Interviste

I wave to earth e l’alt rock coreano: «Essere DIY in Corea è diventata una cosa figa»

Il trio è una delle realtà più affermate del sempre più fiorente sottobosco alternative di Seoul. Abbiamo chiacchierato con loro per saperne di più sulla scena indie coreana e sulla loro storia. La band sarà in concerto al Fabrique di Milano il 9 maggio

  • Il16 Aprile 2025
I wave to earth e l’alt rock coreano: «Essere DIY in Corea è diventata una cosa figa»

I fenomeni culturali di grandi dimensioni sono come un’ondata che rischia di trascinare via tutto con sé e la propria corrente di risacca. L’Hallyu ha trasformato la cultura coreana e il modo in cui la stessa Corea viene percepita dal resto del mondo. Attraverso il cinema, il K-pop e i K-drama il Paese ha ottenuto una reputazione, oltre che un evidente ritorno economico. La macro-visione porta però con sé il rischio di un appiattimento dello sguardo. Qualche anno fa, nello specifico nel 2021, scorrendo tra le recensioni di Pitchfork, mi sono imbattuto in un disco che mi ha subito colpito per la copertina colorata e cartoonesca. To See the Next Part of the Dream – un titolo profetico ed emblematico – è stato un esordio che ha fatto scalpore. Parannoul, artista di Seoul senza volto né identità, si inseriva nella corrente emo e shoegaze che negli Stati Uniti stava riprendendo vigore.

Improvvisamente scoprivo che in Corea esisteva un altro lato del sogno, opposto alle agenzie e alle grandi produzioni, e più vicino al DIY. Nel 2020, un anno prima, hanno debuttato anche i wave to earth che nel nome riassumono la loro identità e il loro obiettivo. Un nuovo approccio e una new wave – curioso come il concetto di onda torni in continuazione – alla quale Kim Daniel, John Cha (Cha Soonjong) e Shin Donggyu (Don Q) danno vita affidandosi a un suono alternative rock sofisticato e impreziosito da un’attitudine jazzistica mutuata dal loro background. Due EP e poi il primo album 01. flaws and all. che li ha portati a esibirsi in tutto il mondo.

Lo scorso settembre il trio ha pubblicato il terzo mini-progetto play with earth! 0.03., dopo un tour interamente sold out nel Nord America. Il disco è molto più leggero rispetto ai precedenti e aggiungerà un tocco più pop alla scaletta dei loro prossimi concerti in Europa. Il prossimo 9 maggio i wave to earth passeranno anche in Italia, al Fabrique di Milano e, parlando con loro su Zoom, si percepisce la loro trepidazione. Anche perché la loro prima volta in Italia è stata proprio nel capoluogo lombardo. «L’anno scorso abbiamo visitato il Duomo e in Galleria abbiamo provato il cibo italiano. Anche per questo non vediamo l’ora di tornare» racconta John Cha dal nuovo studio di Seoul. Il “covo” dove la band ha registrato l’ultimo progetto e dove si sta preparando alla leg europea.

L’intervista ai wave to earth

Vi siete da poco esibiti a Francoforte e presto tornerete in Europa. Come vi state preparando al tour?
John Cha
: Siamo molto eccitati. Dopo la tournée in America abbiamo fatto questa data intermedia in Germania prima di tornare per un po’ in Corea. Amiamo l’Europa e abbiamo molti fan sparsi nel continente. Quella delle prossime settimane però sarà un’esperienza diversa rispetto al passato perché suoneremo in locali più grandi e quindi non vediamo l’ora.

In questo tour state portando dal vivo il vostro ultimo lavoro play with earth! 0.03. Un progetto che, rispetto ai vostri dischi ed EP precedenti avete scritto di getto. Come si è svolto il processo creativo?
J
: Sì, è stato molto diverso. Di solito quando lavoriamo a un nuovo album, lo facciamo mentre siamo in tour o nel tempo libero, cercando nuove ispirazioni e cercando di arrivare in qualche modo “preparati”. Con play with earth! 0.03l’obiettivo che ci siamo posti era di creare un EP che divertisse l’ascoltatore. Così ci siamo detti: “Suoniamo insieme come viene, senza preoccuparci troppo e in modo rilassato”. Questo sentimento si è poi traferito nelle canzoni. È stato tutto veloce, ma molto soddisfacente.

Kim Daniel: Ed è stato anche il primo lavoro che abbiamo realizzato nel nostro nuovo studio a Seoul. È divertente registrare qui: ci sono tre stanze separate e una principale più grande dove abbiamo registrato gran parte del disco.

Questo carattere più istintivo e rilassato si percepisce molto ascoltandolo e crea un netto stacco con il finale del vostro album precedente che invece era più oscuro. Una costante del vostro sound rimane però l’influenza jazz: com’è iniziata la vostra passione per il genere?
K
: Nel mio caso è cominciata in modo laterale. Non nasco come musicista jazz, ma sono cresciuto ascoltando artisti come King Krule e Puma Blue che nel loro sound hanno una marcata componente jazzistica. Col tempo ho cercato sempre più di collaborare e circondarmi di persone con quel background, come Shin (Dong Q ndr) che era il batterista di una band di quel genere.

J: Io anche ho suonato per diversi anni nei Jazz Club di Seoul. Quell’esperienza continua sui palchi mi ha formato e mi ha fatto crescere a livello di capacità tecniche perché, sebbene suonassi principalmente musica leggera, quando mi esibivo dal vivo mi trovavo ad improvvisare in vari modi. Posso dire che il jazz mi ha proprio insegnato a stare sul palco.

Un altro degli aspetti che caratterizzano la vostra musica sono i testi in inglese. Sono pochi i pezzi in cui cantate in coreano. Come mai questa scelta?
J
: Noi, come band, abbiamo sempre cercato di essere il più internazionali possibile e l’inglese è la lingua più utilizzata a livello globale, quasi tutti la conoscono. Inoltre, ha anche un suono melodico che si adatta perfettamente al nostro genere musicale, per cui, oltre che una scelta strategica è anche una decisione artistica. Tuttavia, ci sono anche alcuni casi in cui, per il significato del pezzo o per un discorso musicale, il coreano funziona meglio.

Di solito, quando si pensa alla musica coreana, la prima cosa che viene in mente è il K-pop. Eppure, la scena indie rock, anche shoegaze, del vostro Paese è molto attiva. Mi viene in mente, per esempio, Parannoul. Voi che la vivete dall’interno, come la percepite?
K
: Se l’idea comune della scena musicale coreana è ancora legata soprattutto ai gruppi e si parla ancora di “era delle band”, negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. Alle grandi produzioni molti artisti preferiscono un’attitudine diversa e curano da soli il proprio suono e la propria estetica. Il fatto che questi progetti indipendenti stiano ricevendo sempre più credito, anche fuori dai confini nazionali, sta influenzando sempre più persone. È diventata una cosa figa fare musica in modo autonomo.

Avete iniziato a suonare insieme da giovanissimi, addirittura il primo nucleo del gruppo è nato durante il periodo delle scuole medie. Che ricordo avete di quel periodo e com’è cambiata la vostra amicizia nel tempo?
K
: Sì, io e Shin eravamo molto amici e abbiamo iniziato a suonare insieme fin da subito. Invece, Soonjong (John Cha ndr) l’abbiamo conosciuto durante gli anni della scuola superiore. All’inizio eravamo solo conoscenti, non suonavamo né uscivamo insieme, ma ci aveva comunque lasciato una buona impressione. Col passare del tempo le cose sono evolute, abbiamo fondato il gruppo e si è unito a noi. Non mi sento di dire che sia cambiato qualcosa rispetto ad allora, eravamo e siamo tuttora una famiglia.

I biglietti per il concerto dei wave to earth a Milano sono disponibili anche su Ticketmaster.

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