Raiz e Lucariello, dalle storie di Napoli a un nuovo brano per “Gomorra”. L’intervista
Esce domani “Napoli C.le / Düsseldorf”, il primo progetto congiunto per due pesi massimi della (nuova) musica campana. Che dal rap a “Gomorra” ha fatto il giro del mondo
Raiz e Lucariello sono due nomi storici che hanno incrociato i loro percorsi musicali molte volte nel corso degli ultimi trent’anni. Dagli Almamegretta, formazione che hanno condiviso in periodi diversi, fino alle rispettive carriere soliste, nel loro curriculum hanno entrambi accumulato tanta esperienza quanta ne serve per essere oggi dei punti di riferimento nella musica campana, e non solo.
Nel 2016, Luca invita Rino nel carcere minorile di Airola, dove da tempo porta avanti dei laboratori come operatore sociale. Da questa esperienza nasce una canzone scritta dai giovani detenuti, Puortame llà fore. È la scintilla che ha dato vita a Napoli C.le / Düsseldorf, il primo progetto congiunto di Lucariello e Raiz, in uscita domani. Perché le storie da raccontare non sono finite: ci sono ritratti di padri, figlie, comitive, latitanti, giovani alle prese con i loro ricordi, ex criminali, emigrati, che chiedono a gran voce di diventare arte.
Storie di finzione, sì, ma così vicine alla realtà, che una lacrima alla fine ci scappa – così come insegna il codice della sceneggiata napoletana, a cui si ispira la struttura dell’Ep. Su basi totalmente sperimentali (un’attitudine che Raiz e Lucariello hanno in comune), i dipinti si animano al ritmo rock-rap, ma con elettronica, blues, funk.
Echi di quel Neapolitan Power che ha raccontato una terra, un po’ come fa il rap di Napoli oggi, conquistando con questo potere anche nuove forme d’arte, come il cinema e le serie TV. Non a caso, uno dei brani di questo lavoro, Aria, apre la nuova stagione di Gomorra, in uscita in contemporanea a questo coinvolgente progetto.
Raiz: Fondamentalmente siamo amici! Ci siamo conosciuti per lavoro, ma è nata un’amicizia che è durata negli anni. C’è grande intesa su tante cose, forse perché abbiamo un background familiare molto simile. Non abbiamo i capelli, ma abbiamo la barba (ride, ndr). Parliamo questo linguaggio così arcaico, un napoletano con le giuste vocali e consonanti. E poi c’è una visione comune, specialmente sul lavoro sociale. Come quello in cui mi ha coinvolto Luca, ed è da qui che è nato questo progetto.
Raiz: Io sono stato onorato di essere coinvolto da Luca. Lui mi disse: «Troveremo tante cose da dire e da ascoltare da questi ragazzi». È importante fare un percorso “deviante”, perché così si capisce la causa delle cose. E poi con Luca c’è anche l’ingrediente divertimento.
Lucariello: Sì, tra di noi c’è la dinamica del gioco in qualsiasi cosa facciamo. Io sto portando avanti questa esperienza nata un po’ per caso, prima nelle scuole (ai tempi di Cappotto di legno, la canzone con Ezio Bosso), poi in questo istituto minorile vicino Benevento, dove c’erano poche attività coi ragazzi. Siamo partiti dal rap con loro, e volevo condividere con Raiz parte di questo percorso. Siamo molto amici, ma abbiamo anche dieci anni di differenza, il che ha fatto sì che quando lui ha iniziato con ‘O bbuono e ‘o malamente o 47 io fossi suo fan! Raiz è stato uno dei primi a mettere nelle canzoni queste storie di amici che hanno preso una strada diversa, anche se l’abbiamo vissuta molto da vicino quella strada. Questo Ep è il continuo di questo racconto, in modo anche più colorito e sperimentale. Le cose strane sono le più belle.
Raiz: In questi giorni sto lavorando sul repertorio di Sergio Bruni, un cantante napoletano più classico, e lui anni fa portò al successo un brano: Palcoscenico. Nel ritornello diceva “cosa sono le strade di Napoli se non un palcoscenico? La gente di Napoli questo vuole: il palcoscenico”. Questo è: mettere in scena la propria condizione, una cosa tipica della napolitaneità ma anche della mediterraneità. Pensa alla tragedia greca, che mette in scena drammi con tanto di coro e “entertainment” scenografico e musicale. Alla fine siamo noi gli eredi, siamo figli della Magna Grecia.
Perciò c’è il codice di “mettere fuori”, secondo la cultura mediterranea. Se si ama lo si dice, se si soffre lo si dice, se si piange si piange. È il contrario del contenimento anglosassone del Boys don’t cry. Anche nelle canzoni che abbiamo fatto non c’è un contenimento nell’espressione culturale, il linguaggio è esplicito, c’è il sentimento arcaico verso la lingua madre, che abbiamo messo in scena. Napoli C.le / Düsseldorf è il migrante che se ne è dovuto andare per portare comunque sempre Napoli nel cuore. E una delle canzoni è proprio questa.
Lucariello: Direi che è inconscio! Non l’abbiamo nemmeno pensato. C’è talmente tanto di quella roba lì in noi, nella nostra formazione, che è venuto fuori in modo naturale.
Raiz: James Senese è un personaggio imprescindibile. E per noi che abbiamo sempre girato attorno alla cultura african-american, riportandola a Napoli, lui è l’esempio, il paradosso, il nero a metà. L’emblema di tutto questo. Quindi sì, incosciamente c’è anche quello!
Lucariello: Con Sarah e Rosario abbiamo fatto session di chiacchierate infinite! Siamo partiti da un discorso ampio su queste tematiche, ma si sentiva la necessità di toccare qualcosa di profondo. Per quanto la sceneggiata sia stata considerata per un certo periodo storico “trash”, c’è una radice in ognuno di noi, e quando arriva il momento cruciale – come accade in Zappatore, ad esempio – scatta la lacrima. Ci siamo affidati a loro sul sound, Rosario è un chitarrista tra il blues e il rock molto attento; Sarah ha un gusto particolare per l’elettronica e gli arrangiamenti contemporanei.
Raiz: Con loro c’è un bellissimo rapporto. Ecco, potrei dire che è un disco fatto da amici. Non sono stati solo i producer a mettere a disposizione il loro know how tecnico, ma hanno condiviso del tutto ciò che scrivevamo noi.
Raiz: Il nostro è un disco che parla sicuramente di cose reali, ma c’è anche tanta fiction. Ricorre e cita luoghi attraversati da cinema e personaggi che abbiamo amato, c’è il mondo italian-american, c’è Joe Pesci, Scorsese… Abbiamo ricreato quel mondo lì. E poi quella canzone parla di due criminali che abbandonano il mondo del crimine e si mettono a fare i barbieri. Come Al Pacino in Il Padrino – Parte 3 dice che vuole star fuori da questa roba, e poi “mi ritirano sempre dentro”. Oppure, inconsciamente c’è una citazione del mondo biblico, in cui due figli di Giacobbe (Simone e Levi) per vendicare la sorella violentata da un re, uccidono tutti i maschi della tribù. E questo è un episodio che potrebbe succedere anche in un quartiere di Napoli…
Lucariello: E poi tornando alla filmografia, anche Spike Lee è fondamentale nella nostra formazione. Il barbiere poi è quel luogo dove tutto accade, dove si dicono un po’ i fatti del quartiere, perciò ci piaceva questa immagine.
«Per Gomorra, dissi a Sollima di investire sul rap napoletano» – Lucariello
Lucariello: Ti posso raccontare com’è nata la collaborazione su Gomorra (Lucariello è autore di Nuje vulimme ‘na speranza insieme a ‘Ntò, sigla finale della serie TV, ndr). Io e il regista Stefano Sollima fummo invitati a fare la giuria al Comicon per un premio. A lui era stato da poco dato l’incarico per la serie, in un momento in cui le serie TV non erano ancora quelle che conosciamo oggi. Stefano mi chiese un consiglio sulla musica: a differenza di Garrone (regista di Gomorra, il film, ndr) che aveva usato il neomelodico, gli dissi: «Investi sul rap napoletano». Che non è legato cronologicamente a Gomorra, perché è una storia degli anni ’90, ma è di certo il linguaggio con cui esprimerti al meglio se hai a che fare con un crime contemporaneo. Mi ha preso in parola!
Per rispondere alla tua domanda, poco dopo che è uscita la serie, ho incontrato Fabri Fibra, che non vedevo almeno dai primi Duemila. Mi chiese di fare un featuring nel suo disco, e mi disse: «Luca, finalmente vedendo Gomorra ho capito i tuoi testi!». Quindi c’è un immaginario visivo che noi abbiamo iniziato a raccontare tempo fa, ma ora in molti l’hanno capito. Io penso che Gomorra sia molto più seguito fuori Napoli, che in Napoli città. Paradossalmente è Milano il posto in cui va di più!
Raiz: Se pensi a 47 degli Almamegretta, di cui tutti possono leggere il testo, è una microsceneggiatura di una puntata di Gomorra – La serie! E il pezzo è del ’98… Quando una cosa diventa di grande successo, le orecchie si aprono di più. E scopri che non solo siamo “fighi”, ma che lo eravamo anche prima! (ride, ndr). Siamo contenti di essere anche in questa serie.
«Sento i ragazzi dire “ci prendiamo tutto”, ma nel crimine non c’è nulla di divertente» – Raiz
Lucariello: Pensando a nomi come Geolier, Enzo Dong, due del mio stesso quartiere, ti dico che per noi questa cosa è stata un po’ un sogno. Abbiamo iniziato a fare dischi rap che raccontavano in modo molto crudo la realtà. La musica che ascoltavano le persone che facevano davvero queste cose era invece il neomelodico. Noi ascoltavamo Nas, i dischi di Tupac, era il rap che raccontava la strada, mentre da noi la strada si raccontava col neomelodico, e non è che lo facesse a pieno, erano sempre canzoni d’amore o pezzi più vicini alla sceneggiata.
Il fatto che oggi il rap sia diventato il nuovo pop è un risultato, io mi sento in qualche modo un po’ padre di questa cosa. Quando la violenza la trasformi in musica, sublima, diventa qualcosa di artistico. E secondo la mia esperienza in carcere vi posso dire che nessuno di questi ragazzi va a fare un reato perché ha visto una serie o sentito una canzone. Se ci vai ci sono altri motivi, non sicuramente la musica.
Raiz: E poi, oggi, situazioni come quelle che si vedono nelle serie finirebbero nel giro di due ore! Noi poi abbiamo cominciato raccontando, come in ‘O bbuono ‘o malamente, che è del ’91, la storia di uno spacciatore che vede nel crimine un mezzo per arrivare al successo. Ma questi sono dei perdenti. Qui invece si fa la fascinazione del reato, senti gente che dice “ci prendiamo tutto”, perché? Ragazzi, non è così. Il crimine porta a una vita triste, non c’è niente di divertente.
Raiz: Io personalmente sto già facendo un disco su Sergio Bruni, come ti dicevo, affrontando la canzone classica così com’è. Mi sono “riscoperto” cantante napoletano. Me l’hanno fatto pure notare autori importanti come Salvatore Palomba, che è l’autore di Sergio Bruni, che mi ha incoraggiato dicendo che sono una “voce antica”.
Lucariello: Pensa, per me quella è una delle parentesi più basse della mia carriera (ride, ndr). Nel senso che non avendo io chiaramente gli strumenti vocali di Raiz, non ho questa confidenza con la melodia! Quindi per me diventa difficile reinterpretare un classico napoletano, che è pura melodia. Se penso a provarci, potrei inguaiare un classico! Anche perché una delle cose che mi riesce meglio è la scrittura, più che l’interpretazione. Riesco a interpretare quasi solo cose che scrivo.
Raiz: Sarebbe bello farlo ma senza il lavoro fatto con il DJ. Ci dovrebbe essere una band, è un lavoro con molto rock! Vediamo che succede.