Per i Santi Francesi è tutto infintamente più grande: l’intervista
Questo venerdì esce l’EP “Potrebbe non avere peso”. Alessandro e Mario, in un dialogo interno tra speranza e paura, hanno scritto sei brani che si interrogano sul futuro, con la consapevolezza che non siamo altro che un puntino dell’enorme quadro dell’universo
Nella foto che fa da copertina alla nuova fatica discografica dei Santi Francesi è un ritratto in studio in bianco e nero, in cui Mario e Alessandro sono insieme nella stessa stanza, ma l’effetto ottico dello specchio dà l’impressione che siano in due luoghi diversi. Un’immagine che rende l’idea del dialogo musicale e lirico che unisce e allo stesso tempo separa i due componenti del gruppo. Dopo il Festival di Sanremo, i Santi Francesi avrebbero potuto sfruttare il momento per pubblicare nuova musica e invece hanno scelto di prendersi del tempo. Potrebbe non avere peso è un EP di sei canzoni e un ritorno alle origini, oltre che nell’attitudine anche nel suono.
Come ci avevano già anticipato prima di approdare all’Ariston, Alessandro e Mario non sapevano cosa avevano tra le mani: un album o un progetto più breve? Alla fine, si sono ritrovati in una casa adattata a studio con Davide Buono, il batterista che componeva con loro il trio The Jab. Le chitarre rock e il sound anni Duemila fanno da contorno al loro caratteristico stile di scrittura «verso l’interno» che nella titletrack si trasforma addirittura in un dialogo. I Santi Francesi, a metà strada tra un sentimento di paura e speranza, parlano di loro stessi e di ciò che li smuove, di «ciò che è morto e nato di fianco».
C’entra la carriera, ma non solo. Per Alessandro e Mario la musica ha un peso, ma potrebbe non averlo per gli altri, perché in fin dei conti non siamo altro che degli infinitesimi nell’universo. E allora il ruolo dell’ascoltatore e di chi paga il biglietto per vederli in concerto (dal 20 novembre parte il loro Club Tour) è ancora più importante e per certi versi salvifico. Sentire un disco, un’EP o una canzone, è prima di tutto un romantico atto di fiducia: una speranza e una paura.
L’intervista ai Santi Francesi
Cos’è cambiato dopo Sanremo?
Alessandro: Dopo Sanremo non è cambiato moltissimo in realtà. Alla fine, l’esperienza che ha effettivamente cambiato materialmente di più la nostra vita, per ora, è stata X Factor. È stata la prima che ci ha permesso effettivamente di fare della musica il nostro lavoro. Il Festival per noi è stato molto bello e un’esperienza super positiva. L’abbiamo vissuto bene sia mentre eravamo lì che a livello di risultato finale.
Mario: Sanremo ti dà una bella botta, ma per un paio di settimane in cui effettivamente sei molto ascoltato. Poi si ritorna al mondo al mondo normale. Ed è passato così tanto tempo, Secondo me per più ragioni, semplicemente per il fatto che in generale noi non siamo mai stati particolarmente frettolosi.
Come mai avete aspettato tutto questo tempo per un nuovo progetto? Di solito tutti cercano di sfruttare l’onda.
A: Sì, è vero. È passato tanto tempo in cui abbiamo fatto uscire solo un singolo (tutta vera n.d.r.). Secondo me per più ragioni. In primis che noi non siamo mai stati particolarmente frettolosi. L’idea era di raggruppare una serie di canzoni in un progetto più grande che per noi doveva essere un album in partenza. Però è anche vero che negli ultimi anni gli album, discograficamente parlando, non vanno benissimo e si tende sempre più spesso a uscire con i singoli. Quindi ci siamo detti: “Cosa c’è tra il singolo e l’album? L’EP”.
M: Siamo giunti a questo compromesso per poter avere dei pezzi nuovi su cui divertirci, in vista anche del tour in partenza che era già stato fissato in precedenza dopo il Festival. Quindi serviva per forza dare qualcosa di nuovo anche alle persone che ci verrano a sentire.
Siete tornati a lavorare come agli inizi, col vostro vecchio batterista Davide Buono. Com’è stato questo ritorno alle origini?
M: Siamo tornati un po’ indietro, non tanto per la formazione, perché di base comunque rimaniamo io e Ale, ma per il lavoro in studio. Ci siamo chiusi per una settimana in questa casa come sei anni fa. Abbiamo lavorato con lo stesso approccio del primo album, quando eravamo ancora un trio ufficiale. Ci siamo portati gli strumenti, un computer e abbiamo suonato.
A: Il suono rock anni Duemila, improntato più sull’esperienza dal vivo, era quello che ci mancava di più. Volevamo tornare un po’ divertirci e a suonare quegli strumenti che avevamo un po’ accantonato negli ultimi tempi.
Come porterete dal vivo questi nuovi brani?
M: Avremo un componente in più, Domiziano Luisetti, un ragazzo di Torino che abbiamo conosciuto durante il nostro ultimo tour. Per il suono che ha Potrebbe non avere peso era necessaria una chitarra in più.
Non solo nel primo singolo estratto Ho paura di tutto, in questo disco parlate molto di paura. In che modo vi ispira?
A: È sicuramente un sentimento potentissimo e molto pericoloso, però nel momento in cui riesci a canalizzarla e la sfrutti nel modo giusto, ti rendi conto che serve. Esiste anche la paura delle cose positive: in Cose da piangere c’è un verso in cui canto Paura che tu sei come me. In tutte le nostre nuove canzoni si avverte questo senso di precarietà, quel sentimento di pressione che proviamo noi come artisti, ma che credo sentano anche molti ventenni e trentenni. Oggi un ragazzo giovane, se guarda al futuro, non sa cosa potrà succedere. È un tema ricorrente di cui ci siamo accorti a conti fatti. Le nostre canzoni vengono da momenti e luoghi diversi e forse si sono unificate per il fatto che scriviamo sempre verso l’interno. Raccontiamo delle cose intime, veramente piccole.
Gran parte dei testi in fatti hanno i verbi al tempo futuro. Si potrebbe parlare di un EP al futuro.
A: Sì, è come se fosse tutta una grande promessa. Sia nei brani più personali come Potrebbe non avere peso, che in quelli più romantici. Anche in questo caso non ce ne siamo resi conto. Eppure, se lo si nota dalla scrittura spontanea, vuol dire forse che da qualche parte coviamo un sentimento di speranza. Una fiducia nell’essere umano in quanto tale.
Quindi avete più paura o speranza nel futuro?
A: Sì dai. Siamo presi male, ma non troppo (ride n.d.r.).
Hai citato Potrebbe non avere peso, è il brano più autobiografico che abbiate mai scritto?
A: Sì ed è l’unica canzone tra le sei che è un dialogo fra noi due. Nelle nostre canzoni spesso c’è un tu esterno, in questo caso siamo io e Mario che parliamo di nostre suggestioni e cerchiamo delle risposte ai nostri dubbi. Sono cose che ci suonano perfette, forse solo a noi, ed è come se arrivassero dritte al sentimento che devono stimolare. Sono delle domande aperte che ci poniamo e una conversazione che non tira le somme di niente. Alla fine, non c’è una risposta e la sensazione è quella che dà il titolo all’EP: quello che facciamo potrebbe non toccarti e non avere peso per te. Quindi ascoltarci diventa anche un atto di fiducia. Ma, al di là di tutto, come cantiamo, “Tutto è infinitamente più grande di te”, per cui calma.
Cioè?
A: Quel verso fa riferimento al nostro rapporto col mondo empirico ed è stato ispirato dal documentario L’infinito esiste. La sensazione di sentirsi piccoli e poco importanti nell’immenso quadro del pianeta Terra. Se ci pensi, di quello che facciamo nulla ha veramente un peso così grande. Il senso non è pessimista, ma è più la consapevolezza che non abbiamo tutta questa responsabilità sulle spalle e qualche volta si può anche rallentare.
M: “Tutto infinitamente più grande di te” non vuol dire che sei piccolo e non vali niente. Vuol dire stai tranquillo, non ti preoccupare. E siamo sempre noi due a dircelo. Per noi è una sensazione meravigliosa, soprattutto perché quando ti fai questi trip ti rendi conto che in realtà siamo testimoni di una di una roba pazzesca. Siamo vivi in una palla che fluttua nell’universo e siamo testimoni di un sacco di cose meravigliose.
Cosa vi è morto di fianco e cosa vi è nato di fianco?
A: È difficile spiegarlo. Il senso letterale di quel verso può trarre in inganno. Per me ha sempre simboleggiato l’immobilismo che spesso, purtroppo, ci è capitato anche di vivere in questi anni di carriera. La sensazione che ti stia esplodendo il mondo intorno e tu sei lì calmo come uno spettatore. E questo mi porta a chiedermi che tipo di spettatore io sia. Sei spettatore perché sei più maturo e hai capito dove devi stare? O perché invece non stai sentendo bene quello che dovresti sentire? Ed è questa la vera domanda aperta di cui ti parlavo prima. Non c’è la risposta nel brano e non c’è neppure la risposta nella nostra vita privata.
Il Club Tour 2024
- 20 novembre | Venaria Reale (TO) – Teatro della Concordia
- 23 novembre | Padova – Hall
- 26 novembre | Firenze – Viper Theatre
- 29 novembre | Bologna – Estragon
- 03 dicembre | Molfetta (BA) – Eremo Club
- 05 dicembre | Napoli – Casa della Musica
- 10 dicembre | Milano – Fabrique
- 13 dicembre | Roma – Atlantico