, ma in compenso la sua ricchezza è quella dell’offerta culturale.
Notte
I club sono da sempre spazi franchi di evasione e trasgressione nel tessuto urbano e sociale di Milano. Come hai visto evolvere la nightlife nel corso degli anni?
La notte a Milano è importante quanto il giorno. Per me è stata il nido dove sono riuscita a ritrovarmi, comprendermi di più, fare amicizie e consolidare rapporti. Nella notte milanese ci spogliamo di quello che siamo durante il giorno e abbracciamo il resto del mondo in una maniera aperta, libera, con meno preconcetti.
È un mondo che a Milano ha dato tantissimo. La presenza della moda, dell’industria musicale e delle industrie creative in generale è inevitabilmente collegata al fatto che la notte a Milano è sempre stata forte. Per me il clubbing è sentirsi bene con le persone che ti stanno intorno, in maniera libera.
Nel 2013 la scena clubbing di Milano ribolliva, c’erano molte serate (come il Glitter, a cui devo molto). Oggi meno, ma non credo che sia cambiata la voglia delle persone di cercare quello spazio sicuro in cui sentirsi bene con se stesse e col mondo.
Sesso
Qual è il rapporto di Milano col piacere?
Milano è una città anche edonista. Si lavora tanto e quindi si cerca tanta evasione. Trovo che qui la libertà di espressione sessuale abbia fatto tanti passi in avanti rispetto a una decina di anni fa. Nel 2013 la “città arcobaleno” era relativa solo al quartiere di Porta Venezia, ora riguarda davvero tutta la città.
In questi anni c’è stata un’apertura mentale verso l’ascolto dei propri desideri, della propria volontà di esprimersi sessualmente senza essere giudicati. Quando riesci a fare ciò senza giudicare il desiderio degli altri sei una persona completa, soddisfatta.
È importante capire cosa si vuole per se stessi realmente, scindendolo ciò da quello che si aspettano gli altri da noi. Da questo punto di vista Milano è una città molto aperta alla sperimentazione.
Zanza
Milano ha anche una lunga storia di “mala”, come si diceva una volta (oggi forse parleremmo di baby gang o quant’altro). Perché qui più che altrove gli emarginati hanno sempre trovato spazio per farsi largo nella società a modo loro?
Perché essendo una città di scambi, molto aperta, in cui c’è un continuo andirivieni, e muovendo tanti interessi economici, inevitabilmente l’illegalità qui trova un certo tipo di culla. Milano è aperta a tutta l’Europa, è al centro di tante infrastrutture e di industrie: per forza attira tanti affari sia legali che illegali.
Negli ultimi tempi credo che abbia contribuito a ciò anche il rinculo del Covid. È un trauma collettivo che non abbiamo ancora elaborato, ma sicuramente c’è stato un aumento della piccola criminalità, forse anche come effetto dell’inasprimento della situazione economica, in cui i prezzi diventano sempre più alti. Così il malcontento ribolle.