Gli Zen Circus vogliono vedere come va a finire, nonostante tutto il male: l’intervista
La band toscana torna giovedì 25 settembre con il tredicesimo album della sua carriera. Ci siamo fatti raccontare pensieri, malesseri e ispirazioni

Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
Gli Zen Circus sono sempre stata la band dei giramenti di coglioni. Verso se stessi e verso gli altri. Per il letto a soppalco che oramai a quattrocento euro al mese sarebbe l’affare della vita. Per i vent’anni passati a maledirsi e privi di quell’insensata voglia di ballare che sembrava contagiare chiunque ti stesse attorno. E se Viva oggi suona ancora come la colonna sonora fedele del vostro presente, probabilmente vi ritroverete a fare i conti con la vostra anima e il vostro cervello ascoltando È solo un momento. Anche Andrea Appino, Karim Qqru (Gian Paolo Cuccuru) e Ufo (Massimiliano Schiavelli), dopo 23 anni di carriera e giunti al tredicesimo album, hanno più domande che risposte. «Né per la vita privata, né per quella collettiva» ribadiscono.
Il male che dà il titolo al disco è nato spontaneo, brano dopo brano, registrando in sala prove come ai vecchi tempi, quando bastava un furgone e di colpo la tua band «poteva diventare la tua vita». Anche stavolta c’è un po’ di tutto, satira sociale, sarcasmo e tanta autoironia, come in Vecchie troie. Insomma, «tante cose scollegate» dice Ufo. Ma soprattutto gli Zen scendono a patti con il proprio passato, tra autocitazioni e odio verso la versione peggiore di se stessi.
Appino, mentre litiga con il suo gatto Braulio (ormai una star wannabe dei social), si definisce un randagio adottato. «Randagio col Whiskas» puntualizza Karim. E quando chiedi loro cosa li spinga ancora a scrivere e suonare, nonostante tutto e tutti, perché «se anche avessero voglia a fermarli c’è la gente», la risposta è l’esatto opposto. «È proprio la gente che ci sprona a voler vedere come va a finire» dice Appino. «Anche se il giramento di coglioni è rimasto lo stesso». Grazie a Dio.
L’intervista agli Zen Circus
Avete scoperto che cos’è il male alla fine del viaggio con questo nuovo disco?
Appino: Magari. Di sicuro abbiamo scoperto che è qualcosa che è dentro di noi, anche se questo sotto sotto lo sapevamo da prima. L’assunto per cui il disco si intitola così parte proprio dal presupposto che il male sia una parte integrante dell’esistenza umana. Allora abbiamo deciso di farlo parlare e vedere cosa avesse da dirci.
Ufo: Abbiamo capito che non è così banale. Ha più facce e combinazioni del cubo di Rubik.
Karim Qqru: L’intento era anche raccontare la funzione del male nella società odierna. Il nascosto, quello che viene celato, a partire dai social che con lo shadowban toglie tutte le immagini di presunta sofferenza, mentre lascia altre malvagità ben peggiori. E poi l’incapacità della società di oggi, soprattutto quella occidentale, di fare pace col dolore, col male fisico e col lutto. Ci sono più domande, anche perché nel mondo Zen alle risposte non si arriva mai.
In effetti, la vostra musica è sempre stata molto più ispirata dalle domande, più che dalle risposte.
Ufo:L’importante per noi, arrivati al tredicesimo disco, è essere un po’ dei guastafeste, Da diversi anni parliamo di self-improvement, andiamo a correre, beviamo i centrifugati, ma tutto questo jogging mentale e fisico non ha cambiato le cose.
Karim: La cosa, a mio avviso, che è veramente folle, è che cinque anni fa c’è stata una pandemia, , in cui sono morte molte persone, che avrebbe dovuto avvicinarci alla sofferenza, alla morte, alla percezione della naturalezza del dolore, delle malattie, e invece sembra che tutto il post-Covid abbia portato a occultare ancora di più quel tema nella vita quotidiana.
Ufo: E noi vogliamo rompere le uova nel paniere, nel nostro piccolissimo.
Siamo diventati brutti?
Ufo: Eh anche qui di risposte certe non ce ne sono. In un disegno più vasto, mi vien da dire che c’è una spersonalizzazione del vissuto. Anzi, al contrario, un’eccessiva personalizzazione che spersonalizza poi, per paradosso, la persona.
Quanto ha influito il presente nella scelta del tema?
Appino: Questo è uno di quei rari casi, ci sono capitati un paio di volte nella nostra carriera, in cui le canzoni stesse ci hanno fatto comprendere il tema. Le abbiamo scritte nell’arco degli ultimi tre anni e, a un certo punto, riascoltandole ci siamo resi conti che la parola male tornava spesso. Sembrava che uno l’avesse fatto apposta e che inconsciamente avessimo già scelto quello come il concept dell’album. Così ci siamo detti: «Forse è proprio di quello che stiamo parlando». Probabile che in parte sia dipeso dai mali che stavamo vivendo.
Ufo: D’altronde, oggi il male è un articolo che va forte. Da questo nasce l’idea di presentarlo come un prodotto durante la promo con tanti di package e televendita.
Ascoltando il disco, per chi vi conosce, ci sono tanti dettagli, come Miao che è il seguito del carteggio iniziato con Ilenia. Avete fatto un po’ i conti con il passato.
Appino: La cosa che non vedevamo l’ora di fare, crescendo, anzi, invecchiando, era di poter cominciare anche ad autocitarci. Nel caso di Miao però ci sono anche l’urgenza e la realtà perché è qualcosa che è successo davvero. C’è stato un nuovo contatto con quella persona che, anche se per certi versi potrebbe sembrare un trick, è a tutti gli effetti un aggiornamento.
Ufo: A me piace sempre pensare che i nostri dischi, se li guardi da lontano, sembrano un disco solo. Proprio per questo senso di continuity. Delle reprise ci saranno anche nelle prossime cose che faremo. Cose ovviamente trasformate, nel tempo, nel modo e nel linguaggio.
L’altro aggiornamento è quello nel videoclip di Un milione di anni che riprende Viva.
Appino: Sì, il video di Viva iniziava dall’infanzia e si fermava al 2005, quindi all’età adulta e alla formazione della band. Ci piaceva molto l’idea di ripartire da lì e arrivare a oggi perché in qualche modo questo disco da un punto di vista sonoro, di scrittura, arrangiamento, è molto figlio di quel periodo. Anzi, credo che l’ultima volta che abbiamo fatto un album con sala prove, registrazione di chitarra, basso e batteria, erano i tempi di Vita e opinioni di Nello Scarpellini.
Karim: Nel tempo la band vive di fasi che sono delineate dal modo in cui scrivi insieme, registri il disco o butti giù le basi di una canzone. A noi non capitava da dieci anni di fare una pausa. Il modo in cui ci siamo ritrovati poi in sala prove e soprattutto la lunghezza di lavorazione – due anni per un disco non ce li abbiamo mai impiegati credo – è stato un punto di ripartenza e un modo per guardarsi indietro e tirare un filo dal punto di vista proprio estetico ed emotivo. Che è quello che poi è successo con Miao, ma soprattutto col video di Un milione di anni. Tra l’altro alcune di quelle foto non le avevo mai viste e fa effetto rivedere il te stesso di vent’anni fa anni. Un bel colpo al cuore.
In Vecchie troie vi prendete gioco di voi stessi da giovani. Vi odiate un po’ di meno dopo tutto questo tempo?
Appino:Io mi lascio un po’ più stare perché probabilmente ho imparato che disinnescare è meglio che innescare. Ma credo che quella parte di auto-odio difficilmente se ne andrà. È propedeutica alla scrittura però la cosa che ho capito nella vita è che ci vuole quella orrenda cosa detta “via di mezzo”. L’ho sempre odiata, ma a un certo punto ho capito che funziona.
Karim: Non puoi lottare per ogni cosa col coltello fra i denti, soprattutto arrivato a una certa età. Se non vieni incontro alla gente a cui vuoi bene e a cui tieni, poi i rapporti finiscono. E devo dire che questi 23 anni di carriera negli Zen Circus sono stati un buon esercizio di democrazia.
A proposito di giovani, Lamante aprirà Villa Inferno. C’è spazio secondo voi per un certo tipo di scrittura e musica come la sua oggi, in un panorama sempre più appiattito sulle stesse cose?
Appino:Lo spero. Per me oggi in molti, quando fanno musica, fanno fatica e spesso seguono l’algoritmo e le tendenze di brand e marketing.
Karim: Sì, che non vuol dire che li stiamo colpevolizzando. È che, per i tempi che corrono, penso a Spotify che anche nella versione free darà la possibilità di scegliere qualche canzone, cosa che avrà un grande impatto, influenza l’attitudine dei ragazzi giovani. Non hanno quasi scelta che non adeguarsi.
Ufo: Sì, anche se io credo che è una cosa ciclica. C’era anche ai nostri tempi. La differenza è che oggi è ancora più marcata e drammatica.
In questi anni vi è mai capitato, come band, di dirvi: «È solo un momento»?
Appino: Hai voglia! A volte sembrava eterno quel momento.Specialmente quando abbiamo iniziato. In quel periodo fare la musica che facevamo noi, come la volevamo fare noi, in quel periodo ben che ti andava eri su un furgone un giorno sì un giorno no. Mettevi insieme il pranzo con la cena ed eri contento matto. Quello era il sogno dietro il quale partiva tutto: semplicemente allontanarsi da una situazione che si riteneva invivibile e da un certo tipo di vita impostata in una certa maniera.
Ufo: Our band could be your life, per cui la vita personale e quella nella band si riflettono l’una nell’altra. Ne abbiamo passate di tutte. L’unica cosa che ci siamo risparmiati è stato il furto degli strumenti.
Appino: Ecco bravo. Adesso se accadrà sapremo perché (ride, n.d.r.)