Interviste

“Perle ai porci” di Pufuleti è un bellissimo trip neorealista. L’intervista

Il nuovo album dell’artista nato sotto il sole della Sicilia e cresciuto sotto il cielo della Germania è già un instant classic scuro come le strade di Buffalo e romantico come il golfo di Napoli. Ce lo ha raccontato senza dire nemmeno una bugia

Autore Greta Valicenti
  • Il19 Novembre 2023
“Perle ai porci” di Pufuleti è un bellissimo trip neorealista. L’intervista

Pufuleti

Che a Pufuleti delle classifiche matematiche e del mercato puntuale e ingordo che ogni settimana ci rimpinza in modo pressoché bulimico di prodotti più o meno junkie non freghi assolutamente nulla è chiaro già dal fatto che il suo album fino ad ora più importante, Perle ai porci, non sia uscito come di consueto il venerdì. Ma nel mezzo della settimana, in un abitudinario e passeggero mercoledì. E infatti non lo troverete in nessun New Music Friday, men che meno in qualche chart o playlist di rap italiano. 

A) Perché Giuseppe Licata (questo il vero nome di Pufuleti) col rap italiano non c’entra niente (e gli va benissimo cosi). 

B) Perché, come mi dice lui in una delle pochissime interviste che ha concesso in questi anni (e, badate bene, non per spocchia o divismo. Due cose che proprio non gli appartengono, dal momento che proprio nel momento in cui in Germania il successo lo stava raggiungendo quando rappava ancora con il nome di Joe Space, Pufu ha deciso di schivarlo cambiando traiettoria, e che la nostra chiacchierata si svolge poco prima dell’inizio del suo turno in ospedale, dove lavora come infermiere. 

Ma perché quello che c’è da sapere su di lui (oppure no, perché alla fine chi l’ha detto che degli artisti dobbiamo conoscere sempre tutto?) è già tutto nei suoi testi allucinati – o allucinogeni -, sgangherati e poliglotti. Totalmente alieni nella loro destrutturazione e allo stesso tempo quasi tattili. Con riferimenti all’immaginario pop(olare) più basso (quando si dice che vent’anni di televisione privata ci hanno fottuto il cervello) che Pufu riesce però a elevare a sublime e visionario sperimentalismo senza nemmeno pensarci troppo perché – e questa segnatevela – “scrivere è come pisciare”), “le cose arrivano come e soprattutto a chi devono arrivare”. 

E la musica di Pufuleti, solitamente, arriva con un passaparola. Da quell’amico che ti dice che devi “troppo ascoltarti ‘sta roba fighissima, surreale”. Oppure da quell’articolo che ne elogia la follia come un moderno Erasmo da Rotterdam. E se scatta l’imprinting – perché Pufu, come tutte le cose estreme, non può lasciarti indifferente. O lo ami, o lo odi – allora è lì che inizia il viaggio

Perle ai porci, un album che Pufuleti ha lavorato praticamente a sei mani insieme a Wun Two e a Zutera è un trip in cui le immagini rarefatte e oniriche che rasentano il dadaismo – una rivoluzione irriverente che Pufu ha portato muovendosi nel sottobosco e negli anfratti più interessanti della scena italiana – si fanno più concrete e tangibili, grazie anche alla presenza di personaggi neorealisti a cui Pufuleti affida dei romanticissimi e quasi dostoevskijani skit. 

Ascolta “Perle ai porci”

E quella figata che era il caos sonoro di Catarsi Aiwa Maxibon trova il suo ordine perfettamente bilanciato tra la quiete del golfo di Napoli e il silenzio del Piemonte (due dei luoghi dove Pufu, Wun Two e Zutera hanno lavorato al disco) e le sonorità scure, lisce come il velluto e nostalgicamente lo-fi à la Griselda. 

Non è un caso infatti che alla produzione dell’album di prossima uscita di Conway The Machine interamente dedicato a Palermo – anticipato da quella perla di singolo che è Brick by Brick – ci sia proprio Wun Two e, come mi racconta Pufuleti (che ha partecipato al progetto del rapper di Buffalo con un aiuto per la tracklist e con uno scatto per il retro di copertina), “aver lavorato con Conway ha influenzato molto Perle ai porci. Anche quello è stato un lavoro di più di due anni, e ora gli album escono praticamente in parallelo”. Intanto Pufuleti ci ha raccontato il suo (che presenterà live il 30 novembre al Teatro Principe a Milano), e – lo giura -, “senza dire nemmeno una bugia”. 

L’intervista a Pufuleti

Sbaglio o Perle ai porci è un disco molto meno destrutturato e distorto rispetto ai precedenti? Sembra quasi che tu abbia voluto mettere una sorta di ordine al caos…
Sì, è vero. I primi due album per me erano stati quasi un parto cesareo. Avevo dei beat a casa che mi gasavano, ma che ora non userei più. Diciamo che era più una cosa per giocarci sopra. Questo album mi sta molto a cuore perché va molto di più verso il sound che immaginavo, ed è molto più strutturato perché ci ho messo tre anni a farlo, anche se non di fila. Ci ho messo molto cuore, si vede anche dai video, dall’estetica. A me non piace basarmi solo su una cosa, deve starci bene tutto quello che c’è intorno.

Mi racconti allora la scelta della copertina?
È nostalgia. È una foto di me davanti a casa mia in Sicilia con il mio padrino, il fratello di mio padre. Questa è una foto piccola, tagliata malissimo, ovale. L’ho presa perché essendo cresciuto in Germania lui non l’ho avuto con me ma questa foto me la portavo dietro in ogni stanza, in ogni cambiamento di appartamento e mi dava sempre molta nostalgia e molto affetto. Mi ricorda di quanto stavo giù in Sicilia con la mia famiglia.

C’è nostalgia anche nell’album?
Ci sono dei frammenti di nostalgia. Se riascolto questo album è proprio l’accompagnamento di questi tre anni in cui sono stato molto anche in Italia per fare i concerti. Prima questo rapporto non ce l’avevo, conoscevo solo il mio paesino e facevo le ferie solo in Sicilia. Ora invece sono stato sette/otto volte a Napoli, poi in Piemonte, poi a Roma. Questa è la nostalgia che riporta Perle ai porci, la nostalgia di questi viaggi. Lo trovo molto romantico. E poi certe volte scrivere è come pisciare.

Questa me la devi spiegare.
Nel senso che è una cosa puristica, naturale. Anche i miei amici spesso mi chiedono “ma cosa intendevi con questa frase?”: per me non è importante che tu sappia cosa voglio dire. L’importante è che tu ci veda quello che vuoi vedere tu, e non quello che vedo io. Se ti arriva, ti arriva, basta. Non deve avere un doppio senso, un terzo senso. Per questo per me scrivere è una cosa puristica. Io scrivo e basta. Così come quando vado a pisciare, non è che ci penso quando lo faccio.

Questa metafora è bellissima.
Anche perché alla fine dei miei testi non è che ci sia molto da spiegare. Sono proprio nostalgie, ricordi, azioni, momenti della mia vita che so solo io. Nemmeno i miei amici a volte li sanno.

Razionalizzare vorrebbe dire perdere un po’ di magia, no? E poi chi ascolta non deve sapere sempre proprio tutto…
Brava. Non trovo giusto pensarci troppo. Spiegare vuol dire anche condizionare la visione dell’altro. Ognuno ha il suo viaggio. Non mi piace chiudere un’immagine. Ci vuole anche fantasia nelle cose. Anche se questo album è diverso dagli altri, come ti dicevo è molto più romantico. Mi piace un sacco questa cosa.

È vero, lo è. Anche a me piace un sacco.
Però ti devo dire la verità. Non l’ho più ascoltato perché ho avuto questa ultima fase di mix del master che era solo lavoro e non mi sentivo mentalmente libero, quindi mi hanno tolto un po’ la voglia di ascoltarmelo. Alla fine questo non è il mio lavoro, è la mia arte. Adesso aspetterò ancora un po’ prima di risentirmelo, finché non arriverà il momento dei live.

Ecco, a proposito di questo. Prima mi hai detto che con l’Italia non avevi un grandissimo rapporto, eppure qui le persone ti amano. L’ultima volta che sono venuta a sentirti al Cox a Milano ho fatto un sacco di coda prima di entrare.
Sì, è vero. Quella sera sembrava il Berghain, mi hanno mandato i video della gente che stava fuori ed era una cosa enorme. Infatti dalla serata del 30 mi aspetto tanto affetto, Milano non mi ha deluso mai. La cosa che mi stupisce sempre è che la gente si muove anche da altre città. L’ultima volta a Bergamo c’era un ragazzo che vive ad Amsterdam che mi fa “torno in Italia solo quando c’è un tuo concerto”. Mi fa tanto piacere anche perché ci sono arrivato senza mettere mai pressione su di me, è nato tutto proprio in modo naturale. E secondo me così è molto più bello.

Questa cosa di non ricercare spasmodicamente il successo, di non seguire mai alcuna tendenza, di creare qualcosa di estremamente identitario fottendosene del mercato mi ricorda molto l’attitudine Griselda.
Se me lo dici tu mi fido. Io non saprei dirti perché ascolto la musica ma poi non mi informo di quello che ci sta intorno. Sono un po’ strano su queste cose. A me sembra la normalità perché io le cose le ho sempre fatte così, con questa attitudine, anche qui in Germania prima che nascesse la cosa di Pufuleti.

Parliamo di Napoli allora, visto che prima me l’hai nominata. In Perle ai porci c’è anche Altea dei Thru Collected in un pezzo meraviglioso. Cosa ti piace di loro?
Il fatto che sono tipo in ventimila e fanno delle cose diverse. Io non sapevo bene cosa facevano, per dirti quando non sono attuale, ma mi hanno invitato l’anno scorso a fare questo concerto a Napoli e lì ho conosciuto Altea. Poi dopo un ragazzo mi ha fatto ascoltare le sue cose e quindi le ho scritto perché mi gasava moltissimo e mi era venuta voglia di fare una traccia con lei. Per me è una delle tracce più belle dell’album.

Bella però questa cosa di non essere attuale.
No io non ci sto proprio dietro, non sono aggiornato come i miei amici che mi dicono “Ah guarda è uscito questo”. Loro mi fanno ascoltare cose che io da solo non mi andrei mai a cercare. Non so come dirti… Io c’ho sempre mille cose da fare, e quando mi ritiro alla fine della giornata mi piace ascoltarmi Paolo Conte, Piero Ciampi. Mi ascolto la musica che ascolto da sempre. Da una parte questa cosa di non essere aggiornato non ti dico che mi dia fastidio, però comunque mi fa chiedere cosa succede attorno a me, dall’altra penso che alla fine non è poi così importante perché poi le cose che mi devono arrivare mi arrivano. Le cose arrivano sempre a chi devono arrivare.

Io ho sempre avuto questa mentalità, è stato così anche con Wun Two. Lui è stato un un pioniere della scena underground, qui è il papà di tutti, ha portato un movimento incredibile. Io ero un piccolo rapper e ci siamo trovati e ora siamo amici da anni. Le cose non si devono cercare, vengono da sole.

Sai cos’altro mi ha colpito molto del disco? Gli skit. Sono bellissimi, veramente poetici. Soprattutto quello della prostituta di San Donato.
Meglio non parlarne (ride, ndr).

Va bene, rispetto questa scelta.
Se vuoi scriverlo avevo solo bisogno di parlare con qualcuno. Adesso non mi ricordo bene, però avevo bisogno di affetto.

Mi hai detto qualche bugia in questa intervista?
Volevo dirtene tante ma alla fine ti ho detto solo verità. Magari il 30 però qualcuna potrei dirla.

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