Interviste

Niccolò Fabi: «L’hip hop non è molto diverso dal cantautorato»

Il nuovo progetto del cantautore, in uscita venerdì 16 maggio, è stato registrato in uno chalet in Trentino. Dieci giorni in cui, affiancato da colleghi e amici, ha preso vita un disco inatteso e profondamente ottimista

  • Il13 Maggio 2025
Niccolò Fabi: «L’hip hop non è molto diverso dal cantautorato»

Foto di Arash Radpour

Quando Niccolò Fabi ha scelto di passare dieci giorni nello Chalet del Lago dei Caprioli di Pellizzano aveva tra le mani solo qualche frammento di canzone: La libertà negli occhi non era neppure un’idea di disco. Le uniche certezze erano i suoi sei compagni di viaggio: i collaboratori di una vita Alberto Bianco, Roberto Angelini e Filippo Cornaglia e due volti della nuova generazione, Emma Nolde (con cui aveva già collaborato) e Cesare Augusto Giorgini. Sebbene le atmosfere esterne – la neve e il lago ghiacciato immortalato nelle foto del booklet dell’album – riportino la mente al primo disco dei Bon Iver For Emma, Forever Ago, fin dall’opening track Alba si comprende come sia tutto l’opposto.

La libertà negli occhi è un progetto che trasmette ottimismo e vibrazioni positive. I medesimi sentimenti che, come ci racconta Niccolò durante la nostra chiacchierata, hanno provato tutti fin dal primo giorno. Provare, suonare e scrivere insieme diventano un atto di libertà che influenza anche i pochi schizzi a cui si faceva riferimento sopra. La chitarra che parte e continua il suo giro alla fine de L’amore capita non era prevista, così come i cori sul finale di Casa di Gemma. Se volessimo a tutti i costi soddisfare il gioco perverso delle corrispondenze, l’esempio più calzante è lo stupendo Bright Future di Adrianne Lenker, uscito lo scorso anno e registrato in un contesto e con un intento molto simile.

L’esperienza in Trentino del cantautore è arrivata in un momento della sua carriera, a cinquantasei anni, nel quale «scrivere canzoni è un po’ cercare di far entrare il mare in un bicchiere», come scrive nella lettera contenuta nel booklet. La montagna, un viaggio artistico e personale inedito, gli hanno fornito la giusta incoscienza per provare a vedere se poteva nascere qualcosa di nuovo. Senza aspettative e con la libertà come linea guida principale. Perché è inutile sperare nelle vecchie formule, come ci spiega. Il cantautorato per come lo si è sempre inteso, sebbene l’exploit inatteso dell’ultimo Sanremo, «continuerà a cambiare con la società e i linguaggi».

Niccolò Fabi farà rivivere la residency di Libertà negli occhi vita il pomeriggio del prossimo 14 giugno a Vermiglio (TN), di fianco al luogo dove tutto è nato, con i sei protagonisti con cui ha suonato in quei dieci giorni speciali. In autunno seguirà una lunga serie di appuntamenti a teatro.

L’intervista a Niccolò Fabi

Con quale prospettiva hai iniziato a lavorare a questo album?
Sono partito senza l’idea di dover scrivere un disco. Negli ultimi cinque o sei anni ho raccolto solo qualche idea e qualche forma primitiva di canzone, ma non mi sembrava di avere nulla di così importante da poter valere un album. Allora ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa di diverso: sfruttare questi accenni per qualcos’altro. Volevo creare una situazione in cui le canzoni si arricchissero di panorami, delle emozioni del fare musica insieme e della compagnia di persone fidate. Ma anche in questo caso, solo quando siamo tornati da Pellizzano e dal lago dei Caprioli, ho capito che avevamo fatto un disco.

C’è stato proprio un momento preciso?
Sì, l’ultimo giorno. Avevamo finito le registrazioni e stavamo iniziando a smontare tutti gli strumenti. Tra l’altro nevicava pure e avevamo paura di non riuscire a tornare giù. Io mi sono messo in cuffia i quaranta minuti di rough mix e, sotto la neve, ho iniziato a girare sul lago ghiacciato per quaranta minuti. Non so quanti giri ho fatto. Lì ho capito che quello che avevamo realizzato era un album a tutti gli effetti.

Cosa c’è dietro la scelta di Pellizzano?
Registrare un disco in montagna era un’esperienza che non avevo mai vissuto. Ho collegato altre volte i miei dischi a luoghi decentrati e lontani da casa, ma il confronto con il paesaggio montano mi mancava. Avevo la sensazione che musicalmente mi avrebbe aiutato a suonare in una certa maniera. Ovviamente i riferimenti che avevo in testa sono quelli che più naturalmente si sposano con quell’ambientazione, dai Sigur Rós ai Bon Iver o Mogwai. Nello specifico, il lago dei Caprioli l’avevo visitato in vacanza qualche anno prima. Non è stato facile organizzarci: l’idea iniziale era di registrare nei masi. Il problema è che non hanno luoghi comuni ampi. Grazie a Piero Ferban, abbiamo trovato questo chalet – che in quel periodo era chiuso per ferie – con una sala grande che si affaccia sul lago dove ci siamo accampati per dieci giorni.

E invece gli artisti che erano con te, come li hai scelti? C’era chi lavora da sempre con te, ma anche qualche volto nuovo.
Quando organizzi un certo tipo di viaggio musicale devi sempre pensare a come potrà interagire quel gruppo di persone che stai creando. Deve esserci una coerenza per non creare disequilibri, ma allo stesso tempo ci deve anche essere una quota di differenza per generare stimoli. Quindi da una parte c’erano Roberto Angelini, Alberto Bianco e Filippo Cornaglia che conosco da tempo, dall’altra due musicisti con un linguaggio diverso e di generazioni diverse. Emma Nolde ha portato la sua sapienza produttiva, mentre Cesare Giorgini, un mio ex allievo dell’Officina Pasolini, ci ha dato un gusto sonoro inedito.  

Una delle canzoni in cui questa alternanza col nuovo si percepisce di più è Custodi del fuoco dove c’è un verso che ti giro come domanda: il nuovo è buono oppure non è detto?
Non è detto. Quella canzone ha una valenza particolare, non solo per il testo, ma proprio nella storia della sua composizione. Nella versione iniziale l’arrangiamento elettronico era molto più aggressivo, era letteralmente uno scimmiottamento di James Blake. Poi è stata Emma Nolde a consigliarci di fare un passo indietro ed eliminare qualcosa. Perché conta la coerenza di cui parlavo prima. Spingersi troppo oltre per ringiovanire è deleterio quanto il rifiuto a priori perché la musica dei vecchi tempi è sempre la migliore.

A tal proposito, il cantautorato italiano sembra stia tornando in primo piano, basti pensare al podio dell’ultimo Sanremo. Che ne pensi?
Io credo che ogni epoca abbia i suoi linguaggi. Quando penso al termine cantautore mi vengono in mente figure come quello che vede lì appese al muro (indica le foto appese nella sede di BMG, n.d.r.): Guccini, Capossela, Bersani e mi ci metto anch’io. Siamo tutti cresciuti in un momento storico in cui quel genere aveva uno spazio sociale ed espressivo molto più riconosciuto. È inevitabile che col tempo quel modo di raccontare sia giunto alla fine e passi attraverso altri stili. Non credo che l’hip hop e la trap siano molto diversi dal cantautorato, semplicemente lo fanno con stili e forme diversi. Per questo sono convinto che l’esempio dell’ultimo Sanremo non tracci la via per il futuro. Al Festival tutto viene esaltato, sia in negativo che in positivo. La vedo dura che possa uscire un altro Lucio Corsi.

Non è stato, secondo te, anche una risposta a un mercato ormai troppo omologato a quei suoni?
In parte sì. È probabile che quest’enorme diffusione del rap arrivi a saturazione, ma comunque non vuol dire che si tornerà indietro a De André: ci sarà un’evoluzione ulteriore.  

Il booklet del disco contiene una lunga lettera in cui parli anche del rapporto tra architettura ed emozione nella scrittura delle canzoni. Oggi quale prediligi?
Credo di aver trovato un equilibrio. Forse è uno dei regali dell’esperienza o della maturità, ma le due cose a un certo punto tendono inevitabilmente a mescolarsi e a essere parte della tua naturale modalità di esprimerti. All’inizio invece, mentre stai imparando delle nozioni, è come se le tenessi su due cassetti separati. Oggi non mi capita quasi mai di pensare all’architettura di un brano, al massimo a delle linee guida. Il resto viene fuori in modo spontaneo e si svolge all’interno di quello spazio libero. Quel salone in montagna è stato per certi versi uno spazio delimitato nel quale però siamo stati tutti liberi di creare.

C’è stato mai un momento in cui hai pensato di aver fatto una scelta sbagliata e che l’idea della montagna non stesse funzionando?
Il primo giorno è nata Alba. È poetico persino raccontarlo (ride n.d.r.). La canzone più importante. È come quando inizia la partita e fai gol nei primi minuti. Per cui no, non c’è stato mai nessun dubbio. Tutto è andato liscio fin da subito.

Il disco si apre con Alba, un brano in cui c’è solo un verso: «Io sto nella pausa che c’è tra capire e cambiare». Rappresenta il momento che stai vivendo?
Alba è la canzone, in qualche modo, più significativa per me. Non solo a livello di bellezza, quanto per le sensazioni che mi trasmette. È quella più legata all’esperienza che ho vissuto, più che al presente che sto vivendo come persona e artista. Quando la sento partire mi teletrasporta in quel salotto, davanti a quella vetrata, e sento quell’odore di legno tipico di alta montagna. Rivivo noi che suoniamo e improvvisiamo questo giro di chitarra per un paio d’ore, fino a che io tiro fuori questa frase che avevo messo da parte da tempo. Mi è sembrata subito perfetta. Si apre a mille interpretazioni.

È più difficile capire o cambiare?
Forse la seconda. Capita che arrivati a una certa età, dopo aver passato tanto tempo a cercare di comprendere i propri meccanismi e la propria identità, si raggiunga uno stato di consapevolezza. Anche delle cose che non ci soddisfano e dei traumi che non ci rendono liberi. Poi però, una volta capito tutto questo, cambiare è ancora più complesso. Quel momento che sta nel mezzo è il più incredibile perché è potenzialità assoluta. È come se avessi un tesoro tra le mani, ma non sai come utilizzarlo.

Le date del tour

  • 04 ottobre – ISERNIA – Auditorium 10 settembre 1943
  • 09 ottobre – RAVENNA – teatro alighieri
  • 11 ottobre – MILANO – Teatro Arcimboldi
  • 12 ottobre – MILANO – Teatro Arcimboldi
  • 13 ottobre – BOLOGNA – Europauditorium
  • 15 ottobre – TORINO – Teatro Colosseo
  • 19 ottobre – TRENTO – Auditorium Santa Chiara
  • 20 ottobre – PADOVA – Gran Teatro Geox
  • 25 ottobre – ASSISI (PG) – Teatro Lyrick
  • 26 ottobre – PESCARA – Teatro Massimo
  • 04 novembre – NAPOLI – Teatro Augusteo
  • 05 novembre – BARI – Teatro Team
  • 07 novembre – CATANIA – Teatro Metropolitan
  • 08 novembre – PALERMO – Teatro Golden
  • 11 novembre – UDINE – Teatro Nuovo Giovanni da Udine
  • 12 novembre – PARMA – Teatro Regio
  • 14 novembre – LUGANO (CH) – Palazzo dei Congressi
  • 16 novembre – LIVORNO – Teatro Goldoni
  • 17 novembre – FIRENZE – Teatro Verdi
  • 19 novembre – ROMA – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
  • 20 novembre – ROMA – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
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