Willie Peyote: «I rapper di seconda generazione sono la cosa più politica che c’è in Italia»
A pochi giorni dall’inizio del suo tour “Non è (ancora) il mio genere” abbiamo incontrato il rapper torinese per sapere quanto a distanza di dieci anni sia migliorato il suo rapporto col genere umano e per farci spiegare perché non dobbiamo sottovalutare la portata sociale di un artista come Baby Gang
Correva l’anno 2014 quando Willie Peyote pubblicava l’album più corrosivo e cinico di tutta la sua discografia, dal titolo che più chiaro di così non si poteva. Casomai qualcuno pensasse che quel rapper che tutto sembrava fuorché un rapper fosse meno incazzato di quelli coi tatuaggi in faccia: Non è il mio genere, il genere umano. Dentro c’erano brani come 1312, Glik, Oscar Carogna, rabbiosi come solo un giovane nichilista sa essere.
Ma se il tempo è ciclico – come rappa in L’una di notte -, la storia prima o poi si ripete. E infatti il titolo di quel disco – che per molti è diventato un claim generazionale – a nove anni di distanza Guglielmo Bruno lo ha fatto diventare il nome del suo nuovo tour nei club in partenza il 27 ottobre dal Vox Club di Nonantola (MO). Perché alla fine «cambia tutto per non cambiare niente», come ci racconta in questa intervista un Willie Peyote sicuramente cresciuto rispetto a quel periodo ma con la stessa voglia di sempre di mettere e mettersi in discussione.
A pochi giorni dalla prima data del Non è (ancora) il mio genere club tour, abbiamo incontrato Willie Peyote per farci raccontare come nel tempo sia cambiato il suo rapporto con il genere umano, cosa gli ha fatto ritrovare la passione per il suo lavoro e perché Baby Gang e i rapper di seconda generazione sono la cosa più politica che ci sia in Italia in questo momento.
L’intervista a Willie Peyote
Ho visto che ieri sera eri al live dei Non Phixion, quindi nonostante tutto il rap è ancora il tuo genere…
(Ride, ndr) Assolutamente sì! Soprattutto quel tipo di rap. Quella è roba che mi ha cresciuto, quindi c’è anche un motivo sentimentale nell’andare a quei concerti.
E nel frattempo i Club Dogo stavano praticamente annunciando la reunion… Da fan come la vedi?
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, non mi immaginavo l’annunciassero così a gamba tesa però direi molto, molto bene. Poi è uscito anche il disco di Calcutta quindi diciamo che sono giorni decisamente interessanti!
Vero. Per quanto amiamo tutti questi artisti però siamo qui per parlare del tuo tour che inizia tra pochissimo. A distanza di dieci anni, come va il tuo rapporto col genere umano?
Mah diciamo che è cambiato tutto per non cambiare niente, per dirla in modo un po’ gattopardesco. Mi piaceva chiamare così il tour perché oltre ad averci intitolato un disco dieci anni fa questa frase è anche quella che chiude il primo pezzo dell’ultimo disco, UFO, quindi in qualche modo ricollegava le ultime cose alle prime e per questo era il titolo giusto per dare l’idea di un concerto che si concentra anche sui pezzi di quel disco che non abbiamo mai suonato dal vivo.
Tipo?
Beh adesso non voglio spoilerare la scaletta. Però ci sono dei pezzi che con la formazione attuale della band non avevamo mai suonato e altri ri-arrangiati che avevamo smesso di suonare da molto tempo. Poi chiaramente ci saranno i brani che non possono mancare.
Cosa pensi riascoltando le tue vecchie canzoni? Se le riascolti, ovviamente.
Li ascolto solo per provarli e per ricordarmi i testi! Però quando succede mi rendo conto di aver cambiato approccio alla scrittura, anche se c’è un collegamento ancora forte anche con con quella roba lì perché il motore è sempre un po’ lo stesso. Quindi per quanto cambino le condizioni intorno io mi sento sempre uguale. Certo, con 10 anni di più, e quello sicuramente influenza tante cose nella vita degli esseri umani a prescindere dal mestiere che fanno.
In che modo?
Sicuramente con più consapevolezza. Quando maturi sei più in grado di accettare che le cose non sempre dipendono direttamente da noi. Poi secondo me guardarsi indietro serve anche per capire meglio se quello che facciamo oggi continua ad essere la nostra cosa, se ci rappresenta ancora. Tutte cose che secondo me aiutano a conoscersi un po’ meglio.
Willie Peyote: «Con “Pornostalgia” mi sono tolto un peso»
A proposito di questo, quando è uscito Pornostalgia hai detto che ti trovavi in un momento in cui dovevi ri-capire il tuo rapporto con il tuo lavoro e ritrovare la leggerezza con cui lo facevi una volta.
Credo che in quel momento per me fosse importante sfogare quelle sensazioni in quel disco. Come spesso accade poi, mettere le cose nero su bianco te le fa analizzare anche in modo diverso, le capisci meglio. Certe volte serve anche solo per mettere un punto e guardare avanti. Quindi dopo aver detto quelle cose e aver fatto quel disco vivo le cose con molta più leggerezza.
E paradossalmente questo è successo dopo il mio disco più pesante, perché Pornostalgia racconta un momento difficile per me. Volevo proprio togliermi di dosso quel peso, e vederlo prendere forma nella sua interezza, ascoltarlo e viverlo mi ha fatto rendere conto che dovevo solo mettere un punto e andare oltre. Poi oh, non è detto che il pubblico abbia sempre voglia di seguire un percorso di formazione dell’artista, e questo è legittimo.
Il pubblico oggi è meno propenso ad ascoltare musica che abbia dei contenuti meno leggeri?
Mah non per forza, anzi penso che questo sia un momento storico in cui abbiamo bisogno di leggerezza perché intorno a noi c’è tanta pesantezza. Credo però ci sia meno tempo per approfondire le cose. La gente ha voglia di contenuti, però abbiamo tutti un po’ più fretta, questo sì.
Una cosa che ho sempre apprezzato di te è che anche quando hai fatto il salto nel mainstream con Sanremo comunque non hai abbandonato la tua vena più – passami il termine – militante, che è una cosa che solitamente nel rap italiano rimaneva sempre un po’ relegata all’ambiente underground. Cosa che ad esempio non succede in America, dove il rap più “politico” entra senza problemi in classifica.
In America sicuramente è diverso perché il grosso del tema sociale affonda le sue radici in America bianca e America nera e i rapper americani rappresentano e difendono la cultura afroamericana. Il discorso sociale negli Stati Uniti non può prescindere da questo e nemmeno il rap. In Italia i discorsi sociali erano legati ad una militanza politica che oggi interessa meno. Ora la cosa più politica che c’è nel nostro Paese è Baby Gang, così come tutti i ragazzi di seconda generazione che stanno militando per la propria autodeterminazione. Questa cosa ha una valenza sociale potentissima che a volte secondo me sottovalutiamo.
In un periodo storico in cui l’opinione pubblica si sposta sempre di più verso destra su temi come la cittadinanza, lo ius soli, è uno statement politico importante quello che fanno questi ragazzi, che tendenzialmente rappano in italiano. È una presa di posizione fortissima e forse anche molto più naturale e più interessante. Oggi è molto più politico essere un ragazzo di seconda generazione a San Siro che parlare come facevano le posse negli anni ’90.
Tra l’altro Baby Gang è uno dei pochi artisti italiani che si sono espressi su ciò che sta succedendo in Palestina, e ho notato che a farlo sono stati quasi tutti i giovani, in particolare di seconda generazione. Perché secondo te? I giovani hanno meno paura di risultare “scomodi”?
Sicuramente sono culturalmente più vicini e per questo sentono la questione molto di più. C’è senza dubbio anche un motivo anagrafico, perché questi ragazzi tutto sommato sono molto fuori dalle logiche del business applicate all’industria. Hanno la fortuna e la capacità di muoversi al di fuori delle logiche di mercato e fare comunque dei grandi numeri, quindi forse si sentono più liberi. Loro poi secondo me sono la cosa più hip hop in questo momento in Italia e questo non si può mettere in discussione. Sono lo specchio di quello che anni fa è accaduto in America, poi in Francia.
C’è anche da dire che le nuove generazioni sono sicuramente più attive da questo punto di vista. A proposito di questo, che tipo di pubblico vedi ai tuoi live?
Ci sono più millennial ma per il semplice fatto che ci capiamo meglio. Per fortuna ci sono anche molti ragazzi giovani. Sai, varia anche molto in base a quanto quello che fai è la wave del momento. Ci sono stati momenti come il 2020 in cui eravamo tutti un po’ più sulla cresta dell’onda perché questo indie/urban rappresentava il mainstream senza che ce ne fossimo accorti. Non so se ho visto il mio pubblico cambiare, sicuramente vengono persone che hanno interessi verso determinati argomenti. Il grosso del cambio che si poteva pensare avvenisse dopo Sanremo c’è stato fino ad un certo punto.
Willie Peyote e il post Sanremo
Non hai avuto uno stacco drastico tra prima e dopo quindi.
No per niente, anzi, però come dicevi tu forse è perché io ho continuato a fare la mia cosa. Se non te lo vai a cercare il pubblico non ti viene a cercare a prescindere, io tenevo molto all’idea di non perdere quelli che mi avevano conosciuto prima, non volevo che mi dicessero “eh ma non sei più quello di Mi Fist” (ride, ndr).
E invece c’è un concerto che hai visto quest’anno che ti ha particolarmente ispirato per questo nuovo tour?
Senza dubbio gli Arctic Monkeys a Milano. Quello è stato un concerto che mi ha rimesso in pace con la musica, ho riprovato le emozioni che secondo me servono sempre per poter approcciare la musica ricordandosi la passione che si ha nel farla e nell’ascoltarla. È un po’ come per i Non Phixion, per me è una cosa quasi sentimentale andare ai concerti degli artisti che hanno avuto un forte impatto su di me. Mi è servito molto.
Non è (ancora) il mio genere tour, tutte le date
Di seguito, tutte le date nel tour nei club di Willie Peyote. I biglietti sono disponibili su TicketOne.
- 27 ottobre NONANTOLA (MO) Vox
- 6 novembre VENARIA REALE (TO) Teatro Della Concordia (SOLD OUT)
- 7 novembre MILANO Fabrique
- 10 novembre PADOVA Gran Teatro Geox
- 13 novembre VENARIA REALE (TO) Teatro Della Concordia
- 18 novembre BOLOGNA Estragon (SOLD OUT)
- 20 novembre FIRENZE Tuscany Hall
- 25 novembre CIAMPINO (RM) Orion
- 1 dicembre MOLFETTA (BA) Eremo Club
- 2 dicembre NAPOLI Casa della Musica