Italo-disco will never die: esce “Ghetto Falsetto” di Bruno Belissimo – L’intervista
Divertente ma non demenziale, dal sound italianissimo ma proiettato verso i palchi internazionali: il brillante revival italo-disco proposto da Bruno Belissimo trova una nuova compiuta sintesi nell’album “Ghetto Falsetto”, in uscita il 4 maggio
Divertente ma non demenziale, dal sound italianissimo ma proiettato verso i palchi internazionali: il brillante revival italo-disco proposto da Bruno Belissimo (sì, con una elle sola) trova una nuova compiuta sintesi nell’album Ghetto Falsetto, in uscita il 4 maggio per La Tempesta / Stradischi. Si tratta del secondo lavoro in studio per Bruno, che dall’album d’esordio (l’omonimo Bruno Belissimo del 2016) ha suonato tantissimo in giro – oltre cento concerti in Italia e all’estero. “Questo disco, proprio come il precedente, è stato scritto di getto – spiega Bruno – Nel gennaio dell’anno scorso ho subito il furto del computer che conteneva alcuni provini ai quali stavo lavorando. Ho perso tutto, ma quando finalmente ho potuto ritornare in studio con un laptop nuovo, in meno di un mese avevo già scritto dieci pezzi, le stesse tracce che ora compongono il disco!”. Queste le prossime date live di Bruno per sentire Ghetto Falsetto dal vivo: sabato 28 aprile a Milano (Ohibò), venerdì 4 maggio a Brescia (Latteria Molloy), sabato 12 maggio a Firenze (Glue).
L’autoironia sembra davvero una delle tue caratteristiche fondamentali, a partire dal tuo nome d’arte e dal modo in cui ti poni, per esempio nel video di Tempi Moderni. Pensi che gli artisti dovrebbero prendersi un po’ meno sul serio?
Non necessariamente. Io credo che gli artisti debbano fare quello che si sentono. Da più punti di vista io sono praticamente così nella vita! Quindi mi viene naturale questo e non ci faccio un ragionamento sopra. Queste cose mi vengono naturali. L’ironia ovviamente fa parte del mio linguaggio. È forse per me il miglior modo per dire determinate cose. Non è che se c’è ironia allora non c’è contenuto. La mia sfida è quella di tenere un bilanciamento fra quest’ironia e comunque una serietà di base che poi esce. L’ironia è la prima cosa che colpisce e – spero – se poi uno va ad approfondire trova una serietà di fondo. Non è un progetto “per scherzo”.
Il tuo sound si rifà fortemente all’italo-disco, rivisitata in chiave moderna e consapevole. Secondo te cos’aveva di speciale quella stagione musicale? E perché riproporla nel 2018?
L’italo-disco era un suono che rendeva l’Italia e gli italiani internazionali. Pur relegata a una zona geografica, in realtà è diventata una cosa – oltre che internazionale – anche senza tempo. Per questo mi ha sempre affascinato molto, perché in così poco tempo un suono così peculiare poi è diventato un po’ come la house, un genere che sarà sempre verde. Io ci sono arrivato perché è sempre stato il mio grande amore. Essendo io nato come musicista e bassista, più che come produttore, ovviamente ci devi passare da quelle cose. Io più che passarci ci sono proprio cresciuto con queste cose. Dal funk e dalla Motown, a un certo punto della mia esistenza è entrato tutto questo mondo.
Io trovo che tu faccia con l’italo disco quello che i Calibro 35 hanno fatto con l’italo-funky. Perché secondo te quella che allora era considerata musica “di serie B” oggi diventa di culto?
Dici che è di culto? Non so perché sia diventata di culto. Forse perché nonostante gli anni che passano le si riconosce sempre una levatura. È talmente fuori dal tempo che è una musica che non invecchia, fondamentalmente. Quindi, non essendo comunque mainstream, rimane “di culto”, diventa anche una cosa un po’ intellettuale se vuoi. La cosa che mi ha stupito è che io, avendo avuto la fortuna di viaggiare molto, ovunque vada nel mondo appena cito l’italo-disco tutti si illuminano. O comunque fa figo dire che piace. Per fortuna è così!
L’italo-disco è inevitabilmente legata al mondo delle colonne sonore di quel periodo. Ce ne sono alcune che ti hanno influenzato in maniera particolare?
Tantissimo quella de I guerrieri dell’anno 2072 (film di Lucio Fulci del 1984, ndr). È proprio un B-movie totale. Non è esattamente horror ma un sci-fi stupendo, in assoluto il mio preferito.
Tu sei stato uno degli artisti italiani che si sono esibiti al South by Southwest. Com’è andata questa esperienza? E quali sono state – e quali saranno – le tue altre attività all’estero?
È stata un’esperienza assolutamente positiva che spero di rifare l’anno prossimo – sia per l’aspetto lavorativo che per tutto il contorno. Da artista è molto interessante anche per misurarti con tutto quello che sta succedendo. Ci sono gruppi da tutto il mondo. Qui in Italia e in Europa è molto utile, a volte, uscire e confrontarsi con il mondo. Lì c’è veramente qualsiasi cosa. È senz’altro un punto a favore ma avendo così tanta roba diventa anche difficile analizzarla e fare in modo di essere nel posto giusto al momento giusto. Seppure il mio genere non sia in linea con il SXSW – che è un po’ più sul rock – proprio per questo è stato molto positivo perché negli showcase che ho fatto è stata catalizzata subito l’attenzione. Forse perché è un suono un po’ diverso. Soprattutto il mio è uno spettacolo a metà fra un DJ set e un live, e comunque non è per nulla statico. Poi il contorno è fantastico: sei al centro della musica per una settimana. Sono veramente tutti lì: mi capitava di incontrare amici stranieri che in Europa sarebbe più difficile beccare.
Tu fra le varie cose hai suonato in tour con Colapesce. Oggi si parla molto di itpop, una scena che nella sua accezione più ampia comprenderebbe tanto lui quanto anche te. Ti ci riconosci?
Non lo so. Secondo me no ma per la mancanza di un elemento fondamentale: il testo, la voce. Se io dovessi mettere nella musica un cantato, potrebbe avvicinarsi all’itpop. Cosa che in realtà voglio fare!
Ghetto Falsetto esce il 4 maggio. Non sto a citare Caparezza e il secondo album, ma in che rapporto si pone col tuo album d’esordio? Che tipo di evoluzione hai voluto imprimere?
Io credo che ci sia un’evoluzione anche molto chiara – forse per me che li ho fatto entrambi e so che iter mentale ho fatto. La cosa fondamentale è che fra i due dischi c’è stata una marea di concerti. Tra l’altro fare un live da solo è più difficile che fare un disco: è proprio un buttarti nella mischia senza sapere bene cosa fare. Dopo centinaia di concerti anche nella mia testa le cose sono diventate un po’ più chiare. I pezzi nuovi sono più contemporanei per i suoni di adesso. Voglio portare in giro e suonare questo disco dal vivo. Ci sono degli elementi in più: c’è un pezzo cantato. Nel primo disco era tutto una novità. Ora ho voluto fare qualcosa di “2.0” e di più fresco, quindi sto andando anche in questa direzione, per essere più pop e più fruibile. Essendo in mezzo a questi due grandi mondi – la musica dance da discoteca e quella “da ascolto” – che sono due mondi molto ben distinti, mi devo gestire un po’ questo equilibrismo.
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Faccio alcune date di presentazione in Italia, poi vado in Inghilterra per The Great Escape (festival a Brighton, 17-19 maggio) e poi parte il tour estivo.