Stufish: dai palchi degli Stones alla Cappella Sistina – Intervista
Stufish nasce già nel lontano 1977, creata dall’architetto Mark Fisher. In oltre 40 anni di attività ha realizzato alcuni dei più grandi palchi mai prodotti: a loro si affidano U2, Rolling Stones, Madonna e decine di altri quando si tratta di ideare e realizzare la confezione scenica dei loro tour
Alla fine quello che conta è sempre l’esperienza dello spettatore, del fan. Ma dietro a questo dato di fatto c’è una quantità di lavoro, tecnologie, risorse umane altissima. E no, non bisogna pensare solo ai musicisti e alla loro crew (quella fatta di backliner che si prendono cura di tutta la strumentazione sul palco, dei tecnici del suono, dei vari manager e tour manager), non bisogna pensare solo alla musica, per quanto resti lei la protagonista numero uno. Una componente fondamentale è quella che si occupa di disegnare i palchi. Anzi: disegnare i palchi è decisamente troppo riduttiva come definizione.
In occasione dell’ambizioso spettacolo multimediale Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel prodotto da Marco Balich e in scena all’Auditorium della Conciliazione di Roma, abbiamo voluto incontrare chi questo spettacolo ha contribuito a realizzarlo, progettando in team con Balich l’aspetto scenico (semplicistico infatti parlare di semplice palco). Non è un nome da nulla: Stufish è una realtà che nasce già nel lontano 1977, creata dall’architetto Mark Fisher.
In quarant’anni di attività ha realizzato alcuni dei più grandi palchi mai prodotti ed è, semplicemente, uno dei principali attori del settore a livello mondiale. A loro si affidano U2, Rolling Stones, Madonna e decine di altri quando si tratta di ideare e realizzare la confezione scenica dei loro tour. A loro ci si rivolge anche per progetti speciali legati al mondo della moda o del teatro. Ne abbiamo parlato con Alicia Tkacz, uno degli architetti dello studio.
Come è nata questa collaborazione tra Stufish e Giudizio Universale?
Stufish negli ultimi anni si è trovata spesso e volentieri a collaborare con Marco Balich. Si è instaurato un bel clima di fiducia e collaborazione. Questo progetto poi è molto particolare, prepararlo è stato anche emozionante: siamo arrivati a Roma per la prima volta già più di un anno fa per fare i sopralluoghi alla venue – l’Auditorium della Conciliazione – ma ancora di più per visitare la Cappella Sistina in modo molto approfondito, per da capire perfettamente lo spirito e la portata di questo progetto.
Quali sono state le sfide tecniche più impegnative in sede di ideazione?
L’Auditorium della Conciliazione è una struttura abbastanza vecchia e anche molto sensibile. Abbiamo dovuto lavorare molto dal punto di vista ingegneristico perché non era possibile attaccare o aggiungere nessuna struttura pesante all’interno dell’Auditorium. Le limitazioni in tal senso erano ferree. La prima cosa che abbiamo fatto è stata creare una stampa in 3D della sala per capire come poter intervenire e ragionarci sopra.
Ci sono stati dei momenti in cui avete pensato che la situazione rischiava di essere troppo complicata e inaffrontabile?
Il risultato finale ha un aspetto relativamente semplice, ma posso assicurare che ricoprire gli spettatori con un telo disposto sopra e attorno a loro lungo una trentina di metri – senza poter avere dei particolari ancoraggi al soffitto e dovendo mantenere le angolature giuste per permettere proiezioni con una definizione altissima – non è semplice.
Non credo abbiate paura delle sfide difficili. Quali sono i progetti a cui Stufish sta lavorando adesso, a parte il Giudizio Universale?
Sono tantissimi. Per citare i due più grandi, U2 e Rolling Stones.
I Rolling Stones sono veramente eterni…
Per dare un’idea, il materiale per lo show degli Stones implica la movimentazione di cinquantanove tir. Il solo palco misura complessivamente 1600 metri quadri. La superficie complessiva degli schermi led è 915 metri quadri, per un totale di quasi sei milioni di screen pixel. Complessivamente stiamo parlando di quindici tonnellate per l’equipaggiamento audio, quasi dieci tonnellate per quello relativo alle luci, trentasei tonnellate per gli schermi led. E consideriamo che il loro show, su stessa richiesta degli artisti, è apparentemente abbastanza semplice ed essenziale. Anche se ovviamente grandioso: non potrebbe essere altrimenti.
E per quanto riguarda gli U2?
In quel caso la sfida è stata anche artistica: il tour attuale è una riedizione – rimodernizzata, ampliata – del tour di trent’anni fa legato a The Joshua Tree. Il segno caratterizzante è il più grande schermo led ad alta definizione mai utilizzato per un tour (le dimensioni sono sessanta metri per dodici, più o meno). Tutte le strutture a cui sono appesi luci e impianti audio sono state appositamente realizzate, anche strategicamente, per non disturbare in alcun modo la visuale di questo schermo led. Complessivamente parliamo di quasi cento tonnellate di materiale, trasportate da trentaquattro tir.
Per consentire la continuità degli show, senza essere costretti a farne uno al mese, so che questi palchi per tour di questa dimensione e importanza vengono costruiti spesso in duplice copia: mentre uno è in funzione per un concerto, l’altro è già in viaggio verso la prossima data.
Esatto. Nel caso degli U2 i palchi sono addirittura tre. In effetti un aspetto cruciale del nostro lavoro non è solo e non è tanto il disegno dei palchi e delle luci, ma anche quanto tempo sia necessario per montaggio e smontaggio e quanti mezzi di trasporto vanno coinvolti. Infatti la dialettica con gli artisti è sempre particolare: loro tendono a pensare, anche giustamente, solo al risultato finale, a quanto sia fedele alla loro visione e intuizione originaria. Noi invece li dobbiamo ricondurre alla ragione, mettendoli di fronte ai limiti tecnici e logistici che si possono incontrare. È una sfida continua.
Stufish ha più di quarant’anni di esperienza. Quanto è cambiato lo stage design col passare del tempo?
Lo stage design poco, in realtà, ma la tecnologia ad esso connessa tanto. Ecco perché per noi è vitale avere un rapporto costante e privilegiato coi fornitori migliori. Il segreto è lì.
Una novità degli ultimi anni comunque è il sempre maggiore ricorso a palchi centrali, soprattutto per quanto riguarda i concerti più grandi.
Questo è un aspetto interessante. Molti artisti da un lato vogliono stare in mezzo alla gente, ma dall’altro si trovano contemporaneamente ad esserne preoccupati, ad averne quasi paura: si tratta di uscire dalla propria comfort zone di anni e anni di abitudine a lavorare con una disposizione del palco tradizionale. A noi questa soluzione piace. Anche se implica molti problemi pratici per quanto riguarda una corretta gestione dell’audio e delle luci.
Qual è la tua opinione sulla nuova generazione di live set? Quella più legata al mondo dell’EDM e della musica elettronica di largo consumo, dove c’è una grande spettacolarizzazione di elementi quali luci e fuochi d’artificio e meno attenzione per quello che accade sul palco.
(Sorride, ndr) Quando crei un palco, non lo crei per te stesso ma per il pubblico. Se palchi di questo genere e con questo tipo di impostazione incontrano i gusti degli spettatori di quegli eventi, bene, allora vuol dire che sono perfetti! Certo, se chiedi a me continuo a preferire le cose un po’ più old school legate al rock. La mia emozione più grande resta aver lavorato al ritorno di The Wall di Roger Waters. Del resto, la storia di Stufish nasce praticamente coi Pink Floyd. Tutto torna.