Interviste

Una lettera d’amore all’Italia: Jeymes Samuel racconta la sua “Spaghetti Western Collection”  

Il regista, produttore musicale (The Bullitts) ha scandagliato l’enorme catalogo di CAM Sugar per realizzare una raccolta su vinile delle sue musiche preferite. Fuori il 20 giugno

  • Il13 Giugno 2025
Una lettera d’amore all’Italia: Jeymes Samuel racconta la sua “Spaghetti Western Collection”  

Ci sono giorni in cui fare un’intervista è complicato. Quella con Jeymes Samuel, aka The Bullitts, curatore della Spaghetti Western Collection del catalogo CAM Sugar, cadeva proprio in uno di quelli. Perché anche i giornalisti, a volte, per fare domande devono diventare attori e mettere in pratica lo stesso meccanismo di mascheramento in cui tanti artisti sono ormai dei maestri. Iniziano le domande e il loro cattivo umore scompare. Rimane però una patina, una sorta di cataratta che tu, che sei dall’altro lato, devi cercare di squarciare a poco a poco. 

Quando è iniziata la chiamata Zoom con Jeymes, in collegamento da Los Angeles, il suo sorriso, una sua battuta e il suo essere un fiume in piena già nei primi cinque secondi, mi ha spiazzato. È stata la prima volta in cui l’artista e l’uomo che avevo difronte mi costringeva a sfilare la maschera. Parlare con lui è diventato liberatorio. La scaletta delle domande è diventata inutile e alla fine della chiacchierata, mi sono comunque reso conto che avevamo parlato di tutto quello che serviva: delle differenze tra il western italiano e quello statunitense, dei cowboy neri, delle musiche di Morricone, Umiliani, Corbucci, Bianchini e ovviamente del suo lavoro che non può fare a meno di mescolare musica e immagini.

E quando gli ho chiesto del pezzo inedito, The Light, che ha inserito nel vinile, me l’ha fatto ascoltare in anteprima. Ma non da uno stereo o un file sul cellulare: dal vivo a cappella. Andiamo però con ordine: che cos’è Jeymes Samuel’s Spaghetti Western Collection?

Il regista e musicista britannico è stato contattato da CAM Sugar per realizzare una raccolta che includesse alcuni tra i brani “dimenticati” e più rappresentativi del genere cinematografico che ha segnato gli anni Sessanta e Settanta. L’artista, che ha debuttato nel 2021 con il suo primo film The Harder They Fall, e che già in passato più volte aveva lavorato come supervisor musicale  – ne Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann, per esempio – si è ritrovato davanti a una miriade di composizioni tra cui scegliere. Alcune gli hanno risvegliato dei ricordi d’infanzia, altre le ha scoperte per la prima volta.

Il risultato finale sono venti tracce che, nella versione deluxe diventano ventiquattro. Ci sono l’inedito, in due versioni, e la strumentale Unbroken con una poesia recitata da Regina King – «una delle voci più incredibili del cinema» – caratterizzata da un sample misterioso che gli ascoltatori dovranno indovinare. Jeymes ha anche curato l’artwork del vinile disegnando la grafica. Un lavoro impegnativo e difficilissimo che l’ha distratto dal cortometraggio che sta girando con Kid Cudi e Lakeith Stanfield: «Tutti conoscono Lakeith come attore, ma musicalmente è un genio».

L’intervista a Jeymes Samuel

Nel tuo caso vale quasi il contrario. Hai iniziato con la musica e ora sei più impegnato nel cinema.
Ho sempre fatto musica e film contemporaneamente. È solo che il mondo mi ha conosciuto prima per le canzoni. Da bambino, quando avevo sette anni, avevo una Super 8 e giravo dei piccoli corti in 35 millimetri. Per questo motivo non considero The Harder They Fall un debutto. Ho lavorato per quindici anni a quel progetto e mi sentivo come se avessi già girato più di cento film.

The Harder They Fall ha, in qualche modo, riacceso l’attenzione sul personaggio del black cowboy che, anche grazie alla rinascita del country, sta tornando centrale nel discorso filmico.
Sono d’accordo e in quel senso mi sono proprio ispirato agli Spaghetti Western. L’American Western non ha mai reso omaggio ai black cowboys, ha sempre rappresentato le persone di colore come schiavi. Nei film di Sergio Corbucci o Sergio Leone i neri erano protagonisti senza necessariamente essere delle figure sottomesse e questa per me è stata una grande fonte d’ispirazione. Senza le opere italiane probabilmente non sarei diventato un regista.

Quando hai visto per la prima volta uno Spaghetti Western e come ti sei appassionato al genere?
Avevo probabilmente sei o sette anni. Mi ricordo che mio padre aveva cucinato dei crumpets. Sono dei muffin soffici molto tipici in Inghilterra. Io ne chiesi uno in più e lui mi urlò contro scherzando e dicendo che ero un ingordo. Io lo presi sul serio e ci rimasi molto male. Quando uscì di casa mi misi a guardare la tv con mia madre e casualmente passavano Lo chiamavano trinità con Bud Spencer e Terence Hill. Mi sono perso dentro quel film e di colpo non ero più triste. Quando poi mio padre è tornato a casa io ero ancora arrabbiato con lui, non volevo parlargli e lui mi chiese scusa abbracciandomi e baciandomi sulla fronte. Due anni dopo se n’è andato e quindi quel film per me è un ricordo molto forte che mi trasmette sensazioni contrastanti. Le mie proteste e l’affetto di mio padre.

Quindi, per certi versi, gli Spaghetti Western rappresentano una connessione con la tua infanzia.
Sì, è un modo davvero assurdo di descrivere ciò che quei film hanno significato per me. C’è il desiderio e la tristezza. Gli spaghetti western mi hanno reso libero. E, ripensandoci, probabilmente quel giorno mio padre non mi urlò neppure contro, ma è tutto frutto di una rilettura della mia memoria infantile. Perché volevo a tutti i costi un altro crumpet, ma in casa eravamo in cinque bambini.

Come hai iniziato a lavorare alla compilation?
Mi ha contattato CAM Sugar e quando ho ricevuto quella proposta non potevo crederci e, senza nemmeno sapere nello specifico come avrebbe dovuto essere il vinile, ho detto sì. Sono sempre stato un grande appassionato del loro catalogo. Ci sono tutte le colonne sonore degli Spaghetti Western. Ogni fan del genere conosce l’etichetta.

Hai seguito una linea specifica nella selezione dei brani? Dev’essere stato complicato.
Oh, difficilissimo. Erano più di duemila canzoni.La regola che ho seguito è stata dettata dai miei sentimenti e dalle sensazioni che mi trasmettevano.Ho individuato circa venti possibili stati d’animo da rappresentare: compassione, frustrazione, stress, rabbia, gioia, romanticismo. E per ogni emozione ho scelto le mie tre tracce preferite. Da lì ho fatto un’ulteriore selezione. Sai, è come quando ti chiedono il tuo film preferito, è impossibile rispondere. A seconda del giorno e del mio umore cambia. Oggi potrei dirti Il grande silenzio di Sergio Corbucci, domani Per qualche dollaro in più di Sergio Leone.

Ti ha aiutato in questo senso aver già lavora come music conultant in passato, per esempio con Baz Luhrmann per Il grande Gatsby?
Sì, sicuramente, è qualcosa di simile. Devi passare in rassegna una marea di musica, di canzoni e di artisti e devi scegliere ciò che è più adatto e che meglio rappresenta il progetto al quale stai lavorando. Poi nel caso di CAM Sugar mi sono spinto anche oltre perché non volevo che fosse solamente una compilation di un appassionato. Per me è una lettera d’amore allo Spaghetti Western e infatti ho voluto disegnare anche la copertina del vinile.

Hai anche scritto un brano inedito, The Light.
Quel brano l’ho scritto da bambino ed è una canzone alla quale tengo molto. Volevo inserirla in The Harder They Fall, ma era talmente personale che alla fine ho cambiato idea. È un brano che parla di morte ed è ispirato a ciò che vedevo accadere ogni giorno nella periferia di Londra dove abitavo. La gente moriva ogni giorno per strada, tanti miei amici, con sparatorie e risse. Per questo l’atmosfera è molto western. Io ho interpretato la morte come un ritorno alla luce. Molti registi me l’hanno chiesta e io puntualmente rifiutavo e piuttosto ne scrivevo un’altra attorno a quel riff. Quando mi è stato proposto questo progetto ho scelto di inserirla e adesso sarà anche nel mio prossimo film western.

E di tutti i compositori, ce n’è qualcuno che ti ha ispirato particolarmente e che ha influenzato il tuo modo di fare musica?
Il primo che mi viene in mente è ovviamente Ennio Morricone, in particolare con Gringo Like Me da Duello nel Texas. Pensa che durante le riprese di Book of Clarence a Matera lo mettevo sempre in sottofondo sul set. E poi That Man di Gianni Ferrio. (La fa partire sul cellulare, n.d.r.) e Hey Amigo…You’re Dead. Sono tutti brani che potrebbero essere stati scritti oggi. Quando le ascolti è come se il tempo non fosse passato e una delle differenze principali tra il western americano e quello italiano è proprio in questo. La musica per l’American Western era solo un mero accompagnamento, per gli Spaghetti invece è come se fosse un personaggio. Gli italiani mi hanno davvero insegnato come si fa un film perché si sono saputi reinventare con dei budget molto più piccoli rispetto a quelli statunitensi.

Che rapporto hai con la lingua italiana, invece? Perché molti di questi brani sono cantati in italiano.
La cosa bella dell’italiano è che anche se non lo parlo quasi per nulla, spesso riesco a capire il sentimento dietro alle parole. Insieme allo Yoruba, una lingua nigeriana, è il linguaggio più musicale conosco. Quando parlate create una melodia. E col tempo ho imparato a intercettarla, soprattutto guardando gli Spaghetti Western con i sottotitoli. Il tono in cui uno dice: “Hey Gringo!” è qualcosa di inimitabile. La cultura del vostro Paese ha donato tantissimo a tutto il mondo.

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