Elettronica

Il featuring come metodo di creazione: intervista ai Santii

Dopo l’esperienza come M+A, Miki e Alex cambiano tutto: nuove sonorità, nuovo metodo di lavoro, nuovo nome. Nasce Santii, ambizioso progetto che è manifesto del “do-it-yourself” e dell’approccio collaborativo

Autore Federico Durante
  • Il17 Luglio 2018
Il featuring come metodo di creazione: intervista ai Santii

Santii

Due ragazzi italiani sono protagonisti di una delle novità musicali più affascinanti e credibili su scala internazionale. Provenienti dalla già ottima esperienza elettronica come M+A, i forlivesi Michele e Alessandro a un certo punto decidono che la vecchia modalità di produzione non gli basta più e cambiano tutto: nuove sonorità, meno legate alla sfera indie e più affini alla scena urban internazionale, nuovo metodo di lavoro, nuovo nome. Nasce Santii, ambizioso progetto che è manifesto del “do-it-yourself” (dal songwriting al mix fanno tutto Miki e Alex) e dell’approccio collaborativo: le dieci tracce dell’album d’esordio S01 – il riferimento è al mondo delle serie TV – vedono altrettanti featuring internazionali, perlopiù di area R&B/hip hop. Fra i nomi eccellenti, Supah Mario (già produttore per Drake) e Rejjie Snow.

Santii
Santii

S01 è un non-esordio perché voi avete già un percorso molto solido alle spalle come M+A. Tuttavia il cambiamento di passo è piuttosto evidente da tutti i punti di vista: sound, tipo di produzione, concept e così via. È per questo che avete deciso di cambiare nome?

[Michele] Sì, il progetto Santii è nato nel Regno Unito al Tyleyard Studio di Mark Ronson mentre stavamo facendo delle sessioni di registrazione. Ci siamo accorti che il processo di scrittura e l’approccio non erano più una questione solo mia e di Alessandro ma anche di altre dieci persone che sono i guest del disco. Quindi abbiamo pensato: “Perché no?”. Per noi era una cosa necessaria e abbastanza naturale, in più c’era anche il fatto che volevamo far esplodere la “bolla” M+A per una questione rigenerativa.

Mi pare di capire che ci sia una consapevolezza molto forte nel tipo di percorso che volete fare da qui in avanti. Per esempio gli album saranno considerati alla stregua di stagioni di una serie televisiva. Qual è il concept del progetto Santii?

[M] Sostanzialmente è il processo creativo di scrittura che c’è tra me, Alessandro e gli artisti che coinvolgiamo ogni volta. L’idea del cambio del nome e l’idea di presentare il progetto come se fosse una serie TV sono nate assieme perché volevamo avere un’unica entità che si potesse delineare senza troppi vincoli. L’anno prossimo può essere in un modo, quello dopo può essere in un altro. È proprio inevitabile perché è così che lavoriamo.

In questo album c’è un fondamentale impianto urban/R&B che era più sporadico nelle vostre precedenti produzioni. Come mai una scelta “di campo” così netta?

[Alessandro] Quel background noi due l’abbiamo sempre avuto, sia come ascolti sia come infatuazione per certi artisti. Il fatto è che ci stavamo rendendo conto che si finiva spesso dentro all’insieme di M+A. Avevamo provato a fare delle vie di mezzo, mettendo input un po’ più R&B e hip hop in canzoni strutturate come quelle “alla vecchia”. Però non ci convincevano. Anche da lì è nata l’idea che fosse il caso di “uccidere” il vecchio progetto perché stava diventando una sorta di gabbia.

È un album che si basa sulle collaborazioni e su un’idea di approccio collaborativo nella creazione musicale. Come individuate i featuring che vi interessano? Come si porta poi avanti il lavoro con quegli artisti fino a un prodotto finito?

[M] S01 è nato via Facebook: gli artisti sono stati contattati tramite le loro pagine social, in maniera molto semplice. Dopodiché non gli abbiamo detto “Canta dal minuto 1:00 al minuto 1:20” ma abbiamo mandato loro delle demo in cui potevano scegliere quello che volevano. Ci hanno rimandato quello che preferivano e in base a ciò noi abbiamo poi ricostruito e rimodellato tutta la canzone, facendo da “direttori d’orchestra” ma anche rimetabolizzando quello che loro avevano mandato come input. È stato un gioco di rimbalzi.

[A] I featuring servivano anche a diminuire la nostra libertà artistica: volevamo che la “partenza” non nascesse da noi. Così non c’era inizialmente un’idea di che cosa potesse venire fuori come taglio artistico. Poteva nascere un disco più vicino alla dance oppure all’hip hop. Questo noi non lo sapevamo, ci affidavamo anche ad artisti molto distanti e loro facevano le loro scelte.

[M] Un po’ come quando ti innamori: l’altra persona ti fa capire chi sei. Noi abbiamo cercato degli esterni per non perderci in quello che credevamo di essere e scoprire così delle cose nuove.

Fra le collaborazioni compaiono artisti britannici, americani, coreani e russi. Ci avete anche tenuto che ciascuno si esprimesse nella propria lingua. Quanto è importante per voi una dimensione cosmopolita in un lavoro come questo?

[M] È molto importante. Noi abbiamo sempre pensato la lingua come un fattore che ha un significato di senso ma anche di suono. Quindi erano proprio degli arrangiamenti. Siamo molto anti-localisti e tendenti a una dimensione che possa essere il più universale possibile, senza chiaramente perdere le particolarità di ogni artista.



Un’altra peculiarità è che fate tutto voi: songwriting, produzione, mix, visuals e così via. Credete molto nell’autoproduzione insomma.

[A] Diciamo che abbiamo sbagliato così tante volte che era l’unica soluzione. Ci siamo affidati a produttori e sono venuti fuori disastri… Così ci siamo presi un anno per imparare con i tutorial. Le capacità musicali c’erano già, bisognava però cominciare a ragionare in un’ottica di “ingegneria”. La latenza temporale è stata dovuta al fatto che abbiamo dovuto fermarci e tirar su le maniche. Era solo per riuscire ad essere un po’ più liberi per fare quello che volevamo.

Il video di Outsider ha uno storytelling molto forte, che spiazza lo spettatore. È il tipo di estetica che volete dare anche alle vostre prossime produzioni video?

[A] No, un po’ come l’idea delle stagioni il progetto è di fare quello che ci pare da una canzone all’altra. Abbiamo trovato quella location che ci ispirava quel mood e l’abbiamo fatto così. Il prossimo video sarà su tutt’altre corde. Se è stata fatta quella cosa vuol dire che al prossimo giro si farà l’opposto e così via. Non siamo quelli che tendono a voler fare la versione 2.

Come si porta dal vivo un progetto del genere? Avete idee particolari per i live?

[M] Abbiamo già fatto due live di apertura a Rejjie Snow, che ha collaborato con noi su Outsider. È stato molto divertente perché abbiamo ridotto molto la componente strumentale e aumentato quella di performance. Per il tour europeo abbiamo in programma di coinvolgere vocalist sul palco, ma molte volte io mettendo effetti sulla mia voce riesco anche a fare le parti dei guest. Diventa molto divertente. Volevamo giocare con noi stessi, pensare il palco come un luogo in cui liberavamo le normalità di tutti i giorni: sul palco sei quello che hai scelto di essere facendo musica.


Ascolta S01 dei Santii in streaming

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