Royel Otis: «La nostra musica è amore, una tensione sessuale pronta a esplodere»
Il duo australiano, con l’album di debutto “PRATTS & PAIN”, è una delle rivelazioni musicali del 2024. In occasione del loro concerto alla Santeria di Milano (sold out da tempo) abbiamo parlato con loro del lavoro con Dan Carey, di amore, bar ispiratori e ostriche
Royel Maddel e Otis Pavlovic sono come le loro canzoni. In apparenza semplici e felici, ma con una patina malinconico-nostalgica che le rende degli istant classic. E poi, soprattutto, sono dei “cazzoni”, ma nell’accezione migliore del termine. Anche perché non si può certo dire che non abbiano voglia di far nulla, dato che sono in tour da più di un anno e non si fermeranno a breve. Colpa e merito loro, in particolare dell’album di debutto PRATTS & PAIN che ha confermato le premesse dei primi EP e della hit Oysters in My Pocket. Parlare con Royel e Otis su Zoom, a poche settimane dal concerto al Santeria di Milano (già sold out da tempo), è stato un trip allucinatorio tra ricordi, pub e battute.
«Le nostre canzoni parlano tutte d’amore e di cibo, le due cose che ci provocano maggiore piacere» rivelano i due artisti australiani. Tutto si ricollega al divertimento e appunto, al piacere, anche quando si fa riferimento alla loro chimica. Loro la descrivono come una tensione sessuale crescente che non esplode mai, ma trova sfogo con la musica. Una metafora che Royel riassume con l’espressione «Edging each other». Se non avete idea di cosa sia l’edging, non è questo il luogo adatto per spiegarvelo, ma potete facilmente trovare una spiegazione con una rapida ricerca sul web, o in alternativa chiedere supporto alla discografia dei Blink-182.
PRATTS & PAIN
Ostriche e vino, potrebbe essere questo il riassunto di questi primi anni di carriera dei Royel Otis. Se il secondo è una loro grande passione, le prime si ricollegano al più grande successo della duo finora. Il brano che li ha fatti conoscere al mondo intero e che li ha resi virali e appetibili agli algoritmi di Spotify e simili, è stato Oysters in My Pocket. Pubblicata nel 2022, è la canzone che meglio rappresenta il loro stile: chitarre pop rock, melodie irresistibili e testi che spesso cozzano con il sound. «Dipende dai singoli brani, ma il più delle volte ci piace creare delle sovrapposizioni contrastanti tra il mood della musica e le parole» spiega Otis.
Dopo il successo, i due artisti hanno passato al setaccio i possibili produttori del loro primo album: Hot Chip, Rich Turvey e persino James Ford con cui, in una sola giornata, hanno inciso il brano Molly. Alla fine, hanno scelto Dan Carey. Una delle figure di primo piano della nuova scena post-punk d’oltremanica, o semplicemente di quella new wave post-brexit che comprende band come black midi, Black Country, New Road, Wet Leg e soprattutto Fontaines D.C., dei quali ha prodotto tutti i dischi, tranne l’ultimo Romance (dove, ironia del caso, è stato “sostituito” da Ford).
Il risultato è stato PRATTS & PAIN, uno dei dischi rivelazione del 2024 (ve ne abbiamo parlato qui). Nelle tredici tracce, con la deluxe diventate diciassette, c’è tutta l’anima sonora della band. La spensieratezza sonora di brani come Fried Rice, Heading for The Door e Glory to Glory (dove Dan suona una linea di basso che non assoceresti mai a lui), ma anche il loro lato più intimo, anche se gli stessi interessati non lo ammetteranno mai. La vera protagonista rimane sempre la chitarra, sia quella distorta di Sonic Blue, quella acustica quasi britpop di Til the Morning e quella che si sposa a meraviglia con le tastiere e i synth in Velvet e Daisy Chain.
La nostra chiacchierata è partita da lontano, dai loro inizi e dal primo dei bar che hanno caratterizzato la loro carriera. Quello dove è nato il progetto Royel Otis.
L’intervista ai Royel Otis
Si può dire che la vostra carriera sia collegata in qualche modo ai bar e ai pub, fin dalla nascita della band.
Royel Maddel: Sì, il nostro progetto è iniziato in un bar di Bondi Beach dove lavoravo. In realtà, ci conoscevamo di vista da prima, ma non è che avessimo un rapporto di amicizia. Otis veniva spesso ed è stato lì che abbiamo iniziato a parlare di musica quando eravamo brilli. Finché un giorno non siamo andati in studio insieme per provare qualcosa insieme.
Otis Pavlovic: È andata avanti così per un po’ finché un giorno non siamo andati in studio per provare a suonare qualcosa insieme.
Anche il vostro album di debutto PRATTS & PAIN prende il nome da un locale.
R: Sì, abbiamo registrato l’album con Dan Carey a Londra. Siamo entrati in contatto con lui attraverso una rete di conoscenze e amici comuni. Abbiamo parlato con diversi producer e lui è stato uno di quelli con cui ci siamo trovati bene fin da subito. E lui ha lo studio, dove vive anche, che si trova vicino a questo pub chiamato PRATTS & PAIN dove andavamo a bere nei momenti di pausa. Ora purtroppo ha chiuso.
Dan Carey ultimamente sta lavorando con band post-punk e rock, un po’ distanti dal vostro stile. Com’è stato lavorare con lui e in che modo ha influenzato il vostro suono?
R: Sembra strano, ma in realtà lui ha iniziato col pop e ha lavorato anche con Kyle Minogue.È un genio ed è curioso ed interessato a qualsiasi genere musicale.
O: È una sorta di scienziato pazzo in studio, la sua cura per i suoni riflette il suo amore per la musica. Lavorare con lui è molto divertente.
Dai racconti degli artisti che hanno lavorato con lui spesso vengono fuori degli aneddoti incredibili. Voi ne avete qualcuno?
O: Beh, per esempio, nel brano Velvet, la batteria la suona sua nipote di undici anni Archie. Mentre in tutti gli altri pezzi la suonava Yuri Shibuichi.
R: In una canzone c’era anche Poppy, il suo cane che non lo abbandona mai e che è sempre lì in studio con lui. L’abbiamo dovuta scartare perché era troppo bella rispetto alle altre (ride n.d.r.).
Prima di optare per Dan Carey avete sondato vari produttori, tra cui James Ford con cui avete scritto Molly. Come sono andate le cose con lui?
R: È stata una cosa molto veloce, abbiamo lavorato con James un giorno solo. In quella canzone c’è questo beat di archi che somiglia a quello di un violino, ma che in realtà è il frutto di uno strano strumento simile a una piccola arpa che aveva in studio e che ho suonato con un archetto. È stato divertente e fastidioso allo stesso tempo sentire costantemente quel suono (ride n.d.r.)
Dalle vostre canzoni emerge la grande chimica che c’è tra voi due. Come scrivete le canzoni?
R: Ogni cosa che facciamo è piena di amore. Quella tra noi due è una sorta di tensione sessuale costante.
O: Sì, è qualcosa che sembra che debba esplodere da un momento all’altro, ma che poi in realtà non lo fa mai.
R: Un edging che si risolve sottoforma di musica.
Nelle vostre canzoni parlate spesso di amore e relazioni e dei loro aspetti positivi e negativi. Quanto c’è di autobiografico?
O: Qualcosa di vero c’è ovviamente, ma non tutto. Ci piace mescolare le nostre esperienze con storie che inventiamo. Mixiamo tutto.
R: Ci piace cantare soprattutto di amore e di cibo perché sono le cose ci danno maggiore piacere. Per esempio, Oysters in My Pocket si chiama così perché per un giorno intero in studio siamo stati a parlare di ostriche.
Qualche settimana fa è uscita la deluxe del vostro disco. Quando avete scritto le nuove canzoni e come mai le avete inserite in mezzo alla tracklist? Di solito vengono inserite alla fine o all’inizio.
R: I nuovi brani li abbiamo scritti e registrati tutti dopo l’uscita del disco. Ci siamo ritagliati dei momenti tra una data e l’altra del tour. Per esempio, If Our Love Is Dead è nata a Los Angeles nello studio di Mikey Freedom Hart (Bleachers, Blood Orange n.d.r.).
O: La scelta della posizione nella tracklist deriva dal fatto che abbiamo interpretato PRATTS & PAIN come un vinile. Quindi, se osservi la deluxe come un vinile, noterai che i nuovi brani si trovano alla fine o all’inizio del lato A e del lato B.
Siete in tour da un sacco di tempo. Vi mancano l’Australia e le spiagge?
O: Non tanto in realtà. Ci mancano più che altro le persone a cui siamo legati, su tutte la nostra famiglia. Ma ci sono molti altri aspetti positivi, in primis la possibilità di esibirci in tutto il mondo.
R: È una sensazione bellissima vedere gente dell’altra parte del globo, che non ti aspetteresti mai che conosca le tue canzoni, cantare a memoria tutti i testi.
Tornate in Italia, a Milano, dopo la vostra prima volta dello scorso luglio. Che ricordo avete del concerto di Genova?
R: Pazzesco. Siamo stati anche al museo del Genoa e ci hanno regalato le magliette.
O: Sì, ci appassiona un po’ il calcio. Quando possiamo, tra una pausa e l’altra, giochiamo anche. In tv lo seguiamo meno, solo le grandi competizioni, come gli Europei e i Mondiali.
Ho letto in un’altra intervista che state già scrivendo il secondo album…
R: Sì, uscirà all’incirca tra 35 anni (ride n.d.r.). Abbiamo scritto solo qualche canzone e ci concentreremo sul nuovo progetto quando il tour sarà finito.
O: Non abbiamo chiaro neppure il sound, ma è come se fosse tutto già nella nostra mente. Forse anche questa stessa conversazione si sta svolgendo nella nostra mente.