Interviste

Willie Peyote: «Porsi il problema di un linguaggio inclusivo non è censura»

Il cantautorapper torna a Sanremo con “Grazie ma no grazie”, l’unico brano impegnato del Festival e con lui abbiamo parlato di ciò a cui direbbe “Mai dire mai” o “Grazie ma no grazie” e del fatto che «la censura è quando ti impediscono davvero di parlare, non quando ti fanno suonare da un’altra parte»

Autore Greta Valicenti
  • Il7 Febbraio 2025
Willie Peyote: «Porsi il problema di un linguaggio inclusivo non è censura»

Willie Peyote, foto di Chiara Mirelli

Willie Peyote, in gara alla 75esima edizione del Festival di Sanremo con Grazie ma no grazie, non ha mai avuto paura di dire quello che pensa. Non l’aveva nel 2014, quando pubblicava l’ipercinico Non è il mio genere il genere umano in cui parlava di “giovani fascisti contro giovani precari”. Non l’aveva al suo debutto al Festival di Sanremo nel 2021, citando neanche troppo velatamente quella destra sempre più populista e quella sinistra sempre più classista (“C’è il coatto che parla alla pancia, ma l’intellettuale è più snob”) in Mai dire mai.

A Willie Peyote, del resto, di fare musichetta mentre là fuori c’è la morte non è mai interessato. E infatti paura non l’ha nemmeno ora, tornando all’Ariston con il pezzo più politico dei 29 in gara in cui menziona giovani manganellati nelle piazze e gente che ha perso la memoria (storica?), proprio nell’anno in cui Carlo Conti afferma fiero che “Quello che mi piace di questo Sanremo è che non si parla più un macro-mondo, ma di un micro-mondo: non si parla di immigrazione o di guerra, ma si parla della famiglia. C’è un impegno più umano che sociale”.

A pochi giorni dal suo ritorno al Festival lo abbiamo incontrato per parlare di ciò a cui direbbe Mai dire mai o Grazie ma no grazie, del suo nuovo album, Sulla riva del fiume, in uscita il 14 febbraio, e del fatto che «la censura è quando ti impediscono davvero di parlare, non quando ti fanno suonare da un’altra parte».

L’intervista a Willie Peyote

Cosa ti ha spinto a tornare a Sanremo?
La primissima motivazione è che mi sono reso conto che mi ero perso tutto un pezzo del vivere la settimana del Festival. Quindi una volta nella vita volevo provare questa esperienza e tornare per vedere com’è davvero Sanremo.

Ecco, mi hai anticipato la domanda perché ti avrei chiesto se c’è qualcosa che hai fatto nel 2021 che ora non rifaresti e viceversa.
Sicuramente ci sono tante cose che non conosco del Festival. Ma voglio godermi il carrozzone nella sua interezza perché l’altra volta, viste le restrizioni da Covid, non mi è stato possibile. Stavolta posso dirti che arrivo con un approccio diverso. L’altra volta arrivai un po’ naif nel mio essere spregiudicato, invece a ‘sto giro ci arrivo sapendo dove sto andando.

Ti sentivi un po’ un outsider l’altra volta?
Mi ci sento ancora, in fondo tra artisti che vincono più platini che punti dell’Esselunga è ovvio che lo sei, ma è anche un po’ il mio ruolo. Però mi piace.

Quando ci siamo parlati l’ultima volta mi avevi detto di non aver sentito uno stacco drastico tra il pre e il post Sanremo perché non hai cercato in modo spasmodico il pubblico che solitamente segue il Festival.
In quell’anno c’è stato anche un problema riguardo al periodo. Quell’estate suonai ma con le capienze molto ridotte, quindi non ho neanche avuto l’occasione per vedere davvero se il pubblico si fosse allargato o no. Non ti nascondo che provare a fare Sanremo in una condizione lavorativa normale mi interessa. Anche perché esce un disco di cui vado molto orgoglioso e dunque mi sembrava il momento giusto per andare al Festival e dare risonanza all’album.

Ecco, parliamo di questo nuovo album.
Nella mia testa Sulla riva del fiume è il terzo capitolo della trilogia sabauda iniziata con Educazione Sabauda e proseguita con Sindrome di Tôret. Non solo perché c’è un riferimento a Torino, ma anche nei suoni siamo molto vicini. Soprattutto con Sindrome che è stato il primo disco interamente suonato da una band che si stava ancora formando e che oggi si è consolidata da anni di tour insieme.

Nel testo di Grazie ma no grazie parli di quelli del “non si può più dire niente”. Qual è la cosa che ti infastidisce di più delle persone che lo dicono?
Il “non si può più dire niente” è un concetto vecchio che forse aveva senso all’inizio. Nel 2025 chi dice che non si possa più dire niente si lamenta di un problema che non esiste. Vivere una rivoluzione culturale, e dunque anche nella comunicazione, non può che essere una cosa positiva. Essere più sensibili quando si parla, porsi il problema dell’inclusività del linguaggio non può essere vista come una limitazione. Mi annoia chi difende la lingua italiana dall’uso dell’asterisco ma poi non usa il congiuntivo, mi annoia chi si lamenta in maniera così votata alla conservazione dello status quo e non è pronto ai cambiamenti. Chi difende termini che sono stati tolti dal linguaggio comune perché chi li ha subiti come insulto ha diritto a farci presente questa cosa e chi si lamenta di non poter più usare quelle due parole mi intristisce molto.

Possiamo quindi dire una volta per tutte che questa non è censura?
Assolutamente non lo è. La censura o è dall’alto verso il basso o non è censura, o è il potere che per non farsi prendere in giro ti impedisce di parlare e di suonare, ma letteralmente ti impedisce, non che te lo fa fare da un’altra parte, o non è censura. Porsi il problema di non utilizzare parole che non fanno bene a tutti non è censura, è capacità di migliorarsi.

La tua è l’unica canzone socialmente impegnata del Festival: c’è una questione che ti sta particolarmente a cuore?
Sicuramente questa che abbiamo appena analizzato, è una questione quasi moralista se vuoi, ma a volte le rivoluzione culturali fanno anche qualche morto innocente. E se io ho preso qualche insulto di più per delle parole che ho usato me lo accollo. Io con questa canzone volevo parlare della capacità di difendere la propria libertà di pensiero anche quando la cultura dominante attorno a te ti porterebbe, per la ricerca del consenso, a dire quello che dicono tutti. E invece è proprio in quel momento che si dimostra di essere liberi pensatori. Che non vuol dire cercare un complotto sotto ogni sasso, ma rendersi conto che se tutti vanno in una direzione non per forza devo intraprenderla se non ci credo.

Senti, ti dico quattro situazioni: Mai dire mai o Grazie ma no grazie?
Okay, vai, mi piace.

Scendere il politica.
Ovviamente grazie ma no grazie.

Essere protagonista di uno scandalo a Sanremo.
Bah… Mai dire mai… Dipende che scandalo!

Partecipare a un reality show super trash ma con un cachet altissimo.
Come risponderebbe Dave Chappelle non sono ancora a quel punto della mia carriera… Ti direi grazie ma no grazie ma effettivamente se la mia vita dovesse durare abbastanza da averne bisogno… No dai, grazie ma no grazie, per fare i soldi ci sono tanti modi.

Cantare al matrimonio di un tuo amico.
No, lo farei volentieri, quindi non ti dico neanche mai dire mai. Se me lo chiedessero lo farei, solo che non me lo chiedono. Al mio matrimonio vorrei che cantassero i miei amici, però non so chi si accollerebbe di venire al mio matrimonio. Anzi, matrimonio più grazie ma no grazie che mai dire mai.

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