Interviste

Whitemary, Serena al buio

Il suo secondo album “New Bianchini” è una deliziosa opera di musica da club, dove la cassa dritta fa da collante a una produzione sofisticata, leggera senza mai cadere nella superficialità: abbiamo incontrato una delle producer/DJ più interessanti in circolazione in Italia nella nostra nuova digital cover

Autore Tommaso Toma
  • Il6 Dicembre 2024
Whitemary, Serena al buio

Whitemary, foto di Fabrizio Narcisi

“Io ballo da sola”, anzi non più. Biancamaria Scoccia, romana d’adozione ama l’autarchia. Scrive, compone produce e realizza anche le grafiche. Ma con il suo nuovo secondo lavoro in studio appena uscito per la 42 Records, Whitemary ha deciso di aprirsi (ci sono Davide Savarese e Emanuele Triglia) addirittura anche di iniziare a ballare mentre suona senza timori. Perché la ragazza sarebbe timida e introspettiva, ma il richiamo della cassa dritta le ha insegnato a liberarsi delle paure.

New Bianchini è la giusta evoluzione di un’artista che è quasi un unicum dalle nostre parti. Ricordiamo infatti che lei fa anche parte del collettivo “Poche” (nome omen), tutto al femminile fondato da Elasi e Plastica. E il suo sound è assolutamente in linea con le produzioni più cool delle producer/DJ donne in circolazione. Possiede la leggerezza dei beat e vocale di Charlotte Adigéry, la sfrontatezza ma non esagerata di Marie Davidson, fa cogliere intuizioni che sono un po’ cheesy e ha un gusto raffinato nel canto che deriva molto probabilmente dai suoi studi jazzistici.

Noi di Billboard l’abbiamo voluta fortissimamente per il nostro evento Electro Femme di recente e l’abbiamo vista all’opera assieme alla amica Elasi. E ora Whitemary ha annunciato il suo tour invernale. Si comincia il 17 gennaio al Locomotiv Club a Bologna per poi proseguire il 23 ai Magazzini Generali a Milano, il 24 all’Hiroshima Mon Amour a Torino, il 25 all’Urban a Perugia, il 6 e 7 febbraio al Monk a Roma, il 21 al Duel Club a Pozzuoli (NA) e il 22 all’Eremo Club a Molfetta (BA). Info e prevendite su DNA Concerti.

Foto: Fabrizio Narcisi

L’intervista a Whitemary

Hai fatto le tue prime uscite come party per festeggiare l’uscita di New Bianchini, suonando in consolle i tuoi nuovi pezzi. Qual è quello che “spacca” in mezzo alla gente?
Ah (sorride, ndr)! ho semplicemente fatto due festicciole ma è stato molto, molto divertente e mi sono resa conto che a prendere tanto per la loro struttura sono Oh! Ma dai e soprattutto Un’esercitazione.

Davvero? Fantastico perché la prima domanda che ti volevo fare sul disco è legata a una frase proprio di quest’ultima canzone, dove tu canti: “E la mia parte con il buio dov’è”. Ecco, il buio sembra una componente essenziale di questo lavoro. Non solo perché si balla ma anche perché ha tante sonorità notturne, scure ma non cupe.
Sì, esatto. Pensa che prima di iniziare a lavorare sul disco, ho provato a scrivere anche altre cose, proprio con un approccio anche un po’ più allegro. Perché io so di essere spesso cupa, molto scura, malinconica anche nella scelta dei testi. Delle parole a volte mi sono resa conto che questa cosa non metteva a loro agio chi mi stava vicino, per questo mi sono anche un po’ “costretta” ad essere più allegra di quello che sono solitamente. Però poi quando ho cominciato a pensare a New Bianchini è di nuovo venuto fuori il mio lato introspettivo. Mi sono accorta che non potevo fare a meno di scrivere di queste cose e se sono “serena dentro il buio”, dovevo trasmettere questo concetto bene.

Se tu già mi dici questa tua prima impressione, allora sono contenta del risultato perché quella parte introspettiva, melanconica c’è sicuramente in tutti noi. E sdoganarla contro una certa maina dell’essere sempre iper positivi, iper felici, vuol dire proprio saper accettare con naturalezza e senza forzature le varie sfumature del proprio stato d’animo.

Un altro tuo aspetto che mi piace e spariglia le carte rispetto a un certo cliché delle figure femminili nel DJismo è che quando racconti della tua strumentazione in consolle sembri un po’ una secchiona, una nerd post moderna.
Nell’ambiente accademico è facile cadere in un iper razionalizzazione. A volte chi studia jazz – come ho fatto io – sta anni a studiare il suono di alcuni jazzisti che neanche hanno avuto una preparazione accademica! Quei grandi musicisti mettevano su un disco a ripetizione e chi aveva talento percepiva delle cose e improvvisava. Però lo studiare musica e applicarmi anche nello studio della mia strumentazione mi ha permesso di trovare una giusta abilità nonostante io non abbia quel talento pazzesco che avevano alcuni grandi del jazz che ho studiato negli anni. Diciamo che sono una secchiona per “mancanza di talento” (ride, ndr)!

Alla nostra festa Elcectro Femme mi avevi accennato che il titolo del disco nasce dal nome di una cartella sul desktop del tuo computer.
Vero, quello era un folder in cui all’inizio mettevo cose di cui non ero estremamente poi sicura. Ma c’erano tutte le nuove cose che stavo generando che poi mandavo a Emiliano (Colasanti, ndr) quando sentivo che un brano trasmetteva qualcosa di forte per prima cosa a me, altrimenti non mi sento sicura al 100%, a condividere. Ma ora ho imparato a essere meno “timida” e se una cosa penso che funzioni, mi butto di più senza troppe paranoie.

Dal computer alla carta e penna, ho saputo che spesso usi questo metodo per scrivere delle idee.
Sì, assolutamente vero. Sai, alla fine io sono proprio analogica in tutto e quindi ogni tanto quando mi saltano delle idee in testa, la maniera più veloce per imprimere nella mia memoria e scriverle su un taccuino.

Nonostante un metodo “tradizionale” di scrittura dei testi, delle idee, le tue liriche sembrano liberarsi completamente della complessa sintassi della nostra lingua e vivono un po’ come tagli e cuci che sono forse quasi adatti finire in un campionatore.
Come ti dicevo colgo al volo le occasioni quando mi arrivano delle idee di testi e quell’idea di spezzettamento alla quale ti riferisci nasce dalla attenzione che do a soprattutto a una singola parola che riesce anche a tramutarsi in una ritmica. Mi serve tanto, una singola parola mi sblocca un intero concetto.

E tu sei anche un’amante del campionamento delle voci.
In Radio Whitemary avevo campionato i Soulwax che in un’intervista parlavano dell’importanza di non usare i preset. E poi Grace Jones, che è proprio un personaggio per me divino.

Hai mai provato giusto per gioco, a comporre con l’aiuto dell’intelligenza artificiale?
Sono analogica! Per ora non ho neanche mai cercato niente su Chat GPT. È una cosa che mi spaventa veramente tanto e quindi devo capire il modo in cui poter interagire. Io sono una che s’impigrisce da morire e quindi non voglio usare questo strumento che mi potrebbe rendere più svogliata di quanto lo sia già (ride, ndr).

Come hai visto per la nostra cover abbiamo scelto questa immagine in bianco e nero che è un omaggio spudorato alla copertina del disco Big Science di Laurie Anderson, un personaggio che veniva dalla intellighenzia della scena elettronica e che con una semplicissima canzone contenuta in quel disco O Superman, creò un hit. Questa scelta così nobile è un omaggio alle donne nella musica elettronica?
Devo dirti che quando ho pensato di portare avanti questo progetto come Whitemary io avevo approfondito la storia e il percorso di varie artiste che si erano distinte per la loro personalità nella scena elettronica e della dance come Laurie Anderson o Grace Jones, venendo a nomi più recenti come Ela Minus, Marie Davidson e Charlotte Adigéry. Mi ero proprio resa conto che trovando un po’ di queste figure femminili come loro a cui agganciarsi, saliva ancor di più l’urgenza di fare qualcosa.

E in Italia siete ancora poche, come il nome del collettivo tutto al femminile fondato da Elasi e Plastica, uno spazio aperto e libero per fare incontrare ed emergere le molte artiste e producer che popolano il panorama elettronico italiano.
Ora se ne parla tanto, ma all’atto pratico io voglio vedere queste ragazze che prendono i computer, i synth. Io insegno anche musica techno, come produrla, suonarla e ci sono solo pochissimi elementi femminili interessati al corso.

Parlando delle canzoni, non so perché Oh! Ma Dai!  all’inizio mi fa pensare al Robert Wyatt di The Age of Self.
No, vabbè, ma super inavvicinabile! (ride, ndr) Ti svelo la mia reference: Nathy Peluso!

Ecco, è venuta fuori tutta la mia anima da boomer…
Lei è proprio bella cafona! Ma ha fatto un pezzo meraviglioso con queste voci armonizzate e a me l’unione di questa cosa con una base hip hop anni ’90 ha fatto impazzire. Lei poi fa tutto, dalla musica tradizionale argentina a questo rap un po’ coatto, ma alla fine è una cosa nuova tutta sua.

Mi piace molto Oggi va così, com’è nato?
Avevo avuto un problema alle corde vocali per colpa di una laringite pesantissima e il mio foniatra mi disse: “Devi stare muta, muta proprio, per almeno venti giorni”. Ma verso il diciotto, diciannovesimo “giorno di silenzio” (ride, ndr) tornai in studio con questa traccia e mi era venuta quest’idea di registrarla piano piano. Comunque lasciarsi andare è enormemente difficile da mettere in pratica…

E poi c’è Denso, altro pezzone.
L’ho prodotta un po’ insieme a Emanuele Triglia che è un amico bassista…

Ti diverti molto con i bassisti!
Io e i bassisti abbiamo un feeling! Chissà, forse perché da ragazzina suonavo il basso. Ecco, quello è un mio grande rimpianto. Non dovevo smettere di suonare il basso! Ma tornando a Denso, era uscito subito questo giro di accordi molto morbido. Io non produco quasi mai in compagnia e invece con Emanuele ci siamo divertiti. E poi era un periodo in cui avevo voglia di ballare anche mentre suono, e per me era una novità farlo in pubblico.

Io amo i DJ che ballano in consolle.
Ah ecco, ora ci sono anche io dentro questa categoria (ride, ndr). Con Denso ho cercato di ricreare quella particolarissima sensazione, che è un condensato di energia, che accade quando balli poi accanto a una persona, quando ti ritrovi a ballare assieme ad altri. Che sia il tuo fidanzato o un gruppo di persone. È la magia che accade dentro un club ed è una sensazione unica.

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