Interviste

Il rap è ancora la linfa vitale di Night Skinny: l’intervista

Dall’importanza di due “outsider” con Papa V e Nerissima Serpe che stanno «carriando il disco» alla storia dietro “Mio padre”, passando per “Fuck Tomorrow 2” (che potrebbe «arrivare all’improvviso») e il suo rapporto con Shiva: il producer molisano ci ha raccontato “Containers”

Autore Greta Valicenti
  • Il18 Ottobre 2024
Il rap è ancora la linfa vitale di Night Skinny: l’intervista

Night Skinny, foto di Alessio Mariano

«Ti prego sì, pushala il più possibile perché l’ho inserita cinque giorni prima dell’uscita del disco, infatti non c’è nemmeno sul fisico. Sono andato con la chiavetta da Cirillo (il suo discografico, ndr) e gli ho detto “Dobbiamo assolutamente mettere questo pezzo”. L’ha ascoltato e mi ha detto “Siamo già in stampa ma è una hit, mettiamolo”». La prima cosa che dico a Night Skinny iniziando quest’intervista non è una domanda, ma una constatazione: da quando è uscito Containers io ci provo ad ascoltare altro, ma alla fine il richiamo di Tessera Sanitaria è sempre più forte.

Luca ride di gusto, e senza che io gli faccia alcuna domanda inizia a raccontarmi a fiume la sinergia potentissima che si è creata in generale con le nuove generazioni che smuovono fortemente la sua vena artistica e umana (come successe con Rkomi nel 2017), e in particolare con quei due ragazzi della provincia di Milano Sud, grandi protagonisti di questo album. «Con Papa V e Nerissima Serpe qualsiasi pezzo è incredibile. Tutte le robe nuove che stiamo facendo sono veramente uniche. Tra di noi c’è uno scambio di energie pazzesco».

E scambio, una parola che ricorrerà spesso in questa intervista, sembra essere la bussola del percorso di Night Skinny. Un percorso tortuoso, non sempre lineare, fatto di cose che cambiano, orizzonti da sperimentare, intuizioni, lungimiranza verso il nuovo e fedeltà in chi c’è sempre stato, errori e apprendimento da essi. Scambio di energie, di opinioni, ma soprattutto di fiducia, quella stessa necessaria perché gli artisti nel tuo disco abbiano la stessa cura e disposizione ad aprirsi che avrebbero nel loro. «Perché mi dovrei sbattere così? Faccio il ritornello, faccio la strofa, c’ho le mie cose da fare. Per fare un disco come il mio devi saper prendere al momento giusto, ma soprattutto devi saper dare».

E infatti, tra le tante cose che Night Skinny sa evidentemente offrire, c’è quella non scontata capacità di “liberare l’anima degli artisti”, come ha detto Madame: solo così in un disco di rap duro e in purezza come è Containers possono inserirsi anche momenti quali Amore Cieco, DM, Solo e Mio Padre. Devi fidarti per affidarti e consegnare il tuo lato più intimo.

Rap duro e in purezza, dicevamo, perché sì, dopo il “deragliamento” di Botox verso sonorità più pop («una dondata, un disco che non avevo fatto ascoltare a nessuno e per cui non avevo ascoltato nessuno, ma tornassi indietro farei le cose in modo più ponderato»), con questo album Skinny è tornato a fare quello che le persone volevano e che guarda caso è anche la cosa che gli riesce meglio: un disco da chi ama il rap per chi ama il rap. E se nei Containers di Night Skinny abbiamo trovato un carico di barre, le sorprese potrebbero non essere finite qui e arrivare da un momento all’altro…

L’intervista a Night Skinny per “Containers”

Ma poi verrà stampata anche una versione con Tessera Sanitaria spero…
Tutto può essere… Io devo attaccare anche altri pezzi, anche se non sono mai stato un grande fan delle repack. Per me è come andare al cinema a vedere un film e poi dopo sei mesi ti dicono “Guarda che ci sono altri 15 minuti che devi vedere”. Però per forza di cose dovrò aggiungere dei brani perché ce li ho già pronti ma non volevo sovraccaricare questo disco. In passato ho visto che più pezzi metti, più tra di loro si annientano, quindi ho detto “Fanculo, per ora lasciamo lo spazio a queste canzoni”. Poi ti ricordi che io e te avevamo già parlato di Players Club ’24?

Certo.
Ecco, Players Club ’24 esiste e uscirà tra poco. Solo che nel disco non potevo mettere un’altra posse oltre a quella che c’è già. Avrei rischiato di mandarle a puttane tutte e due.

Containers mi sembra comunque un disco che vuole in primis dare risalto ai newcomers.
Io ho solo messo dei ragazzi che sono benedetti per questa roba in un contenitore, in una posizione in cui poter dimostrare, ma loro erano già pronti per farlo. Papa e Neri ad esempio erano degli hustler già prima di entrare nel mio disco e di fare i pezzi con me. Sono contento che gli outsider del disco – e ti parlo di numeri sulle piattaforme o certificazione alle spalle, insomma tutte quelle cose che purtroppo adesso indicano il valore di un artista – sono quelli che comunque lo stanno carriando.

La cosa che succede spesso in Italia è che i big se ne stanno lì a braccia conserte ad aspettare di vedere cosa si muove. Io mi sono sempre lanciato verso i giovani. Quando ho prodotto il 64 Bars di Anna lei aveva appena pubblicato Bando e io l’ho fatto perché mi gasava già un botto. Lo stesso con Rkomi, Achille Lauro o Kid Yugi.

Quando abbiamo parlato di cosa ti piacesse di più di questa nuova scena mi avevi detto che il bello era che stessero cercando di salire tutti insieme, ciascuno con il proprio stile ben definito.
E infatti credo che gli ascoltatori oltre che dei singoli si siano innamorati proprio del movimento. Io ho sempre creduto al fatto che ce l’avrebbero fatta e chi non è ancora arrivato al grande pubblico lo farà presto. Prendi un Low Red: lui è nella sua fase sperimentale, mega americana, e spacca. Ha lo slang, ha il timbro, non gli manca niente. Arriva dalla Sardegna ma è come se venisse dall’Inghilterra, sta davvero in un mondo a parte. Poi il mercato della musica urban in Italia in questo momento sta splendendo, e gli artisti che devono brillare brilleranno.

Madame ha scritto che tu “liberi l’anima degli artisti”: è così?
Diciamo che riesco a liberare i pezzi. Quel brano con Madame era fermo lì dal 2019, mi ricordo esattamente quando lo abbiamo fatto. Doveva essere suo poi non lo è più stato, doveva essere mio e non lo era più stato. Poi ci siamo ribeccati, abbiamo fatto delle altre cose molto belle che spero usciranno presto, e io le ho detto “voglio inserire questo pezzo nel mio disco perché è perfetto”. Avrai visto su TikTok che c’è una versione col ritornello di Tedua, ma lei mi ha detto “non che non mi piaccia il suo ritornello, ma quel pezzo per me è troppo personale, devo assolutamente chiuderlo io. Quindi è venuta in studio dieci giorni fa e l’abbiamo chiuso.

E a Tedua come l’avete detto?
Gliel’ho detto la sera della release!

Nel formato fisico c’è anche una strofa diversa di Geolier in Solo Dio sa.
E sono entrambe due strofe incredibili secondo me. Lui ha voluto cambiarla e io gli ho detto di sì perché è giusto che gli artisti siano contenti. Quella strofa lui me l’ha fatta in faccia a Napoli, non me la dimenticherò mai questo cosa. Mi dicevo “Ma questo da dove cazzo arriva?”. Se ho visto Madame fare delle cose assurde, ho visto Geolier fare delle cose impossibili. Anche lui si è tenuto un pezzo bellissimo che spero un giorno esca.

Quindi mi stai dicendo che sei stato anche molto generoso…
Per fare un producer album come il mio devi prendere nel momento giusto ma devi anche dare. Perché una persona dovrebbe venire nel tuo disco e fare un brano come Mio padre? Un pezzo così me lo metto nel mio disco, ti pago la base e me lo spingo io. Non ti dico che non abbia sofferto quando mi hanno tolto dei pezzi, ma devi essere capace di capire le cose e inventare delle soluzioni.

A proposito di Mio padre, mi racconti com’è nata?
Il pezzo è nato durante la seconda ondata di Covid. Il padre di Emanuele era venuto a mancare e una sera mi ha detto “Guarda, ho scritto una cosa su mio padre, proviamo a farla?”. Ci siamo beccati in studio ma poi il pezzo è rimasto per due anni nel mio computer. Lui non l’aveva più voluta riascoltare, non voleva nemmeno finirla, Emanuele è uno che se non vuole fare una cosa non cambia idea. Io però ero convinto che questo pezzo fosse un capolavoro, e l’unico che ci poteva saltare su era Guè, ma non sapevo bene cosa dirgli perché comunque era un pezzo mega personale.

E come lo hai coinvolto?
Mi sono confrontato con Anna, la mia fidanzata, e gli dico “mi rendo conto che sia una tematica molto intima, però io ho questo pezzo, ti va di ascoltarlo?”. Cosimo molto onestamente mi disse “guarda, io ho avuto un rapporto un po’ conflittuale con mio padre, Noyz invece lo elogia. Se trovo una chiave mia per approcciare questo pezzo lo faccio”. Il giorno dopo l’aveva già trovata. C’è una cosa però che devi assolutamente scrivere.

Dimmi.
Che il pezzo finito Noyz l’ha sentito solo tre mesi fa. Non ci credeva che avessi fatto questa cosa, ma lui lo sa che quando si tratta di portare a termine qualcosa io ci provo in tutti i modi. Quel pezzo è un capolavoro, uno di quelli che secondo me rimarrà come è stato ad esempio Stay Away. Io sono molto grato sia a Emanuele per essersi fidato che a Cosimo per aver portato il suo.

E invece Solo Dio sa?
Questo è uno dei miei pezzi preferiti del disco. Tutto nasce da una volta in cui ho beccato Tony Boy, facciamo questa strofa e mi dice “ma qua ci vuole un ritornello, chiama Anice” e in un pomeriggio abbiamo fatto tutto. È un brano che ho proposto anche un altro artista che non è presente nel disco, ma poi ho trovato rifugio nei miei amici e ti dico anche una cosa: quando Andrea è uscito di galera sono andato a trovarlo e ha voluto sentire tutto il mio disco.

Che rapporto hai con lui?
Lo conosco da quando era praticamente un bimbo. Dopo quello che gli è successo tutti lo davano per morto e invece si è rialzato con le sue gambe. Ha tutto il mio rispetto per il percorso che ha fatto e per quello che sta costruendo.

Nei tuoi dischi ci sono due costanti: le posse track e una traccia solista di Luchè.
Io gli sarò sempre debitore perché lui è uno di quelli che ha capito subito la visione del mio progetto. Prima di Mattoni, con i miei risparmi che venivano da un contratto che faceva ridere e che mi tengo sempre sul desktop del mio computer per ricordarmi da dove vengo, ho portato Luchè e Noyz a New York, ho preso uno studio a Brooklyn e Luca in due giorni ha fatto Attraverso me. I pezzi stand alone poi sono quelli che danno anche prestigio a un disco.

Tornando un po’ indietro a Botox: è un disco che secondo te le persone non hanno capito?
Secondo me è un album che verrà capito poi. L’85% dei miei fan sono affezionati a rap e mi conoscono come quello che ha lavorato con Noyz, con Yugi e in generale con artisti prettamente rap. Però quel disco mi ha aperto nuovi orizzonti, che è stato apprezzato da persone diametralmente opposte. In quel disco ci sono pezzi tipo Giorni contati, Scale, Mezzanotte in punto. C’è Elisa in Così non va che fa veramente una dondata alla Kanye West.

A posteriori pensi che avresti potuto fare qualcosa di diverso?
Forse avrei potuto fare delle scelte più ponderate, l’ho sicuramente sovraccaricato, ma è un disco figlio di quel momento della mia vita e anche di un certo periodo musicale. Botox era un album che non avevo fatto ascoltare a nessuno. Containers invece l’ho messo sul piatto da mesi, l’ho fatto ascoltare a chiunque mi conoscesse.

Senti, con quella Fuck Tomorrow 2 hai creato il panico…
Con Mirko c’è stato un riavvicinamento. Voglio essere chiaro: non era successo nulla tra di noi, semplicemente ognuno stava facendo il suo percorso. L’ho cercato io e gli ho detto “Vorrei fare un pezzo rap dei nostri”, e lui mi ha risposto “guarda, li sto facendo anch’io per me”. Il nostro ritorno però doveva essere di livello, per cui finché non c’è stata la consapevolezza da entrambe le parti che il pezzo fosse forte non veniva. Poi dopo un po’ di lavoro e un po’ di frequentazione in studio è venuta questa cannonata e lo attaccheremo all’improvviso, quindi le persone devono stare attente.

Perciò potrebbe uscire da un momento all’altro.
Ti svelo quest’altra cosa: quando metti un pezzo non cliccabile, non puoi sbloccarlo e dire “stanotte all’1 esce”, ma hai 24/48 ore di tempo in cui può uscire all’improvviso. E sarà uno dei pezzi più belli mai usciti.

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