Interviste

Chi è Mystic Jungle, “l’artigiano” della migliore retro disco made in Napoli

Abbiamo incontrato Dario di Pace, producer, DJ, fondatore di Periodica Records e del Futuribile Record Club, negozio che è diventato un punto di riferimento per gli appassionati della musica napoletana di nicchia degli anni ’70 e ’80

  • Il25 Maggio 2025
Chi è Mystic Jungle, “l’artigiano” della migliore retro disco made in Napoli

Tutti quelli che si sono avvicinati un po’ casualmente, e in parte per buona volontà, al fenomeno Nu Genea, si sono accorti che tutto attorno a loro c’è una ampissima area di artisti. DJ, crate digger e proprietari di etichette che hanno alimentato un ritorno pazzesco a un certo tipo di sound napoletano che appartiene in realtà alla città da tempo. Dagli anni ’70, quando il funk, la disco, un determinato modo di fare jazz fusion s’intrecciavano magnificamente con le melodie partenopee. Tra loro, nascosto letteralmente tra le piante e i rovi della bellissima zona verde attorno a Camaldoli, c’è Dario Di Pace, in arte Mystic Jungle (il nome sembra perfetto per dove sta il suo studio, il West Hill Studio). Per molto tempo è rimasto “in silenzio”. Finalmente ha fatto uscire per la sua etichetta uno stupendo album di suoni retro disco: Sunset Breaker.

Nel suo nuovo lavoro non ci troverete solo irresistibili giri funky disco, percussioni africane e richiami balearici, ma anche inediti ed esotici rimandi al lover’s rock (non quello giamaicano, ma quello teutonico!) o accenni psichedelici. Un paradiso sonoro che ci allontana dallo standard dei suoni contemporanei. Questo anche grazie a un modus operandi da vero artigiano del sound. Dario manovra letteralmente bobine, scambia pezzi di synth analogici, addirittura compra vecchi catalogi di font anni ’80, per la realizzazionre delle copertine delle uscite per la Periodica. Lo abbiamo incontrato nella “giungla mistica” del suo studio, anticipati da alcune scosse telluriche appena partite dalla lontana zona dei Campi Flegrei.

Il West Hill studio di Mystic Jungle

L’intervista a Mystic Jungle

Ciao Dario l’hai sentito il terremoto?
No, no. Io non sento mai niente. Ora, detto così, qualcuno potrebbe anche non capire, ma io abito in una zona molto rurale. Insomma, sono un po’ lontano dalla zona dei Campi Flegrei.

È da un po’ che non sentivo circolare tue nuove produzioni come Mystic Jungle o sbaglio?
Sì, sono il classico tipo che lascia sempre indietro un po’ di compiti da fare perché faccio veramente troppe cose tutte assieme! Tra le tante, sono stato fagocitato dal lavoro per altri progetti che girano naturalmente attorno al Mystic Jungle team. Che poi sono Raffaele Arcella (Whodamanny, ndr) e Enrico Fierro (Milord, ndr). Io non curo solamente il lavoro mio ma anche di altri, come quello di Capinera, bellissimo. Che poi è uscito per una sotto etichetta della Periodica, si chiama Pegaso. E anche questo è un progetto che mi porta via altra energia…

Venendo nel dettaglio di Sunset Breaker ho letto che in pratica avevi iniziato a lavorarci su addirittura nel 2022 e poi lo hai rifatto tutto daccapo.
Vero. Stava venendo fuori un disco con “musica da baffoni”. Troppo anni ’70 e serioso. Voglio aspettare un po’ per farmi trasportare in quella direzione. Voglio ancora far ballare e divertirmi. E poi a proposito di farmi trascinare via dal tempo… devo dirti che io vivo a Camaldoli, una zona verdissima piena di boschi, è anche la parte più alta della città. E lo studio è una dépendance all’interno di questo boschetto, quindi separata dalla casa dall’abitazione. Sono stato fortunato perché una volta era il garage dove il proprietario ci teneva una monovolume di quelle proprio gigantesche. Insomma, è più che sufficiente per fare uno studio!

Uno studio in mezzo al verde è anche un bell’impegno però.
Sì, se non curi la vegetazione periodicamente – ho degli alberi di grosso fusto tutt’attorno che crescono con una velocità supersonica – arriva un sacco di umidità che danneggia soprattutto il banco regia e i synth più vecchi, quelli con batterie che sono sensibili alle variazioni di temperature. Gli scorsi anni ho avuto dei problemi personali e lo studio è rimasto per un anno in stato di quiescenza. La natura aveva preso il sopravvento stile film Io sono leggenda. Erano addirittura cresciute le piante acquatiche. Insomma, mi sono messo, letteralmente ad aprire, smontare, pulire, riparare da solo e con amici veri, tutta la mia attrezzatura. E, dulcis in fundo, ho davvero rifatto tutto daccapo il disco. Le tracce che senti sono nate da pochissimi mesi. Fatte in pochissimo tempo, ma se non ci fosse stato questo calvario dello studio, se così si può chiamare, non sarei mai arrivato a questa sintesi.

Una sintesi affascinante che vede protagonista non solo il sound disco che è un po’ la tua cifra stilistica ma anche cose nuove.
Addirittura delle tracce di soft rock (ride, ndr).

Intendo dire che per fortuna non rientri in quel trend semi commerciale che tenta di riprendere i fasti di italo disco e tramutarli in una canzoncina pop contemporanea.
Ma io sono un appassionato e un ricercatore di musica. Nella mia casistica di ricerca, molto spesso non ci sono solo produzioni made in Italy, ma anche americane lo-fi. Musica fatta con batterie elettroniche di terz’ordine e sono quelle che utilizzo anche io (ride, ndr)!

Mi piace anche lo stile retro delle grafiche che scegli per i tuoi progetti. So che sei un grande appassionato di loghi e insegne del passato quando si tratta di produzioni napoletane e non solo tra gli anni ’80 e i primissimi anni ’90.
Esatto, prima ti ho nominato la nuova etichetta Pegaso. Il logo è stato “rubato” da una pizzeria. Mi piaceva un sacco l’insegna, quindi l’ho copiata. Un disegno orribile ma nello stesso tempo stupendo.

Quando si tratta di loghi e grafiche di un certo tipo si è in quella soglia pericolosissima tra una cringiata e un’operazione sublime…
Devi sapere che compro cataloghi di caratteri tipografici degli anni ‘80 perché non voglio delle versioni digitali. Su queste cose sono bello fissato, è una passione e so che i risultati che ottengo con quel tipo di stile piace molto alle nuove generazioni. Li vedo nel mio negozio di dischi come sono attratti dalle grafiche. Però ovviamente non conoscono bene la storia di quelle produzioni e se vanno nei mercatini a cercare roba anche trash degli anni ’80 non riconoscono immediatamente se una cosa è di valore o no. Non esiste solo Discogs per capirlo.

Fammi capire, che cosa distingue spesso un disco fuffa, diciamo così, da una produzione di culto di quel periodo? Parliamo di Napoli anni ’80.
Soprattutto per chi ne capisce, si giudica quasi tutto dalla copertina, all’ottanta percento. Una produzione italiana degli anni ‘80 se ha un disegno orrendo fatto a mano con dei font improponibili, tipo un po’ fantascientifici strani, anche un po’ asettici, molto probabilmente è una bomba di disco. Invece quello che ha la copertina super elaborata, super fatta bene con tutto al posto giusto, sarà una grossa produzione di cui si troveranno migliaia e migliaia di copie in giro.

Sunset Breaker, come dicevi, per fortuna fa ballare nel pezzo iniziale Secrets c’è una vena funky irresistibile.
A me piace fare il Dj e questo è un brano che se lo metti al momento giusto te la balla alla grande!

La avrei fatta cantare da Sabrina Salerno, è la nuova Boys.
Pensa che Roxana (la cantante chiamata per la session di Sunset Breaker, ndr) non riusciva ad acchiappare quelle note, perché il falsetto che ho chiesto è chiaramente innaturale. E così l’ho lavorato con una sovrapposizione di varie ottave su nastro, volevo avere quell’effetto, ecco un esempio di artigianalità…

A me piace molto anche Vision. Ho letto che per questo brano ti sei ispirato ai Gaz Nevada. Non so se hai visto il documentario di Lisa Bosi Going Underground su di loro.
No, purtroppo. Ma le produzioni loro e di quel periodo uscite dall’Emilia sono ancora potentissime. Ci sono cose che certi produttori di oggi manco se li sognano come suoni e intuizioni. E ahimè tante uscite di allora resteranno secondo me, ancora, negli archivi più nascosti della discografia italiana. Però è ovvio che se uno vuole vedere le cose da una lente un po’ più macroscopica, queste eran veramente delle realtà super underground e resteranno tali.

A proposito di incontro tra underground e mainstream, Dario, ti è capitato che qualcuno di nome inconfessabile del pop flirta con te, volesse te alla produzione?
No. Il problema è che, se sono io a dover dialogare con la contemporaneità, sicuramente non andiamo d’accordo. Nel senso c’è una difficoltà proprio di far convivere la mia idea di struttura di una traccia con la grammatica del pop contemporaneo. Quindi da quel punto di vista lì non riuscirei a dialogare con chi fa produzioni oggi. Ci sarebbe un grosso problema per esempio sul come immaginare lo spazio che intercorre tra testo, parole e musica, non funzionerebbe. Nella musica degli anni ‘70 e ‘80, c’era l’arrangiamento vocale e quello musicale. Oggi ci sono ci sta solo l’arrangiamento vocale! Troppa voce in giro.

Mi ha colpito questa tua introduzione di pattern giamaicani, di lovers rock.
È assolutamente una novità, come dicevo prima, qui entra in gioco la ricerca che faccio. Mi sono così battuto in qualcosa di reggae, però quello fatto dai bianchi, non so se ricordi i Supermax?

No…
Erano un gruppo austriaco e facevano reggae con venature dance. Ecco loro mi fanno impazzire.

Tu giri tanto come DJ all’estero, in quale città ti sei sentito a tuo agio per pubblico e situazione?
Non sono un artista di chissà quale posizionamento però comunque nella nicchia del nostro circuito ho girato un bel po’ e ti dirò che raramente c’è stata una situazione dove mi sono detto: “Questi non stanno apprezzando, non stanno capendo”. Ma una città in particolare che mi ha colpito è Lione dove c’è anche il festival Nuits Sonores. Lì ho suonato anche con Massimo e Lucio (i due protagonisti della band Nu Genea, ndr) e la cosa fantastica è che coinvolta tutta la città in questo festival. Stupendo.

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