Interviste

Omar Apollo: «Sentirsi soli fa crescere». L’intervista in attesa del nuovo album e del tour in Italia

Abbiamo incontrato questo purissimo talento di origine messicana che ha trovato a Londra – tra giornate passate in studio e camminate in solitaria a Little Venice – la nuova linfa creativa per dar vita al suo prossimo album in uscita imminente. E non manca molto anche al suo breve tour in Italia.

Autore Tommaso Toma
  • Il30 Aprile 2024
Omar Apollo: «Sentirsi soli fa crescere». L’intervista in attesa del nuovo album e del tour in Italia

Omar Apolonio Velasco – questo il suo nome all’anagrafe – figlio di immigrati messicani che da Guadalajara sono andati a vivere nell’Indiana a Hobart, sta per tornare con un nuovissimo album. Manca poco, lui dice questione di poche settimane. Noi siamo anche curiosi di vederlo per la prima volta in Italia, il 4 giugno a Torino alle OGR e al Magnolia di Milano il giorno dopo. Anche perché dobbiamo assolutamente verificare dal vivo questa ugola d’oro che è capace di ammaliare con antiche melodie R&B (avete in mente Evergreen?), o di sedurci con i suoi falsetti di soul e pop contemporaneo (rispettivamente Killing Me e Go Away). Il primo album di Omar Apollo, Ivory, era uscito nel 2022 e aveva permesso al giovane cantante anche di ottenere una nomination ai Grammy e di essere chiamato da SZA per aprire i suoi concerti.

A sparigliare le carte adesso ci sta pensando un singolo nuovo, Spite, uscito sempre per Warner e che ha un’attitudine leggermente più rock. Parlando con lui, colto via Zoom al volante della sua auto – non so perché, ma ultimamente le migliori interviste mi capitano con gli artisti fermi a un parcheggio – abbiamo capito che davvero a Omar Apollo piace isolarsi per creare. Questa volta ha scelto di trasferirsi nella “vecchia” Europa, a Londra, in una zona che assomiglia più ad Amsterdam che alla capitale inglese.  Ma leggendo, scoprirete anche una grandissima passione per un immenso compositore nipponico…

L’intervista a Omar Apollo

Spite è una canzone abbastanza differente dal resto della produzione a cui Omar Apollo ci ha abituati. Rappresenta un po’ una nuova direzione, oppure no?
Sì, sì, penso che rappresenti di sicuro una nuova direzione, ma ho ancora… un po’ di cose da far vedere con il prossimo album. Sai, in ogni canzone cerco di distillare l’essenza di quello che è dentro di me in quel preciso istante, sono come tappe di una sorta di viaggio interiore e mi piace anche pensare ad una evoluzione del mio percorso.

Che puoi dirci del tuo album che uscirà tra pochissimo?
Come nel singolo, alla produzione ci sono Teo Halm e Blake Slatkin. Per concepirlo mi ero trasferito a Londra per circa tre mesi e ho lavorato da lì con Teo ogni singolo giorno in studio. Circa 12 ore tra suonare, cantare, bere e fumare sigarette. Sai, quel tipo di atmosfera. E ci è piaciuto. L’intento era di fare grande musica. Per noi due è stata come una scoperta questo periodo in studio, stavamo capendo dove volevamo andare e come volevamo farlo.

In quei giorni ho preso molto sul serio il lato della scrittura anche dei testi, e così ho cercato di frequentare diverse librerie cercando volumi di poeti che mi potessero dare l’ispirazione giusta. Sono partito da delle semplici demo e a forza di ascoltarli in qualsiasi situazione – anche in macchina– sono poi sorte le canzoni. Alla fine ho finito per creare così tante canzoni a Londra! Poi sono andato a Miami e New York a lavorare e ho finito l’album a Los Angeles.

A Londra hai aperto un negozio nel quartiere di Little Venice.
Sì, con quei canali sembrava un pò Amsterdam più che Venezia (ride, ndr). Potevo andare a piedi agli studi di Abbey Road, ci abbiamo anche passato del tempo a lavorare. Quindi è stato bello.

Cosa ti piaceva fare a Londra, oltre passare un sacco di tempo in studio?
Devo confessarti che ho passato molto tempo da solo, il che è davvero inusuale per me, di solito non mi piace passare il tempo da solo. Adesso provo una certa soddisfazione, ma l’estate scorsa era un’assoluta novità per me e penso che il disagio di esserlo sia ciò che mi ha davvero aiutato a guardarmi dentro, a essere in grado di scrivere le parole che ho scritto e a creare la musica che ascolterete. Fare un disco non è una cosa semplicissima e queste costrizioni mi hanno spinto verso la creatività.

Però l’isolamento per creare non è una novità per te, era già accaduto con il tuo bel disco di debutto, Ivory. In una sorta di baita nel mezzo di un bosco nell’Indiana. Ho subito pensato a Bon Iver quando lessi questa cosa…
Pensa che con Justin Vernon ne abbiamo discusso di questa cosa. Lui arriva da un luogo non lontanissimo dal mio. Abbiamo convenuto che ci sia qualcosa come… come di infantile, in questa scelta. Non c’è nessun ego da imporre e non c’è nessuno che ti possa dire cosa sia bene, cosa sia male, nessuno. Non c’è alcuna influenza esterna che ti farà “intellettualizzare” il tuo lavoro. Più riesci a trovare questa dimensione fisica e mentale più si crea una condizione di libertà per le tue idee. Penso che fosse necessario, cercare tutto questo, soprattutto nella musica in questo momento. Ecco perché cerco di non mostrare troppo l’orecchio a chi mi dice qualcosa, eccetto le persone vicine a me, quando creo musica. E farlo in un contesto europeo, in una città che non conoscevo, è stato come farlo in una capanna nel midwest, è stato facile isolarsi.

Le influenze

Mi è capitato di vedere una video intervista dove a un certo punto nomini lo stile compositivo di Ryūichi Sakamoto e mentre il giornalista USA sembrava indifferente – forse manco sapeva chi fosse – ho notato una certa luce nei tuoi occhi. Vorrei capire se ci ho azzeccato…
Sai quando vedi sulle piattaforme che usi qual è stato il tuo brano e l’artista più ascoltato? Ecco, Ryūichi Sakamoto è sempre il mio numero uno. Lui mi ha influenzato più di chiunque altro artista. Quindi ogni volta che faccio musica, ogni volta che “penso” alla musica, mi riaffiora il suo nome. Ed è stato molto triste quando è morto perché uno dei miei sogni era quello di incontrarlo e forse ero anche sul punto di far accadere questa cosa.

Ricordo che ero in Messico quando ho sentito la notizia, devo confidarti che non ho mai sofferto così tanto per la morte di qualcuno che non conoscevo di persona. Rimasi in silenzio per circa tre ore. Grazie a lui ho imparato ad amare il pianoforte. Cerco di riprodurre il suo stile. Lui ha composto talmente tanta bella musica e penso che la maniera più grande e onesta per onorarlo sia semplicemente essere influenzato dalle sue opere, in modo che la sua opera vivrà per sempre. Ti ringrazio che lo abbia nominato, hai fatto centro.

Posso provare a trovare un filo rosso che vi accomuni? È interessante pensare al fatto che Sakamoto fosse un giapponese che aveva completamente assorbito alcune finezze compositive del pop e della classica occidentale, mentre tu che sei di sangue messicano ti ritrovi con questo dono nella voce, capace di rinnovare una certa tradizione R&B, come è accaduto per la meravigliosa tua hit Evergreen.
Sono un messicano cresciuto in America. Nel Midwest, peraltro in Indiana, eravamo in mezzo al nulla e per svagarci io e i miei amici passavamo ore a guardare tutto quello che passava MTV e BET (Black Entertainment Television, ndr), dove c’era un sacco di musica R&B e soul. Ricordo che mia sorella era una grande fan di Brandy. Potrei cantare tutti i suoi album dal lato a al lato b (ride, ndr). In generale tutte le artiste donne r&b di quel periodo, dalle Destiny’s Child a Mariah Carey mi hanno davvero molto influenzato.

E poi c’erano i miei genitori e quelli dei miei amici che mi fecero apprezzare dischi storici di Aretha Franklin, Sly & Family Stone e di tutti quegli artisti degli anni ‘70. Ma ti racconto un aneddoto legato alla mia “ossessione” per le cantanti. Io sono dichiaratamente gay, ma quando ero ragazzino adoravo prendere appuntamenti con le ragazze che sapevano cantare perché adoravo sentirle imitare che so, Aretha Franklin o Whitney Houston. Tutto questo succedeva ancor prima di fare musica, di diventare io stesso Omar Apollo, il cantante.

Bellissimo, una sorta di educazione sentimentale per il canto.
Sì, specialmente a quel genere di sound. Non sai quanto abbia alimentato la mia passione.

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