Recitare per conoscere se stessi: l’intervista a Peterpan Tadsapon Wiwitawan
L’attore thailandese di “Reset” ci ha raccontato cosa vuol dire per lui essere davanti alla cinepresa e cosa ha imparato dai suoi personaggi
C’è una calma naturale nel modo in cui l’attore thailandese Peterpan Tadsapon Wiwitawan, classe 1998, parla del suo lavoro durante la nostra intervista. Nessuna posa, nessuna distanza, solo l’onestà di chi sa quanto sia difficile restare sinceri in un mondo che vive di riflettori. Recita da quando era bambino, ma la familiarità con il set non gli ha mai tolto la curiosità. Negli anni ha attraversato ruoli e generi diversi, da Royal Doctor a My Cherie Amour, fino alla serie originale della piattaforma di streaming iQIYI Reset, dove ha mostrato un lato più maturo e introspettivo.
È uno di quegli attori che non si nascondono dietro al personaggio, ma lo usano per capire qualcosa in più di sé. Dietro quell’apparenza tranquilla e il modo preciso con cui prepara ogni scena, c’è un attore che non smette di farsi domande su ciò che fa e su chi diventa ogni volta che la macchina da presa si accende. Oggi ci porta dentro il suo percorso, le prime volte, le paure e quella combinazione di leggerezza e disciplina che lo tiene sempre in equilibrio.

L’intervista a Peterpan Tadsapon Wiwitawan
Quando hai capito che essere attore poteva diventare un vero lavoro e non solo un progetto parallelo?
A dire la verità, non c’è stato un momento preciso, perché sono sempre stato in questo mondo. Ho iniziato a fare pubblicità quando avevo tre o quattro anni, quindi è sempre stato parte della mia vita. Credo però che la consapevolezza di poterlo trasformare in una carriera sia arrivata solo 4 o 5 anni fa. È stato allora che ho iniziato a prenderlo sul serio, imparando a rispettare questo mestiere e l’arte in sé. Recitare non è il lavoro più semplice del mondo, e rendermi conto della fortuna che ho mi ha spinto a voler crescere con esso. Quando ero piccolo, lo vivevo come un gioco, quasi come saltare la scuola. Oggi invece vedo quanto mi abbia aperto nuove porte e, soprattutto, quanto mi abbia aiutato a conoscere meglio me stesso.
Ricordi la prima volta che ti sei visto sullo schermo e che sensazione hai provato?
Credo di essermi visto da bambino, ma non ricordo quei momenti. Qualche anno fa, quando sono tornato a recitare, mi sono rivisto e l’ho trovato imbarazzante. Mi sono sentito a disagio, un po’ timido. Ma costringermi a guardarmi mi ha aiutato a migliorare, a capire cosa potevo fare meglio. Se sento di aver dato il massimo in una scena, preferisco non rivederla subito; aspetto che venga trasmessa. In questo modo mi fido del mio istinto. Se la riguardassi troppo presto, finirei solo per criticarmi. Quando poi la vedo in tv, anche se non è esattamente come l’avevo immaginata, cerco comunque di imparare qualcosa.
Ti senti più a tuo agio quando interpreti un personaggio simile a te o quando scompari completamente in qualcuno di diverso?
Entrambe le situazioni hanno le loro difficoltà. Quando il personaggio mi somiglia, può toccare corde troppo personali, quindi devo ricordarmi che non sono io. Ma in ogni caso, in ogni ruolo c’è sempre una parte di me, semplicemente la espando e la esploro di più. Quando invece interpreto qualcuno di molto diverso, come Mr. TD in Reset, la sfida è un’altra. È un personaggio lontanissimo da me, non sono un CEO e non sono ricco, ma ho imparato molto da lui. Ho fatto molte ricerche, guardato serie straniere, perfino film come Cinquanta sfumature di grigio, per studiarne la complessità. Magari non tutto si vede sullo schermo (il personaggio del romanzo da cui è tratta la serie Reset ha tratti molto simili a quelli di Christian Grey, n.d.r.), ma tengo tutto nel mio bagaglio per il futuro.
C’è qualcosa del tuo lavoro che hai imparato solo a tue spese?
Sì, durante un casting che desideravo davvero. Era andato benissimo, ero quasi stato scelto… ma poi non ho ottenuto la parte. È lì che ho capito che in questo mestiere ci sono tante cose che non puoi controllare: le influenze, il tempismo, le decisioni prese dietro le quinte. Quello che puoi controllare invece è la tua preparazione, la concentrazione e la gioia di fare bene anche le piccole cose. Anche se non ottengo un ruolo, ogni volta imparo qualcosa di nuovo sul personaggio, e questo ha già un grande valore.
C’è un tipo di ruolo o un genere che non ti hanno ancora proposto ma che ti piacerebbe interpretare?
Sicuramente un personaggio con identità multiple o qualcuno completamente assorbito dalla propria arte o dal proprio lavoro. Come James McAvoy in Split, con tutte quelle personalità diverse, lo trovo affascinante. Oppure film come Birdman, Il cigno nero o Whiplash, che parlano di ossessione e spinta artistica più che di azione. Credo che un ruolo del genere mi spingerebbe al limite e mi piacerebbe affrontarlo.
Reset parla di seconde possibilità. Tu, nella tua vita, cosa vorresti resettare?
Forse vorrei aver iniziato a recitare prima. Da bambino mi divertivo sul set, ma solo quando ho cominciato a studiare recitazione ho scoperto un mondo nuovo. Avrei voluto esplorarlo prima. Studiavo architettura mentre recitavo, ed era difficile gestire entrambe le cose. Guardando indietro penso che, se mi fossi concentrato prima sulla recitazione, il mio percorso sarebbe stato diverso, ma sono comunque grato per come sono andate le cose.
Quali sono tre cose che ti descrivono perfettamente ma che non comparirebbero mai in una biografia online?
Prima di tutto ho paura delle altezze. È un trauma che ho dall’infanzia perché durante uno spot mi lanciarono a diversi metri d’altezza senza avvisarmi. Ora va meglio, ma devo comunque prepararmi mentalmente ogni volta. Poi credo di avere una combinazione di ADHD e perfezionismo. Quando qualcosa mi appassiona mi concentro totalmente e voglio farlo al meglio, ma se non mi interessa, non riesco proprio a farlo. Sto cercando un equilibrio. Infine, sono molto artistico. Amo il dietro le quinte, la fotografia, il cinema, la pittura e leggere di filosofia e psicologia. Se vuoi farmi felice, portami un buon libro su uno di questi temi.
Hai studiato all’estero prima di entrare nel mondo dello spettacolo. In che modo quell’esperienza ha cambiato il tuo modo di guardare l’industria del tuo Paese?
Quando ero in Nuova Zelanda, le serie thailandesi stavano esplodendo, come Hormones: The Series, ma io non ne sapevo nulla. Mi interessavano la fotografia, YouTube, la pittura; ero un tipo un po’ artistico ed emo. Quando sono tornato, ho lavorato alla stazione di servizio dei miei genitori, e le persone mi riconoscevano per i ruoli che avevo interpretato da bambino. Così sono diventato virale di nuovo e Channel 3 Thailand mi ha messo sotto contratto. Ma conciliare università e recitazione era troppo complicato, quindi ho lasciato gli studi per dedicarmi completamente alla recitazione. È stato allora che ho iniziato a studiare seriamente e ad amare l’idea di esplorare la natura umana attraverso questo lavoro.
C’è qualcosa della fama che ancora oggi ti sembra strano?
Tutto. La fama è ancora qualcosa di strano, ma ho imparato a conviverci. Ha i suoi lati belli e quelli meno, e cerco di trovare piccole gioie anche nella disciplina che richiede. La fama ti dà opportunità, ma toglie anche una parte della tua privacy. Cerco di rimanere con i piedi per terra, di non dare mai nulla per scontato e di ricordarmi di crescere senza perdere la curiosità e la gioia che avevo da bambino.
Com’è una tua giornata libera?
Pigra. Quando lavoro do tutto, ma nei miei giorni liberi non faccio nulla. Mi sveglio tardi, faccio brunch, guardo YouTube per ore, magari vado in palestra o faccio una passeggiata, poi guardo film per restare ispirato. Non esco e non vado alle feste. Sono più un tipo da “biscotti Oreo e YouTube”.
Quali sono la tua canzone e il tuo film preferiti?
Sono un grande fan di Hozier, le mie preferite sono Cherry Wine e From Eden. Tra i film metterei Swiss Army Man e Tick, Tick… Boom!. Andrew Garfield è un attore che adoro, trasmette sempre qualcosa di autentico.
Quando le persone ti incontrano per la prima volta, qual è l’errore più comune che fanno su di te?
Pensano che io sia un tipo da feste o un playboy, ma non è affatto vero. Non sono mai stato in un club in Thailandia. Ma visto che ormai la voce gira, forse dovrei provarci. Scherzo.
Ti vedi ancora in questo mondo tra dieci anni o a volte immagini una strada diversa?
Finché il mondo dello spettacolo mi vorrà e finché continuerò a divertirmi, resterò. Mi piacerebbe lavorare anche a livello internazionale e collaborare con persone di altri Paesi. Ma nel frattempo voglio esplorare anche altri aspetti del settore, come il business o la produzione. Quindi sì, almeno altri dieci anni, e voglio che ognuno di questi conti davvero.
Articolo di Ambra Schillirò
