Elettronica

Discorivoluzione: quando un museo diventa per 72 ore un club multisensoriale

Parte integrante della tre giorni di Milano MuseoCity, la manifestazione che ogni anno trasforma la città in un unico, grande museo diffuso, l’evento è uno dei più sorprendenti in programma. Ne abbiamo parlato con uno dei curatori, Davide F. Colaci

Autore Tommaso Toma
  • Il2 Marzo 2023
Discorivoluzione: quando un museo diventa per 72 ore un club multisensoriale

Murale di Keith Haring al Palladium di New York, 1985 (foto di Timothy Hursley) Garvey Simon Gallery

Se ci fate un pensiero, il nostro Paese ha un rapporto davvero ambiguo con il clubbing. Siamo stati capaci di lanciare delle sale da ballo – chiamatele se preferite discoteche o club – d’avanguardia alla fine degli anni ’70, spinti emotivamente anche dall’hype del film La febbre del sabato sera. Ma poi con una progressione rapidissima i media hanno cominciato a demistificare, se non criminalizzare “il sabato sera”, fino ad arrivare al recente passato, quando durante l’incubo pandemico al quale noi tutti siamo stati coinvolti, la discoteca era diventata una sorta di santa sanctorum degli unti, degli appestati, un luogo proibito per le persone assennate.

E quasi per punizione gli esercenti delle sale da ballo sono stati in pratica dimenticati, fino alla fine del grande pericolo sanitario. Ora che siamo tornati a una quasi totale normalità ci siamo accorti che tantissime discoteche, club nel nostro Paese hanno chiuso o non si sono più riprese. E comunque la crisi del clubbing in Italia era già partita ben prima della pandemia.

Intanto di recente sono circolati dei documentari che hanno documentato la storia del clubbing italiano, come Disco Ruin di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto o Milano Club 1995-2001, che esplora l’underground musicale meneghino nel pieno della sua golden age. E anche noi di Billboard Italia abbiamo parlato del bellissimo libro fotografico di Mattia Zoppellaro, Dirty Dancing, confezionato come fosse un vinile, e che racconta dei rave tra il 1997 e il 2005 tra Londra, Milano, Barcellona, Graz, Torino e Bologna.

Ecco, meglio adesso non aprire però un capitolo sul rave ma piuttosto parlare della stretta attualità soffermandoci su questa bellissima  – sulla carta ma speriamo anche in presenza – iniziativa museale del PAC, che ha deciso di trasformare per 72 ore i suoi spazi espositivi in una discoteca di notte, mentre di giorno una mostra rilegge lo scenario del clubbing attivando una serie di installazioni site-specific.

È la sfida di Discorivoluzione, la mostra-evento ideata da Politecnico, PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) e Le Cannibale che dal 3 al 5 marzo 2023 animerà il padiglione milanese.
Promossa dal Comune di Milano, la mostra parte domani (venerdì 3 marzo) per tre giorni. Fa parte del progetto Milano MuseoCity ,la manifestazione che ogni anno trasforma la città in un unico, grande museo diffuso grazie all’apertura coordinata di musei pubblici e privati che offrono al pubblico mostre ed iniziative speciali. Discorivoluzione è composta da tre sezioni esplorative: Discodiorama, Discoarcheologia e Discoarchivio, che rileggono criticamente lo scenario del clubbing dal 1960 a oggi. E lo raccontano attraverso l’esperienza diretta e una molteplicità di media e materiali autoprodotti.

Le cinque Disco-Installazioni, progettate dagli studenti del Laboratorio di Progettazione degli Interni guidato da Davide F. Colaci e Lola Ottolini, attiveranno gli spazi del PAC durante gli eventi musicali serali. Esprimendo quello sguardo sul presente e sul futuro della discoteca di cui il progetto è portatore. Ovviamente si ballerà tanto e con una selezione di DJ scelta da Le Cannibale (progetto fondato nel 2011 da Marco Greco e Albert Hofer). Che oramai è connesso intimamente con il tessuto metropolitano milanese, proponendo in luoghi mai scontati i loro eventi da ballo.

Discorivoluzione - 2
La Haçienda di Manchester nel 1994 (foto di Jon Shard)

L’intervista a Davide F. Colaci, curatore di Discorivoluzione

Ci spieghi meglio cosa significa trasformare per 72 ore uno spazio espositivo in una discoteca?

Discorivoluzione nasce insieme a 50 studenti del Laboratorio di Progettazione degli Interni del Politecnico di Milano, la sfida è stata entrare nel più importante museo d’arte contemporanea milanese, il PAC e creare una mostra evento di tre giorni e avere due eventi notturni all’interno. C’è prima di tutto c’è l’urgenza di ballare in un museo che di solito propone mostre di alto profilo ma non legate al clubbing, ovviamente. E poi la cosa interessante è riprogettarla attraverso questa mostra evento gli studenti hanno progettato cinque dispositivi che sono gli archetipi degli interni discomusicali.

Spazi che hanno sempre caratterizzato le discoteche a livello trasversale in tutto il mondo e attraverso questa riprogettazione hanno ripensato un modo contemporaneo di abitare lo spazio musicale in un museo allo stesso tempo c’è questa piccola grande mostra che raccoglie i materiali di 18 discoteche della storia dal 1960 ad oggi hanno cambiato la cultura antropologica della discoteca hanno anticipato le grandi rivoluzioni che da lì a poco la società avrebbe interiorizzato. Abbiamo ricostruito dei diorami in cui vengono identificati gli spazi principali delle discoteche iconiche tra storia e aneddoti.

Quando hai progettato Discorivoluzione hai trovato ispirazione attingendo dalla mostra Night Fever la mostra che ci fu qualche anno fa al museo Pecci di Prato?

Assolutamente sì! Quella mostra è un punto fondamentale per Discorivoluzione. L’idea di immaginare la discoteca come luogo di cultura è una cosa che è riuscita molto bene a quel tipo di mostra. Ti dico solo che molti studenti che hanno lavorato sul progetto hanno dai 21 ai 23 anni e magari in discoteca non ci sono mai stati, quindi la distanza da questo mondo ha generato una lettura molto diversa da quella che posso avere io, che ho frequentato molti club e discoteche.

La cosa interessante è che gli studenti hanno letto questa esperienza del clubbing come una piccola rivoluzione socio culturale, è stata una cosa che gli studenti hanno voluto sottolineare. È stato interessante perché in questo momento storico stanno succedendo grandi cambiamenti della società – come l’inclusività e il gender fluid – e i ragazzi sembrano avere nel proprio DNA questa spinta di trasformazione, di rivoluzione, ma molti di questi cambiamenti spesso sono nati, germogliati tra le mura di un club.

In pratica tutta la musica house e techno si basa su un’emancipazione sessuale e sociale. Fammi capire meglio entrando in PAC cosa si troverà davanti il pubblico.

Per esempio vedranno delle riproduzioni in scala di dancefloor di moltissime discoteche del mondo che all’80% non esistono più. I ragazzi si sono messi a produrre una ricostruzione storica e filologica pazzesca. Poi si potranno vedere tutta una serie di video-interviste che abbiamo fatto ad alcuni personaggi tra cui i titolari delle discoteche stesse. Abbiamo riprodotto la postazione del DJ. In Discorivoluzione c’è anche una sezione che si chiama Discoarcheologia con una raccolta di oggetti veri o costruiti dagli studenti.

La postazione del DJ è ciò che più si è trasformato nel tempo. Si partì da giganteschi giradischi e macchine a nastro per poi passare a un mixer più compatto fino ad arrivare alla controller. Questo significa una diminuzione degli spazi di ingombro. I ragazzi come hanno interpretato questo cambiamento di spazio?

Hanno avuto una chiave di lettura che io trovo di grande impatto emotivo. Il DJ è diventato una piccola grande divinità quindi l’hanno inserito in una sorta di piccola torre d’avorio trasparente o chiamala torre acquario. Il nostro obiettivo è anche far suonare davvero i DJ che saranno presenti in quello spazio, perché lo abbiamo reso agibile.

Quali sono le tre cose che più hanno scatenato la fantasia degli studenti?

L’invito della riapertura del 2010 della discoteca B018 di Beirut. Ovvero una “pietra” del pavimento prima della ristrutturazione della discoteca-bunker, un invito simbolico che in un territorio di guerra e conflitto sociale acquista un valore rivoluzionario. La maschera di Principe Maurice del Cocoricò, un oggetto di scena in cartapesta e ricoperto in foglia d’oro. La maschera diventa l’archetipo di un mondo rappresentato e possibile, quasi rituale.

Per chiudere ho chiesto via mail ad Albert e Marco de Le Cannibale come nasce la scelta dei due DJ per le sue serate. «Rappresentano differenti dimensioni della musica contemporanea. Daniele Baldelli, figura che rappresenta passato e presente della musica disco italiana, Lena Willikens che incarna la dimensione attuale dell’elettronica internazionale. Ma al loro fianco troverete anche, la DJ giapponese Hiroko Hacci la cui carriera si é plasmata nel territorio italiano e Fabio Monesi».

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