Rancore ci fa partire per lo “Xenoverso” con il suo hip hop ermetico. L’intervista
Due anni dopo l’apprezzata partecipazione a Sanremo con Eden, il rapper torna con un nuovo, complesso album che sviluppa al massimo quella dichiarata ricerca di un codice per decifrare il cosmo. O per perdervisi
Nel variegato ventaglio di stili del panorama hip hop italiano, non c’è dubbio che quella di Rancore sia una delle cifre più uniche e riconoscibili. “Hip hop ermetico” è un raro caso di definizione auto-attribuita da un artista che non suona pretenziosa o inadeguata, ma anzi perfettamente descrittiva. Come vedremo nel corso di quest’intervista, infatti, c’è una chiara comunanza d’intenti fra la corrente storica dell’ermetismo e le barre di Rancore, cariche di simboli densi di significati.
Andando ancora più a ritroso, sembra quasi di ritrovare – riattualizzato – il senso di quei versi di Baudelaire che diedero il via alla grande stagione del simbolismo francese: “L’uomo passa attraverso foreste di simboli / Che l’osservano con sguardi familiari” (Correspondances).
Più che una foresta, il campo simbolico di Rancore si allarga a dismisura fino ad abbracciare l’intero cosmo incognito: Xenoverso, come lo chiama sinteticamente con il termine che dà il titolo all’album uscito oggi, venerdì 15 aprile. Ovvero la dimensione “altra” del cosmo, il dark side che non conosciamo ma che accompagna le cose sensibili come un’ombra col suo “padrone”.
Con un raggio d’azione così ampio, ogni brano e ogni verso offrono molteplici strade d’interpretazione: un labirinto semantico in cui abbiamo chiesto alla mente stessa del progetto di guidarci in maniera ragionata.
Dopo il multiverso, dopo il metaverso, ecco lo “xenoverso”. Mi colpisce il riferimento a questa dimensione di ciò che è “straniero”: parola che nella società di oggi assume già di per sé una sfumatura politica.
Ho sempre avuto la sensazione che la musica, la scrittura, la fantasia, il mio modo di vedere le cose mi abbiano portato in un’altra dimensione, nella sensazione che l’universo sia sempre accompagnato da qualcosa di sconosciuto, di straniero. Qualcosa che è sempre accanto a noi ma anche invisibile. Volevo trovare una parola che sintetizzasse questa sensazione di inconoscibile.
Da lì ho iniziato a costruire quelle che potevano essere le “regole” di questo xenoverso, come se fosse una vera e propria filosofia. Tutte quelle realtà di confine che potevano unire l’universo allo xenoverso. Così ha assunto una valenza filosofica, fino a diventare tutto ciò che per noi è sconosciuto: per esempio le cose che dobbiamo ancora scoprire sono nello xenoverso.
Certo, ha una valenza anche politica e sociale: tutte quelle realtà che non facciamo rientrare nel nostro universo sono straniere, per cui mettono paura e generano incomprensioni. Il disco parla di una guerra tra i “versi” e della necessità del raggiungimento di una pace.
Sono passati due anni da Eden affinché l’album vedesse la luce: come mai?
Ci sono di mezzo la pandemia, la follia… Soprattutto la necessità di scrivere un disco che non seguisse minimamente le logiche del mercato, chiamiamole così. Da tutti i punti di vista è stato così: la complessità dei brani, la loro costruzione, i tempi con cui sono usciti…
Questo è un disco che rompe il concetto di disco. Per esempio il fatto di aver creato un sito apposito fa capire che ci possono essere anche delle espansioni. Per creare un modo così, tutti i puntini devono formare un grande disegno. Quindi ci è voluto del tempo: come una pianta che cresce.
Perché lo “sdoppiamento” di Ombra? Nel pezzo parli a te stesso, no?
Sì, è la mia ombra che mi scrive una canzone. Cercando dei “link” verso lo xenoverso mi sono reso conto che una delle realtà di confine più vicine a me era proprio la mia ombra, come se fosse un residuo di un altro mondo. Solo che l’avevo sempre data per scontata, in un certo senso: non mi ero accorto di quanto continuamente ridisegnasse la mia sagoma.
Ho cercato di immedesimarmi in lei, che mi critica per quello. Non mi ero mai accorto di quanto il flash di una foto la potesse spaventare, di quanto invece diventasse gigante e lunghissima al tramonto… Soprattutto non mi sono accorto che può avere una vita propria: non a caso in molte storie l’ombra si stacca, come in Peter Pan.
E i filosofi zombie di Federico cosa rappresentano?
È uno dei tanti aspetti “xenoversosi”: cioè il nonsense, che fa parte di ciò che non è spiegabile. Questo nonsense un po’ a là Monty Python, che fecero quel famoso sketch con la partita di calcio fra filosofi, viene ripreso in versione splatter. I filosofi zombie si risvegliano capeggiati da Nietzsche, che dà inizio a una specie di guerra “pulp” contro la filosofia del passato, noi diamo per scontato che sia morta ma che molto spesso “resuscita”. È un po’ la metafora di come vedo la filosofia e del ruolo che può avere oggi.
Contro chi ti scagli in Guardie&Ladri?
Più che altro è un dialogo col mercato musicale. Si tratta di una canzone che apparentemente parla di criminalità, perché parlo dei rapper come “spacciatori di rime”. L’inchiostro viene tagliato, come la droga, creando rime che si possono vendere in più modi. Tutta una serie di dinamiche di strada che io riporto sulla carta.
Questo perché fra i vari modi con cui interpreto lo xenoverso c’è anche quello dei mondi a due dimensioni, di cui parlo anche in altri brani. Un foglio di carta è una “flatlandia”, con la sua società, le sue dinamiche. Mi sono concentrato sull’aspetto criminale di quel mondo a due dimensioni, per cui ci sono spacciatori di rime, di sillabe, di incastri.
Non mi pare di ricordare altre canzoni che citano integralmente una poesia, cosa che tu fai in X Agosto con il celebre testo omonimo di Pascoli. Cosa rappresenta per te quella poesia? E ci sono poeti che ami particolarmente?
Pascoli è inserito all’interno di un contesto che unisce il passato al futuro, come in Arakno. Pascoli compare in questo dopoguerra del futuro, in cui dei netturbini vengono mandati nello spazio perché la guerra ha lasciato delle scorie in orbita, che entrando nell’atmosfera cadono giù come stelle cadenti.
Uno di questi “angeli netturbini” ha il figlio che sta studiando proprio quella poesia, dove ricorre sia il tema della notte di San Lorenzo che quello della perdita del padre. Siccome tutti abbiamo studiato questa poesia da bambini, volevo richiamare quella sensazione riportandola nel futuro. Quella poesia poi si presta bene ad essere rappata. Tra metrica e rime, è scritta in un modo molto adatto a fare ciò.
Per rispondere all’altra domanda, in generale amo molto i poeti ermetici. Nonostante usassero pochissime parole, cioè il contrario di ciò che fa il rap, sono per me di grandissima ispirazione. C’era alla base quella parola, “ermetico”, in cui io mi riconosco molto. In quella corrente letteraria rivedo l’unione di passato e futuro. La loro era una ricerca di un codice attraverso poche parole, cosa che cerco di fare anch’io ma con tante parole.
Mi ha colpito il gioco sull’archetipo della rete in Arakno: cosa distruggerebbe un nuovo Luddismo? Gli smartphone?
Probabilmente cercherebbe di non dare completamente il controllo a questa rete che allo stesso tempo ci connette (fra di noi) e disconnette (dalla realtà, dall’altro) e a chi fornisce questi mezzi, mantenendo delle porte in cui si può rompere questo meccanismo. Più che distruggere fisicamente uno smartphone, si tratta di capire: la conoscenza è la differenza fra chi riesce ad avere più liberta e chi meno.
Ho apprezzato il sample di Carmelo Bene all’inizio di Ignoranze Funebri. Cosa lega Rancore a Carmelo Bene?
Era un personaggio probabilmente nato nel futuro e portato nel passato. Meglio che non lo descriva, perché la parola sarebbe limitante. Nel disco c’è un’altra canzone che si intitola Io Non Sono Io: solo in seguito mi sono reso conto che fu una sua celebre esclamazione al Maurizio Costanzo Show. È una convinzione che mi ha sempre accompagnato, anche da letture che ho fatto in passato. Forse è questa la cosa che ci lega, perlomeno quella in cui mi sono riconosciuto: questo rompere tutte le convinzioni, entrando in uno xenoverso fino a sabotare il concetto di “io”.