“decrescendo.” è il miglior squarcio possibile sull’anima di Rkomi: l’intervista
Esce oggi un disco in cui Mirko ha guardato negli abissi, si è «sputtanato, ingrossato» e ha dato tutto in nome di un’unica cosa: la sincerità con se stesso

Rkomi, foto di Mattia Zoppellaro
C’è una frase, nel nuovo album di Rkomi uscito oggi, che in una manciata di parole ne racchiude tutto il significato: “Alla riscoperta dei rapporti umani, tornare indietro, la vita è ciclica per questo mi ripeto. Decrescendo”. In decrescendo., infatti, si snodano esattamente tutti questi concetti: è un album epistolare – in cui ogni brano è più o meno esplicitamente una lettera a qualcuno (a una donna, a una madre, a un fratello, a un amico che ha tradito il quartiere e a uno che manca, principalmente a se stesso), in cui Mirko torna indietro per andare avanti, perché – come dice in vorrei. – quando non sai dove andare l’unico modo per trovare una strada a volte è ripercorrerla al contrario, anche col rischio di mettere i piedi su cocci di vetro dolorosi che per anni hai nascosto sotto un tappeto consumato.
Quando incontro Rkomi in un pomeriggio piovoso di maggio, a circa 48 ore dall’uscita dell’album in cui – come mi racconta – si è sputtanato, si è ingrossato, ha tradito la sua famiglia e se stesso mettendosi a nudo come forse mai aveva fatto compiendo di fatto l’ultima infedeltà., la sensazione è quella di avere di fronte a me una persona che dopo anni passati a correre velocissimo, ora ha bisogno di rallentare – ma mai di fermarsi, perché «fare una vita zen non è roba mia perché rischi di reprimere delle cose» – per respirare e trovare un ordine al caos di concetti e domande che gli si arrovellano in testa mentre mi parla di colpe, tradimenti, paranoie, sindrome dell’impostore, dell’analisi ossessiva di tutti i suoi dischi e del fatto che forse non ha più così tanta voglia di leggerezza.
Lunghe pause in cui sembra quasi di vederli, quei pensieri, che Mirko a volte calibra cercando le parole più giuste, concretizzandoli in un libro o una citazione di un film, e che a volte invece fa scorrere lasciando intravedere che dietro all’uomo di 30 anni che è (de)cresciuto e cambiato, da qualche parte c’è ancora quel ragazzo che voleva passare da una vita di strada a una vita diversa con un tormento esistenziale che non lo ha abbandonato neanche in questo disco, in cui lui è l’unico a non sorridere e che è cambiato almeno tre volte prima di arrivare alla sua forma compiuta: «sereno non sono mai. La serenità la vedo come un punto di arrivo, un’illuminazione, mentre la felicità alla fine dura quei due secondi e nemmeno ti rendi conto di esserlo. Ecco, mi capita spesso di essere felice, ma non sereno. Sono uno che in generale si colpevolizza anche molto».
L’intervista a Rkomi
Di cosa?
Prendi l’ultima infedeltà. È un pezzo che si divide in tre in parti: la famiglia, l’amore e l’amicizia. Io racconto delle cose – di me, degli altri -, ma alla fine sento che sono io quello che non ha saputo fare qualcosa per uscire da certe condizioni. E poi anche non c’è amore., un pezzo nato dopo una storia di due anni fa in cui ho iniziato a conoscermi e a non voler più perdere tempo in ambito relazionale. O arriva quell’estasi incontrollabile, oppure non prendiamoci in giro.
La cosa che mi è piaciuta di più di questo album è ritrovare quella scrittura così tua, così densa.
Mancava davvero così tanto negli ultimi anni?
Un po’. Ma forse è un problema mio che sono troppo affezionata alle tue cose vecchie.
In questo album c’è una scrittura sicuramente molto personale. Non ho avuto paura di espormi e di mettermi a nudo. Forse questa cosa era un po’ mancata in Taxi Driver. Ho analizzato molto quel disco, in cui c’erano pezzi come Cancelli di mezzanotte o Mare che non sei, e mi sono chiesto se quella profondità ci fosse davvero o se fossero solo delle frasi che alla fine non erano poi così veritiere. Quindi ho iniziato ad analizzare di più anche me stesso. Ho compiuto 30 anni, ho cominciato a prendermi più sul serio. Non troppo, ma abbastanza da far nascere degli episodi importanti di questo album. Sai quella fase in cui inizi a dire “certe cazzate non le voglio più dire, certe cose non le voglio più fare”?
Certo.
Mi sono responsabilizzato molto più di quanto non avessi già fatto prima. Quindi immaginati il carico che mi sono buttato sulle spalle.
Ti sei sentito fuori posto?
A volte sì. Forse mi ci sono sentito anche riascoltando determinati brani. Questo però mi ha messo in dei binari che ho reputato importanti. Mi sono guardato dentro, ho ricalibrato gli interessi, le mie necessità, e da lì sono nati i dischi.
I dischi?
Ci sono stati molti dischi prima di questo. Questa è stata la volta in cui un mio album si è trasformato di più. Ha cambiato almeno tre titoli e tre concetti.
E alla fine come sei arrivato a decrescendo.?
La musica ha deciso tutto. Stava diventando tanto introspettiva. Ho capito che non stavo più facendo il lavoro che avevo iniziato, che aveva un titolo ben specifico che non ti dico perché lo utilizzerò sicuramente. Arrivavo da letture importantissime, che magari non ho neanche capito, da Rimbaud a Delmore Schwartz, che mi hanno messo addosso un po’ di negativismo che però mi è servito.
Mi sembri molto spugna rispetto alle cose che ti circondano, l’arte in primis.
Tantissimo, io mi innamoro facilmente, e quando succede parto a cannone. Poi passa il tempo, immagazzino le cose e tengo solo il necessario.
Ti è successo lo stesso con questo disco? È stato difficile arrivare alla forma compiuta di ora?
È stato difficile ritornare in uno stato che mi ha rappresentato tanto e che mi mancava molto perché mi ha dato la fame. Forse avevo bisogno di un risarcimento da parte della vita perché avevo la percezione di non star ricevendo quanto meritavo.
Di cosa sentivi di dover essere risarcito?
Forse del fatto che nella vita mi sono sempre dovuto guadagnare tutto. Sono sempre stato molto socievole, ho sempre avuto tanti amici, ma non sono mai stato il figo. Le ragazze non mi correvano dietro perché ero il più bello: ho sempre dovuto attivare delle cose che poi hanno formato il mio carattere. Nessuno mi ha mai regalato nulla. Arrivo da un passato abbastanza instabile, da un quartiere carismatico dove dovevo sapermi difendere. Sorrentino in Hanno tutti ragione dice che noi non siamo fighi, per noi non è così semplice, ma beati noi e peccato per quelli a cui basta uno schiocco di dita perché nel frattempo si perdono tante altre cose. Io non avevo niente, e per provare ad avere qualcosa dovevo metterci tutto me stesso.
A proposito del quartiere: in questo disco ne parli ma non in modo anacronistico. Più con nostalgia.
Perché non sono un ipocrita. La mia vita non è più quella di prima: vedo le stesse persone, ci vogliamo troppo bene, ma si capisce che stiamo vivendo altre cose, che forse non ci accomuna più nulla a parte il quartiere, che però per me è un passato incancellabile. Certe cene le farò tutta la vita, quando sono lì non mi chiedo mai perché ci sono, non mi sento mai fuori luogo. Parlo della distanza che ora si è creata tra me e il quartiere. Non credo a chi a 30 anni fa ancora il piazzaro: o gli è mancato davvero in passato questo rapporto e quindi sta vivendo ora il mito delle case popolari e degli amici criminali, oppure fanno i buffoncelli. Io buffoncello non lo sono mai stato e non posso diventarlo perché i miei amici non me lo permetterebbero.
A Rolling Stone prima di Sanremo hai detto “adesso sono totalmente chiappe a terra in mezzo alla strada, con i blocchi di Calvairate a sinistra e il palazzo bello in cui vivo a destra”. Mi è subito venuta in mente la copertina di Io in Terra ma riadattata.
Era esattamente l’immagine che avevo in testa. È la verità: a volte non sento di essermi meritato quello che ho, però questa è anche una grande fortuna perché poi mi porta a studiare, a lavorare in un certo modo.
Senti un po’ la sindrome dell’impostore?
Sì, l’ho sempre un po’ sentita. Però vedo che alla gente non frega nulla di tutta questa roba. Sento che è fuori moda questo modo di essere. Anche questo disco è fuori moda per me. Questa è la mia unica paranoia.
È una paranoia che c’entra coi numeri?
No, è una questione di immagine. Mi chiedo se i giovani sapranno rivedersi, e ho paura che la risposta sia no. Alla fine le persone vogliono ballare, stare bene e dimenticare, e io non so se ci sarà troppa leggerezza nei miei prossimi album.
Di sicuro questo non è un disco immediato.
Io penso di aver fatto la migliore cosa che potessi fare ora, anche se poi ogni volta mi dico “il mio prossimo album sarà quello che mi farà impazzire” ma non lo è mai. Come se ancora non avessi trovato la mia ciliegina sulla torta.
La bellezza della musica però sta anche nell’imperfezione, no?
Però io il mio masterpiece lo cerco. E non è Io in Terra come molti pensano.
Nella copertina sei l’unico bambino che non sorride.
Quella foto è arrivata da dei mesi di grande apatia dove mi chiedevo che cazzo avessero tutti da ridere, che cosa ci facessi a tutte queste feste milanesi. A volte mi sembra che ci sia un bisogno di esserci che è più grande della voglia effettiva.
Negli ultimi anni però tu ti sei un po’ distaccato da tutto questo, anche dai social.
In generale sui social non sono mai stato così attivo, Instagram lo adoro per il mondo fotografico e creativo, lo uso un sacco per prendere spunti. Lo trovo un ottimo strumento finché non diventa una perdita di tempo. Infatti ho silenziato tutte le storie ad eccezione degli artisti che mi piacciono o degli amici stretti.
Ecco, gli amici stretti. Li hai messi anche nel disco e quei pezzi sembrano proprio un dialogo tra di voi.
Perché sono tutti brani che abbiamo lavorato veramente insieme. Devo ringraziare tantissimo tutti loro perché abbiamo ascoltato più volte l’album, ci siamo visti tante volte per fare queste sessioni, sia per non ripetere delle cose che avevamo già fatto, sia per fare delle cose intense. Tutti hanno davvero messo il maggiore impegno possibile. Ormai siamo grandi, siamo cresciuti tutti.
Volevano esserci per davvero.
Sì, e io li volevo per davvero. Siamo diversi, siamo matti, prima ci troviamo e poi no. Però poi alla fine se una cosa la vuoi davvero, la fai. Ogni brano con loro è un pezzo di cuore.
Cosa significa per te decrescere?
È la crescita dall’alto verso il basso, una cosa che spesso ci dimentichiamo di fare. Io mi sento di scendere ma salendo. Poi lessi un libro particolare di Gurdjieff che parlava di questi 21 scalini verso l’alto…
Ma dove scovi tutti questi libri?
Ho un grande consigliere che è Andrew, il manager di Noyz Narcos. Lui è un lettore meraviglioso, soprattutto di letteratura russa, e ci siamo trovati. Molte cose però sono mie, anche se non sempre ci capisco molto. La filosofia non è semplice da comprendere, ma ci voglio arrivare.
Hai mai pensato di riprendere gli studi?
Lo farò sicuramente. Adesso sto studiando molto musica ed è una cosa che mi toglie tanto tempo. Ho un grande rispetto nei confronti dei musicisti che piacciono a me. Ecco, ultimamente mi sono impelagato in ascolti particolari.
Il fatto che questo disco sia più complesso musicalmente è frutto di questi ascolti?
Sì, volevo delle produzioni iper lavorate, toccando molto di più l’elettronica rispetto a quanto avessi fatto, però poi la scrittura era troppo più importante. Unire scrittura complicata e musica complicata a volte rendeva le cose inascoltabili: per l’ultima infedeltà. abbiamo fatto sei produzioni diverse, ma poi è stata la scrittura a capitanare tutto.
Ne l’ultima infedeltà. ti sei aperto come mai prima.
Ed è un brano tra l’altro nato in un momento solare. Mi capita spesso di scrivere cose molto tristi quando sto bene. Eravamo a Sifnos a fare una sessione molto particolare, con grandi musicisti, ero sotto il sole, con un’oasi davanti a me: è venuta fuori spontaneamente. Quello che so è che ho potuto farlo perché ormai ero fuori da quella rabbia.
E questo titolo?
All’inizio era l’ultima infedeltà nei confronti del rap, poi però il testo mi ha portato a parlare di me, poi di un amico di vecchia data, poi di un’idea di amore alla quale aspiro e che non ho vissuto. Vorrei che l’amore fosse quella cosa, e sono sicuro che lo sarà. Poi è diventata l’ultima infedeltà nei confronti della mia famiglia perché racconto i cazzi nostri, nei confronti miei perché dico esattamente come cazzo sono, nei confronti di questo amico e nei confronti di me all’interno del concetto di amore ricollegandomi alla figura del padre che mi è mancato e riconoscendo che questa cosa forse mi ha fatto venire la paura di legarmi.
Il concetto di tradimento ritorna anche in così piccoli. quando parli del quartiere.
Mi chiedo se l’abbia fatto, ma so che la risposta è no. L’avrei fatto se ne avessi parlato come se ci stessi ancora. Adesso molti giovani, e non solo, hanno la tendenza a sguazzarci dentro, ma perché non hanno vissuto davvero la merda. Non hanno preso i pattoni dai grandi quando dicevi una parola fuori posto, o giocosamente avevi un coltello in tasca o vendevi una pallina di fumo. A volte sento una narrazione un po’ romanzata.
Alla fine di ogni titolo c’è un punto.
Rappresenta la fine di un capitolo, o forse di un intero libro. Ho detto tante cose di me in questo disco. Mi sono sputtanato, mi sono ingrossato. Ho fatto tutto quello che potevo fare e dovevo fare. In Taxi Driver avevo veramente escluso gli abissi, e non perché non esistessero, ma per scelta. Paradossalmente l’ho fatto molto più a flusso di coscienza. In questo album è come se fossi tornato ragazzino: è molto naturale ma allo stesso tempo c’è molta strategia, come quando ti scrive la ragazza che ti piace e dici “le rispondo tra un’ora”.
C’è stato più controllo?
Sì, ma allo stesso tempo credo molto nel controllo del non controllo. Fare una vita zen non è roba mia perché rischi di reprimere delle cose. Puoi e devi impazzire, ricordandoti che ci sono dei confini. Questo disco a volte è stato il sesso post discoteca con la ragazza appena conosciuta, quello incontrollato in cui butti giù tutto, e molte più volte quello con la ragazza che ti piace e hai una paura incredibile di dire la cosa sbagliata, di dare un bacio prima del dovuto e mandare tutto a puttane. Ecco, spero di non aver fatto cazzate.