La musica a tre dimensioni: Massimiliano Pani racconta la nuova PDU Music
Una conversazione sulla storica e gloriosa etichetta che fu fondata dal padre di Mina, Giacomo Mazzini. Oggi riparte più forte di prima, con la produzione di musica su supporto fisico (dischi in vinile e nastri magnetici di alta qualità) e NFT
Massimiliano Pani è il deus ex machina di questo affascinante progetto di rilancio del marchio PDU (acronimo di Produzione Dischi Ultrafonici), nato 55 anni fa per permettere agli artisti, Mina per prima, di seguire il loro percorso creativo facendo musica di qualità.
Proprio la qualità e un senso di ricercatezza sono il segno distintivo di PDU Music, che dallo scorso ottobre si è messa a produrre (e distribuire esclusivamente su pdumusic.com), utilizzando apparecchiature tecnologiche vintage e analogiche che ha da sempre conservato e mantenuto in perfetto stato nei suoi studi di registrazione. Alcuni elementi arrivano persino dal mitico studio milanese La Basilica, dove Mina registrò negli anni ’70 alcuni capolavori della sua discografia.
Massimiliano ha anche una “onesta ambizione”: far diventare PDU Music un “negozio”, un po’ esclusivo, di riferimento per gli appassionati collezionisti di musica di qualità. Scopriamo meglio il progetto con lui.
Il futuro di PDU Music secondo Massimiliano Pani
Permettimi di osservare che dietro a questa onesta ambizione c’è un’idea filosofica di fondo: rimettere al centro dell’attenzione l’uomo rispetto alle tecnologie, una sorta di ripresa dell’antico principio umanistico dell’Uomo Vitruviano. Forse mi spingo troppo in là?
No, comprendo ciò che sottendi. Ma partiamo da una più semplice osservazione. La musica è un’occasione, è un qualcosa in più nella nostra vita quotidiana che apre nuove dimensioni dell’anima. È una scelta libera che ci fa stare bene. La musica ha un effetto importante sulle nostre vite e la tecnologia ci ha aiutato nella sua fruizione.
Attenzione, però. Ricordiamoci che una dimensione importante per goderci la musica è anche dedicarle le condizioni giuste per l’ascolto. Soprattutto quando vogliamo prenderci del tempo per ascoltare. Ed ecco che la musica liquida, in MP3, ascoltata in movimento o tramite i nostri smartphone, lascia il campo libero a un’altra modalità, che non è in antagonismo ma si pone in alternativa. Come quella che proponiamo per esempio con PDU Music, dai prodotti in analogico – i vinili in alta qualità o in nastri da ½ pollice – e in digitale con versioni in altissima risoluzione come le chiavette USB.
Non è detto che siano solo le persone di una certa età, che hanno vissuto l’esperienza della musica in vinile, a cercare un ascolto più di qualità della musica.
Hai spesso presentato il tuo progetto usando una metafora culinaria: la tua “creatura” PDU Music è una risposta al fast food, ovvero una “trattoria” basata sulla qualità nelle materie prime. Seguendo questo paragone, sono proprio una parte delle nuove generazioni e gli artisti stessi ad essere sensibili a un ritorno alla qualità.
Esattamente. Ma sai, sono anche contento che al progetto abbia risposto con entusiasmo anche Ivano Fossati, che ci ha concesso di accedere al suo catalogo per vedere ristampati alcuni suoi album. Ne abbiamo parlato con BMG, adesso abbiamo cominciato a sondare Warner Music per altri artisti dal loro catalogo. Poi rivolgendoci anche addirittura agli amanti del Revox come ti ho detto prima facciamo un numero molto limitato di stampe su nastro. Anche con il versante del digitale abbiamo intrapreso una strada particolare con la produzione di alcuni NFT. Sarà il futuro del collezionismo.
È affascinante vedere Mina coinvolta nel metaverso.
Sai, lei è stata la prima a fare esprimenti in Italia, con la televisione, con le copertine dei suoi album, addirittura indossando una bella barba. Quindi è anche la prima che si vuole divertire con la creazione di NFT.
Facendo un discorso più generale sul lavoro dei discografici oggi, come vedi il panorama odierno?
Se guardi la cosa dalla parte dei fruitori è passata la concezione che la musica deve essere gratis, mentre il successo di un artista è spesso misurato dal suo risultato in un talent. Ma per avere un buon cantante, un bel gruppo, si devono investire tempo, idee e denaro. Guarda la storia di grandi nomi come Zucchero, Cocciante, Vasco o Dalla. Hanno dovuto aspettare due, tre album prima di essere nomi di successo. Se il risultato dell’attesa oggi è ripagato da un incasso piccolissimo – la musica quasi gratis – e dal risultato in un talent, diventa dunque difficile se non rischioso investire sul futuro coraggiosamente.
Poi non apriamo il capitolo di player come YouTube o Spotify che vendono pubblicità “alle spalle” dell’artista che stai ascoltando, senza che questo artista ci guadagni nulla. Non è però la tecnologia il male ma il suo sbagliato utilizzo a renderla dannosa per chi produce un prodotto di intrattenimento.
Invece tornando indietro nel tempo, che ricordi hai del mitico studio La Basilica a Milano?
Per me era un luogo meraviglioso. Era uno studio della EMI / La Voce del Padrone. Gli studi della EMI avevano tutti le stesse regie, con quel 4 piste Telefunken, con quelle leve che sembravano quelle di un cockpit di un aereo! È una cosa che mi rimase impressa da bambino. Poi venne preso un Trident 16 piste con un Ampex che adesso ho qui in studio da me.
In generale ogni volta che andavo negli studi La Basilica era come essere a Disneyland. Di solito potevo andarci nel weekend. Mi mettevo in un angolino e tutto era magico, perché spesso era presente un’orchestra. In quel contesto conobbi Nuccio Rinaldis, l’ingegnere del suono di tutti i dischi di mia mamma all’epoca. Cominciai a lavorare dentro gli studi quando compii 16 anni. Prima andavo da semplice spettatore, mi affascinava il lavoro di Celso Valli e di tanti altri… ho dei bellissimi ricordi.
Alla fine anche questo tuo nuovo progetto nasce da lì, da quel luogo magico dove convergevano produttori e arrangiatori meravigliosi…
Esattamente: 55 anni fa Mina, per difendere i suoi dischi e la sua identità professionale, aveva capito che doveva avere la sua etichetta e il suo studio di registrazione. Mio nonno fece in modo che si realizzasse.
Oggi io, con PDU Music, continuo a seguire quel principio. Ci siamo portati appresso tutte le strumentazioni di quel luogo, come ti dicevo prima, proprio come gesto di amore e continuità con il passato. Ma anche perché sono ancora funzionanti e perfette per creare i nostri prodotti in analogico.
Il catalogo strettamente di vostra proprietà dei dischi di Mina va dal 2001 con l’album Veleno. Ma mettendo mano su una discografia immensa – più di 100 album – di tua mamma, cosa ti piacerebbe che venisse ristampato e riscoperto?
Bella domanda. Lo stesso Mina in Studio che abbiamo appena pubblicato non era mai uscito in vinile. Intanto, uno alla volta ripubblicheremo il catalogo che va dal 2001.
Poi c’è un lavoro di collezionare insieme le produzioni di Mina negli anni che hanno un taglio artistico ben preciso, come sono per esempio i Songbook, ovvero le sue interpretazioni di canzoni di grandi artisti come Lucio Battisti o i Beatles. Un Songbook dedicato alle canzoni del quartetto di Liverpool l’abbiamo fatto uscire nello scorso novembre. Mentre quello che facciamo per esempio in sinergia con Warner, che ha il catalogo degli album di Mina, è offrire qualche chicca da aggiungere.
Sottolineo anche la nostra collana, sotto PDU Music, che si chiama Dilettevoli Eccedenze: sono cose rimaste nel cassetto per anni, come degli inediti, outtakes, B-side o altro, e pubblicheremo periodicamente delle uscite che saranno gioia per i super fan di Mina.
Ci tengo a dire una cosa. Il mio lavoro è anche in funzione di mettere un poco di “ordine” al repertorio di Mina, che ha spaziato in tanti generi – venendo sempre rispettata da chi faceva la bossa o la canzone napoletana per esempio – e poi si è cimentata con gli standard, si è dedicata ai grandi autori… Immagino anche che le nuove generazioni possano essere aiutate a conoscere Mina attraverso questo minuzioso lavoro di catalogazione e ripescaggi.
Qual è il primo disco di Mina degli anni ’70 che vorresti vedere ristampato?
In realtà ho già dato forma a questo mio desiderio (si alza e mi mostra un 45 giri, ndr). Quando la PDU ha compiuto 50 anni di vita, abbiamo ripubblicato il primo 45 giri, La Canzone di Marinella interpretata da Mina. Nel lato B ho fatto mettere una versione che lei canta proprio con De André, che ho poi riarrangiato io. Io amo molto Plurale (il 30° album in studio della cantante, pubblicato nell’ottobre 1976, ndr). Fu registrato su un 16 piste con le voci sovrapposte registrate solo da Mina, con il mirabile lavoro alla produzione di Gianni Ferrio.
Una curiosità: nel vostro catalogo ho trovato delle produzioni di Peter Tosh!
Vero! Mi fai venire in mente un lontano ricordo: da ragazzino la PDU prese in licenza un bel catalogo di musica reggae. C’era dentro anche Peter Tosh. Il problema è che lo fece cinque anni prima dell’esplosione del fenomeno reggae in Europa, quindi troppo presto… Mentre le produzioni tedesche di cosmic music andarono benissimo, come i Tangerine Dream.
E per finire avete aperto una porta anche verso il futuro.
Sì, una finestra sui giovani autori italiani. Avevamo anche scoperto un interessantissimo artista che sarebbe stato perfetto per Sanremo ma il pezzo che ci ha fatto innamorare di lui è arrivato da noi troppo tardi per poterlo portare al Festival. Di più su questo ragazzo adesso non posso svelare, ma sarà una delle novità di PDU Music.