“Ultra Mono”: gli Idles e la loro gioiosa violenza «senza far male a nessuno»
Il nuovo album della band capitanata da Joe Talbot è stato un successo da primo posto in classifica in UK. Abbiamo intervistato il carismatico frontman
Al di là della Manica c’è stato un piccolo terremoto musicale ma i sismografi del Continente sembrano aver registrato le scosse in minima parte. Parliamo dell’emergere di una nuova, autentica e organica scena alternative rock che oltre a deliziare gli appassionati del genere sta anche avendo sorprendenti riscontri sul piano commerciale. Shame, Girl Band, The Fat White Family. E ancora: Fontaines D.C. e Idles, punte di diamante di un movimento che attinge alla migliore scuola post-punk rinnovandola nelle forme e nei contenuti.
Nel 2018 la band guidata dal carismatico Joe Talbot toccò la top 5 della classifica britannica degli album con Joy As an Act of Resistance. Un successo che non ha tardato a replicarsi con il nuovo Ultra Mono (Partisan Records), che stavolta si è preso direttamente la prima posizione e che vede il gruppo sviluppare ulteriormente il peculiare connubio fra la violenza dell’espressione musicale e la diffusione di messaggi di rispetto per gli altri e amore per se stessi (quando non apertamente politici, antirazzisti e antimaschilisti). Abbiamo chiesto a Talbot di guidarci nel mondo degli Idles: ecco un estratto dell’intervista che troverete integralmente sul numero di ottobre di Billboard Italia.
Hai detto che in Ultra Mono avete voluto introdurre un tocco di produzione hip hop. In che modo è stato fatto? Perché per la maggior parte delle persone l’hip hop non è la prima cosa che viene in mente ascoltando la vostra musica.
Volevamo basarci su quella che è l’essenza dell’hip hop, cioè un senso di presenza e di impatto. Abbiamo tenuto come punto di riferimento Yeezus di Kanye West, prodotto da Rick Rubin: volevamo rappresentare a livello sonoro l’autostima, l’idea di un sé olistico, unificato, e che ciò venisse fuori con forza. I primi due album erano molto rumorosi, mentre in questo caso abbiamo voluto eliminare quel rumore e dare il giusto respiro all’album proprio per massimizzarne l’impatto. E questo è ciò che fanno l’hip hop, il funk, la jungle…
So che non vi piace essere etichettati come gruppo punk. Perché quella parola non è appropriata per descrivere la musica degli Idles?
Penso che l’unica parola appropriata per descrivere gli Idles sia “Idles”. Non penso che siamo un gruppo punk o post-punk. Sì, forse ci puoi classificare nell’alveo del rock and roll ma in fin dei conti non importa: se ci vuoi etichettare come gruppo punk, va bene. Non sono contrario a quello che dicono di noi, intendo solo dire che per noi è importante avere un senso di controllo di ciò che noi siamo e un senso di apprendimento del nostro linguaggio. Questo aspetto è rintracciabile certamente anche nel punk, così come nel pop e nella musica classica. Ma trovo che “punk” come aggettivo sia inflazionato: puoi trovare la stessa carica sovversiva nel blues, nell’R&B, nel folk, nell’hip hop, nella techno.
Descrivi spesso il vostro sound come “violento”. In che modo questo approccio amplifica i messaggi di rispetto e positività che i vostri pezzi veicolano?
Empatia, amore, comunità, unità, autostima: tutte queste cose si esprimono in modo violento, come nell’espressionismo astratto o nei contrasti di chiaroscuro di Caravaggio. È tono, è espressione: l’arte si basa su questo. Per me sta nel contrasto, nelle pennellate, nella scelta di un’intonazione, di un ritmo: ci sono tanti modi di essere “violenti” senza far male a nessuno. Certamente ricevi l’attenzione della gente se usi questa violenza per ottenere un impatto artistico.
Ti definisci femminista, una cosa che la maggior parte degli uomini non direbbe di sé, anche quelli che supportano la parità dei sessi. Perché per te è importante rovesciare quel paradigma e cominciare a chiamarci tutti femministi?
È importante che la gente si renda conto del discorso sul femminismo e del suo significato per sollevare un senso di consapevolezza, di scopo nelle azioni di ciascuno di noi verso la società. Se voglio pari opportunità per tutti, in quanto uomo devo prima capire quali siano i miei privilegi. Quindi forse sono più un “alleato” che un femminista in senso stretto. Lo stesso discorso vale per il movimento Black Lives Matter: si tratta in fin dei conti di diritti civili, del benessere di tutti e di come raggiungere un’idea di uguaglianza, che è ancora molto lontana dalla nostra realtà.