Interviste

Tom Rowlands e M – La musica del secolo

Con il musicista – metà dei grandi Chemical Brothers – abbiamo parlato di come sia nata questa speciale collaborazione con il regista Joe Wright, amico di lunga data del duo, e della lettura del libro di Antonio Scurati. Anche perché (forse non molti lo sanno), Rowland è un grande appassionato di storia

Autore Tommaso Toma
  • Il10 Gennaio 2025
Tom Rowlands e M – La musica del secolo

Foto di Hamish Brown

La musica dei Chemical Brothers è sempre stata amata dal cinema e dai videogiochi sin dagli esordi, quando nel 1995 la mitica Chemical Beats finì sul gioco Wipeout per la PlayStation. L’ultima gustosissima apparizione è nel film per bambini Sonic 3, dove Galvanize è perfetta in una scena con Jim Carrey che balla tra i raggi laser (spoiler 1). Ma Tom Rowlands ha già lavorato su commissione per alcuni registi come Darren Aronofsky per Black Swan e lo stesso Wright, per una produzione teatrale e per il film Hanna, in quest’ultimo caso in coppia con Ed Simons (l’altra metà dei Chemical Brothers).

Foto di Hamish Brown

Ma questa nuova avventura è stata davvero una sfida. Anzi, con la solita ironia anglosassone Tom ha definito quasi un atto intimidatorio l’aver ricevuto dal regista Joe Wright (che da sempre ha una passione per il periodo fra le due guerre mondiali) il compito di musicare la nuova serie Sky Original M – Il Figlio del Secolo, dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati che da oggi è in esclusiva su Sky (e in streaming solo su NOW). Com’è noto, la serie racconta la nascita del fascismo in Italia e l’ascesa al potere di Benito Mussolini. La sfida è stata vinta, perché le tracce con il tocco in stile Chemical Brothers amplificano perfettamente le scene piene di pathos e talvolta tragiche (spoiler 2). La parola passa a Tom.

Foto di Hamish Brown

L’intervista a Tom Rowlands

Lavorare con Joe Wright sembra essere diventata una prassi consolidata.
Vero! Io ed Ed avevamo lavorato assieme per il suo film Hanna e poi io ho composto per Joe le musiche di accompagnamento per il suo adattamento della celebre pièce teatrale di Bertolt Brecht Vita di Galileo, esperienza che mi è molto piaciuta. Mi piace lavorare con Joe. Me lo ricordo ancora quando ci seguiva nei nostri primi importanti tour, eravamo tutti e tre ragazzi… (ride, ndr). Ma ora è diventato un grande regista, e di punto in bianco un giorno mi ha spedito M, il libro di Antonio Scurati.

Sin dalle prime pagine ero rapito, è un libro fantastico! Io ho studiato storia all’università e mi sono accorto subito che questo gesto di Joe di offrirmi questa lettura era una vera e propria sfida, perché M non solo è un libro bello voluminoso ma soprattutto denso e profondo. In più io sono sempre stato attratto alla storia di quel periodo.

Così per te è stato più facile sentirti coinvolto nel progetto?
Sì, ma potrei anche dire che farmi leggere M – Il figlio del secolo era anche una sorta di atto intimidatorio. Primo, perché io non ho mai lavorato su un testo che si occupa di un preciso evento storico. Secondo, l’avvento del fascismo e la figura di Mussolini non sono certamente argomenti storici facili da affrontare. Comporre questa colonna sonora è stato un compito serio e difficile. Ti confido che ero molto emozionato all’idea di affrontare una sfida così diversa dalle mie precedenti e per un progetto che partiva da un libro così potente.

Le composizioni che hai creato per la serie mi paiono molto precise nel commentare le scene in cui vengono inserite. Mi domando se però tu abbia cominciato a lavorare sul sonoro già prima del girato.
Esatto. Io e Joe Wright abbiamo cominciato a parlare di idee e temi musicali con in mano solo la sceneggiatura. È stato un lungo processo di idee, oltretutto interagivo con una persona che è anche un vero amico oltre ad essere un grande talento. Ho cercato di dar forma alle sue idee, perché questa serie è frutto della sua visione.

Ho spesso percepito commenti sonori molto ritmici – molto alla Chemical Brothers – e non tante melodie. O meglio, non ho sentito sviluppi armonici chiari e distesi: immagino riflettano il periodo storico a cui viene associata questa colonna sonora.
Ci sono melodie! Ma sono un po’ contorte, non sono mai ovvie. In effetti il main theme si regge tutto su un ritmo preciso e costante.

È un tema sonoro che si avvicina al suono delle marce fasciste ma riprende anche le nobili idee del futurismo?
Ovviamente io e Joe abbiamo discusso della differenza e della relazione tra rumore e musica che era un tema caro ai futuristi. Sicuramente non avrei mai associato un movimento sonoro “floreale” all’avvento del fascismo!

Penso a una cosa curiosa a proposito della musica che si basa su un ritmo costante e veloce. In Italia, soprattutto negli anni ’90, la musica techno era spesso definita come musica di destra: curioso, no?
Sì, ma non assocerei mai la musica sviluppata per M – Il figlio del secolo alla techno. Io ho una visione molto precisa di cosa sia per me la musica techno.

Ovvero?
Per me la techno è sinonimo di Detroit e dei suoi eroi musicali in quella scena. Intendo gente come Kevin Saunderson, Juan Atkins. Sono cosciente che oggi la musica techno rimandi ad altri scenari, ma permettimi di essere un purista, in questo caso. E sono riconoscente a quel periodo musicale come a tutta quella musica prodotta dalle macchine a fine anni ’80, perché sono stati input, suggestioni musicali fondamentali per me, per la mia crescita all’epoca.  

Dalla musica meccanica a quella organica. Hai dichiarato che parte della colonna sonora è stata fatta facendo interagire vecchi strumenti acustici con l’elettronica moderna.
Vero, ho elaborato un sistema nel mio studio dove posso avere il controllo totale di tutte le informazioni che ricevo nel far interagire la mia tecnologia con strumenti tradizionali come archi e pianoforte. Quello che stavamo descrivendo musicalmente era un certo passato realmente accaduto. Quando ho incontrato Antonio Scurati era assolutamente d’accordo su questo processo creativo. Come sul fatto che per M tutta l’elettronica moderna è stata utilizzata per raccontare non un mondo immaginario ma fatti storici. I brani commentano spesso parole uscite dai reali discorsi di Mussolini.

Le tracce a volte sono commenti molto brevi. È stato difficile lavorarci?
Sì, anche quella è stata davvero una sfida. Ma per questo mi piace lavorare sulle colonne sonore: è un processo molto diverso. Mi intriga anche il riuscire a commentare il cambiamento di emozioni durante una scena: si può tranquillamente passare in pochi istanti da un senso di calma a uno di terrore. Mentre in una canzone spesso cerchi di creare un solo tipo di emozione o sentimento.

A proposito, ho l’impressione che nella seconda parte della serie la musica diventi sempre più drammatica, come lo sono stati gli eventi storici.
Ho cercato di descrivere musicalmente un periodo storico molto complesso dove un leader conquista il popolo – parte della popolazione trovava Mussolini anche un uomo divertente – e arriva poi al controllo totale dello stato italiano dopo l’uccisione di Matteotti. E ho anche cercato di trasmettere la visione del regista e dello scrittore: spero di averlo fatto coerentemente con le loro due visioni.

Sono assolutamente curioso di sapere cosa pensi di questa reunion degli Oasis.
Sono sincero: è pazzesco! Sai, i miei figli e i loro amici sono davvero disperati alla ricerca di un biglietto perché quella è una generazione che non ha mai visto sullo stesso palco i fratelli Gallagher insieme. Liam e Noel li conosco da anni, sono andato tante volte ai loro concerti ed è sempre stato bello esserci, ma stavolta il livello di isteria raggiunto per accaparrarsi un biglietto qui in Gran Bretagna è davvero una cosa incredibile. A proposito di gente di Manchester, i miei figli vorrebbero che si riunissero anche i The Smiths!

Quali dischi degli Oasis ami di più?
Qualunque età tu abbia, anche solo 17 anni, Definitely Maybe rimane un album incredibile. Ascoltandolo è come se le canzoni ti parlassero direttamente. Sono sicuro che questo effetto s’innesca anche nelle nuove generazioni. Ma anche il secondo album non è niente male. Sono i loro due capolavori.

Tom Rowlands in azione come DJ senza il suo sodale Ed, all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia per l’afterparty di M – il figlio del secolo, foto di Riccardo Ghilardi

A proposito di anni ’90, devo confidarti che nel 1995 ero un assiduo frequentatore delle vostre mitiche serate Heavenly Sunday Social nel seminterrato dello storico pub londinese Albany.
Wow! Davvero?

Sì, la vostra selezione m’illuminò e decisi anch’io di diventare un DJ che mescolava indie con un certo hip hop, ma soprattutto con le nuove tendenze della scena elettronica. Era tutto ultra-stimolante, ed era una sfida continua che la nostra generazione apprezzava tantissimo. Vedevi in discoteca un pubblico nuovo, gente che prima di allora non avrebbe mai messo un piede in un club. Oggi invece si parla tanto della crisi delle discoteche…
(Sorride, ndr) Sì, ma era tutto molto diverso da oggi. Nel 1994 noi eravamo solo agli inizi del nostro viaggio professionale, stavamo cercando di trovare il nostro spazio per suonare e la cosa incredibile – rispetto ad oggi – era che la quantità di posti, anche nel centro di Londra, dove potevi suonare. Noi arrivavamo da Manchester e non eravamo nessuno, ma avevamo la chance di mettere i dischi anche solo come “DJ di riscaldamento” in tanti diversi club della capitale.

Anche se suonavamo solo per una manciata di persone, compresi gli addetti alle pulizie, imparavamo il mestiere. Ci accorgevamo che c’era ovunque fermento e i ragazzi si potevano permettere di uscire e venire in un pub come l’Albany perché era economico e potevano nello stesso tempo ballare nuovi ritmi, sentire DJ set sperimentali come i nostri. Oggi il cambiamento è enorme, e quando vedi tutti questi piccoli club chiudere ti chiedi dove le persone avranno la possibilità di avere la stessa esperienza. Ma non è tutto finito o negativo: per fortuna le nuove generazioni trovano sempre uno spazio per ballare e godersi della buona musica divertendosi. Lo noto non tanto perché io sia oggi un clubber accanito, ma grazie ai miei figli!

Una cosa però è certa: le nuove generazioni preferiscono andare a un festival di musica dance/elettronica piuttosto che andare in un nuovo club.
Tu ed io abbiamo vissuto in un periodo in cui la club culture era molto diversa. Andavamo nello stesso club ogni settimana, seguivamo certi DJ e sapevamo che in un certo club si sarebbe suonata la musica che non volevamo seguire. Oggi le persone sembrano più interessate a risparmiare i loro soldi per andare a un grande evento notturno con tanti DJ o per un festival, come il Tomorrowland. Comunque sai una cosa?

Dimmi, sono curioso.
Rifuggo dai cliché come “c’era una volta un’epoca d’oro”, non va bene! L’amore, il piacere per la musica è ancora presente, le persone non l’hanno perso, ci sono solo modi diversi di godersela e modi diversi di incontrarsi con gli amici. Comunque non c’è alcun dubbio che quel periodo degli anni ’90 sia stato fantastico.

Ultima curiosità. Sarà possibile ascoltare prossimamente nuova musica dei Chemical Brothers?
È troppo presto, mi dispiace. Io e Ed (Simons, ndr) dobbiamo, come sempre, prenderci il nostro tempo. Quando pubblichiamo musica, vogliamo essere sicuri che sia musica che davvero amiamo! Non ci siamo mai limitati a far uscire produzioni solo per il gusto di farlo. E questo vale anche oggi.

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