Samuel Romano: «Per il Venezia Sounds ho cercato di creare un flusso musicale come un DJ»
Sabato 25 ottobre torna il music party a favore della ricerca oncologia e in ricordo di Tomaso Cavanna. Per l’occasione si uniranno moltissimi artisti tra cui Jovanotti

Samuel Romano (foto Alessandro Treves)
«Il tema centrale è proprio la raccolta fondi» commenta Samuel Romano, frontman dei Subsonica nonché direttore artistico del Venezia Sounds. Torna infatti l’evento di musica e intrattenimento dedicato alla ricerca oncologica, oltre che in memoria di Tomaso Cavanna, manager scomparso nel 2019. E proprio nel momento in cui verrà ricordato salirà sul palco Jovanotti, uno dei nomi più importanti della line up. Il 25 ottobre 2025, le Tese delle Nappe dell’Arsenale di Venezia si accenderanno con la nuova edizione del festival promosso dalla Fondazione Giancarlo Ligabue e dall’Associazione Medicine Rocks, con la collaborazione della Fondazione Humanitas per la Ricerca, del VIMM – Veneto Institute of Molecular Medicine, e il patrocinio della Regione del Veneto e del Comune di Venezia.
Il cartellone è molto fitto. Per citare alcuni degli artisti, ci saranno ovviamente i Subsonica, i Planet Funk, i Casino Royale, Mace, The Originals (Africa Unite & The Bluebeaters), Saturnino, Les Votives e DJ Pisti (Motel Connection). L’evento è già sold out.
L’intervista a Samuel Romano
Qual è il concept di questa edizione del Venezia Sounds?
Il tema centrale è la raccolta fondi per gli studi oncologici. Dal momento della scomparsa del di Tomaso Cavanna, si è innescata questa cosa tra me e dei suoi amici di Venezia. fondamentalmente con le persone che lo conoscevano e i musicisti con cui lui lavorava. Volevamo fare qualcosa in sua memoria e trovare il modo di riunirci tutti insieme per lui. E quindi con Medicine Rock è partita questa sorta di unione fra due cose che apparentemente vivono in ambienti completamente diversi, ma che in realtà hanno una matrice molto simile che è la creatività, l’ingegno, lo studio e la perseveranza.
Raccontaci meglio.
Il progetto è nato inizialmente a Milano. Io non ne facevo ancora parte da organizzatore. Sono stato spettatore e qualche volta ho partecipato come musicista. Però, sapendo che Tomaso era di lì, ci siamo detti: “Facciamo questa cosa a Venezia e raccogliamo i fondi”.
Ci racconti un aneddoto su Tomaso?
Con Tomaso ci eravamo conosciuti tantissimo tempo fa quando lui lavorava in Sony perché ovviamente io gravitavo all’interno delle case discografiche con i Subsonica. Capitando spesso a Milano, ci eravamo sfiorati e incontrati. Poi però abbiamo stretto una forte amicizia nel momento in cui mi sono cimentato nel progetto che si chiamava Vertical Stage, insieme ai Motel Connection, e avevamo la necessità di farlo decollare. Insieme a lui abbiamo organizzato date in tutta Italia dove salivamo sui balconi e suonavamo.
E Tomaso cosa faceva?
Era molto bello vedere come lui interagiva. Era un “uomo squadra”, uno di quelli che creava subito una specie di collante. Quando vai a suonare a casa della gente magari le persone pensano che arrivi con la chitarra e suoni la canzone. Invece, non si aspettavano che magari arrivassimo a casa loro alle 8 di mattina con i tecnici che portavano delle casse, che spostavano mobili. Quindi, c’era sempre un po’ questo attrito iniziale con i padroni di casa che ovviamente non avevano previsto tutta questa costruzione tecnica. Quando arrivavamo trovavamo sempre sul luogo Tomaso con una sigaretta in mano e un caffè che parlava con i proprietari di casa per cercare di calmarli. Generalmente ci riusciva. Era bravo in questo.
Come ti trovi nel ruolo di direttore creativo?
È un ruolo sempre molto complicato da fare, ma in questo caso è agevolato dal fatto che ci sono tutti gli artisti (e amici) che conoscevano Tomaso. C’è anche chi ne ha solo sentito parlare o chi non lo conosceva affatto ma che, dal momento in cui si racconta questa storia e la si contestualizza in un luogo bellissimo come Venezia, ne è stato rapito Il mio compito è cercare il materiale umano e musicale e tentare di incastrarlo all’interno della serata.
Ho notato che nella lineup c’è anche Jovanotti.
Lorenzo è stato una sorpresa finale. Ovviamente un artista così impegnato come lui è difficile da calendarizzare all’interno di un festival. Però lui lavora spesso a strettissimo contatto con Edy Campo, la compagna di Tomaso, e lo conosceva molto bene. Credo che anche lui si sia fatto trascinare da questo affetto e all’ultimo abbia deciso di farci questo regalo e salire con noi sul palco. Quindi in realtà è un dono da parte sua più che una mia scelta. .
Cosa vuoi comunicare attraverso la lineup che tra l’altro è molto fitta?
Mi sono concentrato molto sul tentativo di creare un suono che potesse essere fluido dall’inizio alla fine. Volevo costruire un flusso un po’ come farebbe un DJ nel mettere la musica. E così ho chiamato tutti gli artisti che in qualche modo hanno illuminato e hanno acceso un riflettore sulla musica italiana indipendente arrivando tra gli anni ‘90 e i 2000. Ci sono gli Originals che sono un mix di due band: i The Bluebeaters e gli Africa Unite. Portavano in giro questo spettacolo che racconta un po’ la musica giamaicana e di un certo periodo storico inglese degli anni ‘80-’90. Poi i Casino Royale anche loro raccontano lo stesso tipo di epoca, fatta forse con un po’ più di sperimentazione e di profondità sonora.
Ovviamente ci sono i Subsonica che sono un’evoluzione di tutto questo meccanismo più ovviamente legata alla musica pop. I Planet Funk, anche loro un ulteriore sviluppo di un circuito dance. Mace sarà in chiusura. Lui è l’elemento più giovane nel senso che è quello che ha meno anni di servizio sul palco, però è uno che ha sempre lavorato all’interno della musica underground, che ha sempre prodotto musica e che ha sempre fatto ballare le persone. Il finale sarà dedicato lui che chiuderà questo viaggio.
Oltre che curatore sarai anche performer con i Subsonica. Cosa puoi anticiparci?
Allora, per quanto riguarda i Subsonica, non lo so perché ho le prove fra qualche ora (ride, ndr). Però ecco, in contesti del genere in cui hai a disposizione una mezz’ora e comunque hai un range abbastanza limitato, non puoi esprimerti sul lungo. Diciamo che tutti quanti, credo, daranno un po’ fondo al loro carattere, al loro DNA. Ci sarà da ballare.
Che rapporto c’è tra il Venezia Sounds e il suo territorio, essendo un evento che dialoga molto con la città e i suoi spazi.
A Venezia qualsiasi cosa fai devi dialogare con la città perché sennò affoghi. Quindi è un luogo molto particolare che impone delle difficoltà proprio architettoniche. Ci deve essere il beneplacito dei veneziani e della città altrimenti è una fatica. Però la maggior parte degli organizzatori sono qua da un po’, soprattutto quello centrale di Inti Ligabue che si aggancia alla parte di impegno economico ed è proprio veneziano. Ci apre le porte e ci dà la possibilità di entrare e portare la musica in città che a questi livelli mancava da un po’. Quindi è una specie di ritorno.
Durante l’anno, soprattutto nei mesi invernali, quelli un po’ più distanti dagli eventi tipo la biennale, il Carnevale o la mostra del cinema, la città un po’ si assopisce. Riuscire a portare vitalità consegna ai veneziani anche la possibilità di sentirsi cittadini di una città vera e non solo solo magari comprimari di una città che ormai si è data un po’ tanto al turismo.
Il pubblico sarà parte integrante della lineup.
Certo. Il pubblico è l’elemento fondamentale per un concerto. Senza pubblico, il concerto non esiste. Lo scorso anno avevamo delle disposizioni un po’ più limitate. Quest’anno, ci hanno dato la possibilità di far entrare molte più persone. Sarà uno spettacolo ancora più coinvolgente.
Cosa ti auguri per questa edizione?
Mi auguro che questa cosa che stiamo cercando di fare diventi un appuntamento regolare, costante negli anni. Un po’ perché ormai Venezia insieme a Torino è la mia città. E poi perché si stanno facendo tante cose importanti con la ricerca. Tra l’altro sul palco si racconteranno proprio quali sono queste evoluzioni raggiunte grazie anche ai soldi che guadagniamo con l’evento. In un momento storico come questo in cui il denaro è evidentemente un meccanismo di controllo di potere, di guerra e di devastazione, trovare il modo di trasformarlo in qualcosa di buono e positivo dà speranza.