Salmo ha trovato il suo “Ranch”: «Ho avuto paura di morire artisticamente»
Libero, controcorrente, a tratti “Crudele”, solito stronzo ma alla fine bravo ragazzo, inesorabilmente fedele ad un’unica linea: la sua. Il rapper sardo torna domani con un album che è già tra i migliori della sua carriera

Salmo, foto di Chilldays
In psicoterapia, la tecnica dell’EMDR viene utilizzata per l’elaborazione dei traumi. Lavora sul ricordo, e su come questo generi un malessere da rimuovere quasi come in un’operazione chirurgica di precisione. Uno dei passaggi fondamentali di questa pratica è la ricerca del posto sicuro, quello in cui rifugiarsi quando ci si sente sopraffatti dalle sensazioni che rievocano il trauma. Poco importa che si tratti di un luogo fisico o mentale: tutto ciò che conta è ritrovare pace e tranquillità quando i ricordi iniziano a farsi troppo disturbanti.
Dopo anni passati a occupare primi posti in classifica, calcare palchi sempre più imponenti (se ora per i rapper fare gli stadi è la normalità, tre anni fa – quando lui è stato il primo del genere ad esibirsi a San Siro – erano l’eccezione) e fare una vita da rockstar, Salmo in quel posto sicuro – la sua Terra – è dovuto tornare per recuperare un qualcosa che sentiva di aver perso e che sapeva di poter rintracciare solo riconnettendosi con l’essenziale, disfacendosi del superfluo e tornando a fare musica con la fame primordiale degli inizi e con la stessa rabbia, ma con quel senso di riappacificazione che si raggiunge soltanto quando ci si scopre – e dunque ci si accetta – davvero, anche a costo di pagare caro il prezzo della verità.
Per questo Ranch – il suo nuovo album in uscita venerdì – è la cosa più simile e allo stesso tempo più lontana dal Salmo che abbiamo imparato a conoscere dai tempi di The Island Chainsaw Massacre, quando diceva che a restarci non era altro che l’odio. Quello che in Ranch si annida a volte silenziosamente e che altre invece esplode come dinamite: perché Salmo è cambiato, è cresciuto, ma alla fine è ancora lo stesso. Libero, controcorrente, a tratti Crudele – come il titolo di uno dei brani più spiazzanti e spaventosi (per chi lo racconta e per chi lo ascolta) di tutto l’album, che esorcizza brutalmente il suddetto trauma per eccellenza: quello familiare -, solito stronzo («A X Factor continuavo a dire “se mi date questa cifra vengo”: li ho tirati fino al milione, poi ho detto comunque no»), inesorabilmente fedele ad un’unica linea: la sua.
Quando tutti smaniavano per apparire rincorrendo i ritmi del mercato con dischi omologati e zeppi di featuring, lui ha deciso di sottrarsi al mondo per darsi solo a se stesso e a un album che non va solo sentito, ma va ascoltato. «Ranch è il posto sicuro, l’isola felice che ho cercato di ricreare nella mia testa», racconta Salmo. «Era un periodo particolare della mia vita e ho cercato di isolarmi, anche se mi rendo conto che il concetto di isolamento non è bello. Sentivo di dover ritrovare la creatività in un posto tranquillo. Ho giocato parecchio sui social, ho fatto un deficiente per anni: a un certo punto questa cosa ha iniziato a pesarmi. I social sono un freno per la creatività».
Foto di Chilldays
Una volta disinnescato quello, il disco è venuto fuori da solo, e tutto sembra esattamente dove deve essere. Le canzoni (con picchi come Mauri e Il figlio del prete, con echi che ricordano un De André ancora più caustico) e anche Salmo stesso, che ha trovato persino un punto d’incontro tra la persona e quel personaggio che è finito per entrare nella sua vita più del consentito: «Devo il concerto di Ranch a Snake (il personaggio che interpreta in Gangs Of Milano, ndr): lui si isola e rimane da solo ad affrontare i suoi demoni. Per girare la serie sono stato un mese da solo a Torino; uscivo la notte da solo per provare il personaggio. Pensavo di essere diventato matto. Mi sono messo d’accordo con questo personaggio per arrivare a un punto di incontro. Finita la serie sono tornato in Sardegna».
L’intervista a Salmo per “Ranch”
Lì ti sei isolato e hai parlato di questa cosa in relazione alla creatività. C’era però qualcos’altro che sentivi di aver perso e che hai dovuto ritrovare e che quindi ti ha portato a questa scelta?
All’inizio della carriera si ha sempre un sacco di fame e questa cosa influisce sulla scrittura. Poi quando inizi a sistemarti, a mettere i soldi da parte, e la tua vita inizia ad essere più tranquilla è come se perdessi quella curiosità che ti dà la spinta. Io ho passato anni a dire “Okay, ora mi sistemo, faccio un po’ di soldi perché forse così trovo la felicità che sto cercando”. Ero quasi convinto che la felicità dipendesse dall’avere tante cose, sistemare la famiglia e gli amici. Poi mi sono reso conto che non era così. Ho racimolato così tanto che mi sono sentito sepolto dalle cose, ma non era quello che cercavo. Dovevo ritrovare la creatività perché avevo perso la fame, e quando cerchi qualcosa che hai perso viene fuori la rabbia. Ero arrabbiato perché avevo paura di morire artisticamente.
È stato faticoso stare lontano dai tuoi amici, dagli affetti?
Io sono di natura un po’ un lupo solitario, quindi non troppo. Stare da solo non è soltanto una cosa che mi piace, ma che ritengo necessaria. Gli artisti a volte si devono isolare, non c’è un cazzo da fare. È l’unico modo per fare i conti con se stessi, quelli che non riesci a fare quando hai tutti intorno, sei molto famoso e sei pieno di yes man che ti dicono che va tutto bene. Non va sempre tutto bene. L’isolamento poi è un discorso molto particolare, perché non dico sia una cosa bella. Non voglio che le persone dicano “voglio farlo anche io”. Io ne ho avuto bisogno per ritrovare me stesso.
I dischi migliori nascono lontano dalla grande città?
Per me è sempre stato così, ma sono anche uno a cui piace il caos. Ho vissuto 15 anni a Milano e mi ha ispirato tantissimo, ma la maggior parte delle cose belle le ho fatte in Sardegna, dove mi sono rifugiato per scrivere anche le cose che ho vissuto sulla mia pelle in città.
A proposito di città: nel ritornello di N€UROLOGIA dici “Io me ne sbatto di una cifra a sei zeri” e mi ha riportato subito a quando Fibra in Rap in vena esprimeva proprio lo stesso concetto…
È assolutamente quella cosa. Io sono uno dei figli di Fibra, oltre che di Kaos e di Primo Brown. Il ritornello di N€UROLOGIA parte da quell’idea, dal suo stesso concetto sviluppato poi in un’altra maniera. È un po’ il continuo di quel pezzo.
Kaos è per altro l’unico feat del disco.
La scelta di mettere Kaos per me era doverosa. È la persona che mi ha ispirato più di tutti: ero un ragazzino mega timido, non riuscivo a parlare con le persone. Poi un giorno ho visto in VHS un live di Neffa dove a un certo punto entrava lui e per me è cambiato tutto. È stato colui che mi ha fatto uscire dal mio guscio e mi ha fatto capire che strada prendere. Inserendolo in questo album volevo restituirgli quello che lui mi ha dato inconsapevolmente. In un momento in cui nei dischi i feat vengono inseriti per dopare gli streaming, mettere un artista che ormai ne fa pochi è una scelta in controtendenza.
Crudele è un brano molto particolare che hai detto di avere da tempo: hai deciso di farlo uscire ora perché l’ultimo pezzo della storia è arrivato recentemente o perché ti è servito del tempo per rielaborare il tutto?
In Crudele racconto la storia della mia famiglia. È un discorso molto delicato perché è una storia vera: è una canzone molto privata. Per mio padre è stato molto difficile raccontarla, e infatti lo ha fatto a pezzi, con l’ultima parte arrivata poco tempo fa. Pian piano nella mia testa ho unito i pezzi e alla fine ho completato tutto il puzzle. Avrei potuto raccontarla in qualsiasi disco ma non sarebbe stata compiuta.
E invece Mauri?
È un brano diviso in due. Nella prima strofa interpreto un amico che parla per me, come se gli avessero chiesto “Ma Mauri che fine ha fatto? Dov’è finito?” e lui risponde che probabilmente il tipo è uscito di testa e che ora vive in collina. Nella seconda strofa poi sono io che rispondo che non sono impazzito, semplicemente vivo da solo, mi faccio i cazzi miei e ho trovato il balance. Il succo del discorso di Mauri è questo: ora sono in pace, sto bene. Infatti è la chiusura del disco, che ne racchiude tutto il significato.
Gli applausi finali quindi non sono casuali.
Per niente. Tra l’altro quella è una presa diretta con una storia particolare.
Raccontami.
Quando ho fatto Mauri sono andato in California e lì ho avuto la possibilità di andare dentro una chiesa e di beccare questo coro gospel composto quasi solo donne. Abbiamo registrato il ritornello lì dentro, e quello che si sente in coda al brano è la fine della registrazione, quando lei finisce di cantare e la gente impazzisce. Si era creata un’atmosfera spirituale bellissima, di quelle che percepisci anche se non credi in Dio. Ecco, io credo negli esseri umani, perché quella situazione l’hanno creata gli esseri umani. Il tutto poi si ricollega a Titoli di coda, perché ho immaginato quasi una sorta di premiazione.
Un altro pezzo con due facce. Parti con i ringraziamenti, anche a te stesso, per poi chiudere auto-dissandoti.
Quella è l’ultima frontiera del dissing. Il rap ti dà la possibilità di uscire da un guscio e sentirti sicuro: ti dà una scarica di ego, inizi a sentirti importante, quindi ci vuole coraggio a insultarsi in maniera anche pesante, senza risparmiarsi, fa ridere un po’ se ci pensi. Il disco poi è molto serio, quindi volevo chiudere con una risata.
Che è comunque un po’ amara. Riprendi la figura di Mr. Thunder che ora è un discografico caduto in disgrazia che non ha più niente. Un’immagine piuttosto eloquente…
Esatto, è uno scherzo fino a un certo punto. Diciamo che è un finale satirico.
Ranch è il tuo disco più importante?
Non so se sia il più importante, ma credo che sia sicuramente uno dei più belli perché è molto personale. A differenza degli altri dischi dove ho guardato fuori alla finestra, per questo ho guardato dentro: a 40 anni devi capire chi sei e dove sei.
E tu cosa hai capito?
Di essere una brava persona. Ho passato tutta la vita a cercare di essere una persona dura e agli occhi degli altri quasi cattivo, ma ora basta.
Forse era anche un meccanismo di difesa?
Sì, ma penso sia un atto coraggioso il fatto di esaminarsi ed essere davvero sinceri con se stessi. Adesso sembra che cercare di essere una brava persona sia una cosa sbagliata, che faccia schifo essere buoni perché ti prendono per il culo e ti fanno i meme. E invece che bello è arrivare a dire “Ma sai che c’è? Alla fine tirando le somme sono una brava persona”? Io sono contento di questo.
Salmo sarà a Milano il 6 settembre con il Lebonski Park, dove presenterà dal vivo Ranch; da lì poi partiranno il tour nei palazzetti e il primo World Tour. Qui tutte le info.